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Rai, con lo spoil system a metà comanda Coletta

Usando un eufemismo, il crash test d’inizio stagione per la nuova dirigenza Rai non sta andando benissimo. Scarso l’apporto dei nuovi volti e dal recupero dei vecchi accantonati, modesta la difesa delle truppe rimaste in casa. Innanzitutto, la tv pubblica subisce sonore sconfitte a causa delle prestazioni degli ex. Fabio Fazio imperversa sul Nove la domenica sera e presto, con lo spacchettamento del Tavolo spostato al venerdì dopo Fratelli di Crozza, la rete di Discovery (gruppo Warner Bros) conquisterà ulteriore visibilità. Passata a Mediaset, Bianca Berlinguer continua a doppiare l’audience di Avanti popolo di Nunzia De Girolamo. Ma la Rai fa buchi nell’acqua anche in altri orari, cominciando dalla striscia di Mercante in fiera di Pino Insegno, o il lunedì, dove Liberi tutti, l’escape room ideata dal direttore dell’Intrattenimento prime time Marcello Ciannamea (condotta da Bianca Guaccero, Beppe Iodice e I Gemelli di Guidonia), si è fermato al 3,2%. È, più o meno, lo share abituale di questi programmi, con il risultato che Rai 2 è sempre più scheletrica. È stato conteggiato che nel primo mese della nuova stagione, il servizio pubblico ha perso circa 250.000 telespettatori. E non è un bel vedere, anche perché l’erosione continua.

Alcuni analisti hanno subito sentenziato il flop di TeleMeloni. Ma la conclusione è un tantino sbrigativa e qui si prova a suggerirne una diversa visione, accompagnata da un paio di consigli non richiesti. È vero che la nuova dirigenza è stata nominata dal governo secondo i dettami della riforma voluta da Matteo Renzi nel 2016. Ed è ancora vero che qualche innesto nella programmazione sia stato favorito dai buoni rapporti con il premier. Tuttavia, essendo anch’essa un pesante carrozzone pubblico, come in tanti ministeri dove contano più certi funzionari che i titolari degli stessi, anche in Rai esiste la deep tv: comanda l’apparato, il sottobosco dei dirigenti che hanno davvero le mani nel palinsesto. Per mettersi al riparo da sempre più frequenti sorprese, come nella macchina amministrativa anche nella tv pubblica bisognerebbe portare fino in fondo lo spoil system (applicato in modo scientifico nei Paesi anglosassoni). Altrimenti, mentre si accreditano a TeleMeloni errori e flop, in realtà, sottotraccia, manovra ancora alla grande la vecchia struttura Rai, quella dove, secondo Michele Santoro, «il Pd ha più sezioni che in tutto il resto del Paese».

Uscendo dal generico, il solito Ciannamea, considerato vicino alla Lega, appena nominato responsabile dell’Intrattenimento di prima serata, ha pensato bene di confermare tutti i vicedirettori di Stefano Coletta, il predecessore in quota Pd a maggio divenuto capo della Distribuzione (leggi palinsesti). Se questo spostamento doveva servire a ridimensionarne l’incidenza, in realtà, l’ha potenziato perché, oltre a continuare a gestire, tramite Federica Lentini e Giovanni Anversa, varietà, game, reality e infotainment di prima serata (la seconda non esiste, quindi da dopo i tg fino a notte fonda), il simpatico Coletta ne organizza anche la programmazione. Per intenderci, il divieto a Fedez di partecipare a Belve è imputabile per interposti vice a lui, già responsabile del mancato controllo delle esibizioni del rapper a Sanremo. Invece, il regalo di Chesarà su Rai 3 a Serena Bortone (3% fisso), sempre sconfitta anche da Massimo Gramellini su La7, è da attribuire a lui senza mediazioni.

In fondo, controllo diretto o indiretto, poco cambia perché si fa tutto in famiglia. Qualche giorno fa, Ciannamea, doveva andare in trasferta a Torino e in agenda c’era la riunione per mettere a punto i palinsesti da gennaio in poi. Che si fa? Si sposta la riunione e Coletta e i suoi (ex) vicedirettori aspettano che il responsabile dell’Intrattenimento, mica un fattorino, torni a Roma? Ma no, e che sarà mai, fate, fate pure, poi mi riferite… Morale: se lo spoil system si ferma a metà, i dirigenti delle ere precedenti continuano a favorire i propri clan e a lavorare per ostacolare il successo dei nuovi.

Con l’organizzazione aziendale divisa orizzontalmente in aree come Intrattenimento, Palinsesti, Approfondimenti, Fiction… e senza più i direttori di rete, i veri plenipotenziari sono i capi area. Alla faccia del ridimensionamento e dello spoil system, il dem Coletta sensibile ai diritti Lgbtq, capo dei palinsesti e, attraverso le sue ramificazioni, molto interventista nell’Intrattenimento è, concretamente, l’uomo più influente della Rai chiamata TeleMeloni. Non male come paradosso.

Il secondo consiglio non richiesto alla nuova dirigenza è provare a superare una certa mancanza d’iniziativa. Quando nel 1987 Pippo Baudo e Raffaella Carrà passarono a Mediaset (allora Fininvest), Biagio Agnes si guardò intorno e contrattaccò consegnando ad Adriano Celentano le chiavi del sabato di Rai 1. La tv di Stato divenne la locomotiva del dibattito nazionale e nel giro di un paio di stagioni Raffa e Superpippo fecero dietrofront. Oggi, con le dovute proporzioni, visti gli abbandoni di Fabio Fazio, Bianca Berlinguer e Massimo Gramellini, anche l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi potrebbero tentare il contropiede. Pino Insegno, Max Giusti e Bianca Guaccero non riempiono il palinsesto. E serve a poco che Bortone faccia la brutta copia di Che tempo che fa. Per contrastare la rivalsa di Fazio ci vorrebbe qualche idea nuova, altrimenti l’effetto collaterale sono le inchieste sempre più forzate di Report. Con tutta la simpatia verso De Girolamo, per lottare nel fango del martedì sera, tra È sempre cartabianca, Dimartedì, Belve e Iene, forse serviva un peso massimo o un giornalista di provata esperienza. Tanto più se si ha memoria del recente flop di Ilaria D’Amico con un format simile di Fremantle. Ora il ritorno di Massimo Giletti avviene nel momento giusto, ma la controprogrammazione non s’improvvisa. Guardarsi intorno, cercare fuori dal recinto, vedere che cosa si muove oltre Viale Mazzini può aiutare. Qualche possibile nome a disposizione: Paolo Bonolis, Piero Chiambretti, Michele Santoro, Peter Gomez, Pietrangelo Buttafuoco, Linus…

La Verità, 26 ottobre 2023

Pd, Lgbtq, agenti: ecco chi comanda davvero in Rai

In fondo la composizione dei palinsesti Rai è il grande gioco di società dell’establishment politico-mediatico romano. Dirigenti del servizio pubblico (vigilati dai commissari), agenti di spettacolo e artisti vari siedono attorno al grande tavolo della tv di Stato e piazzano le loro pedine, fanno le loro puntate, tirano i dadi. Niente di nuovo, è così tutti gli anni. Quest’anno con vista sulla stagione autunno-inverno 2022/2023 un po’ di più. Se manca una visione definita, un’idea forte di quale sia la mission del più grande broadcaster tv del Paese ai tempi del colera, i feudatari, i mandarini e i burattinai della Telerepubblica hanno gioco facile. Così i palinsesti diventano un grande puzzle con tasselli da colorare a piacimento, un Monopoli 2.0 con tante trattative per conquistare un posto al sole per sé o per i propri assistiti. E i telespettatori che pagano ancora il canone nella bolletta elettrica? Massì, se la faranno andare bene… Forse.

Rai 1 immobile

Il primo dato emergente spulciando i programmi dell’anno che verrà è la staticità della rete ammiraglia: i tutti i classici della prima serata sono confermati. Se di scelta si tratta, è evidente che sa di pigrizia soprattutto perché, in un contesto in continua evoluzione, la riproposta dei soliti format non potrà non appannare l’attrattiva della rete. Se proprio si vuole cercarla, l’unica novità è una bizzarria. Non a caso lo stesso Marco Giallini, protagonista di Rocco Schiavone, ha contestato il trasloco della serie da Rai 2, trattandosi di una fiction trasgressiva che mal si sposa con le preferenze del pubblico di Rai 1. L’altro elemento da segnalare, non in quanto novità, ma in quota consolidamento di potere, è il ruolo sempre più centrale di Amadeus che, oltre al Festival di Sanremo e ai Soliti ignoti, ritrova lo show in tre serate Arena ’60 ’70 ’80 ’90. Presenzialista quanto il Pippo Baudo anni Novanta, Ama è la punta di diamante della squadra di Lucio Presta, il superagente amico di Matteo Renzi, che annoverando tra i suoi artisti anche i confermatissimi Antonella Clerici a mezzogiorno, Eleonora Daniele al mattino e Marco Liorni nel preserale, controlla quasi tutta la programmazione di Rai 1.

Banksy della tv

Sugli altri due canali generalisti si concentra invece il lavoro mimetico di Beppe Caschetto. Cresciuto alla scuola dell’indimenticato Bibi Ballandi che, dalla regione Emilia Romagna, lo instradò nello showbiz «insegnandogli a volare bassi per schivare i sassi», Caschetto è probabilmente l’agente più potente della tv (ma qui parliamo solo di Rai). Come l’invisibile street artist, anche lui mette tutti davanti al fatto compiuto. I suoi però non sono graffiti mainstream, ma riempimento di caselle dei palinsesti attuato con mano di velluto. Ogni anno la sua rete si estende. Stavolta, alla già nutritissima rappresentanza in Rai (Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Geppi Cucciari, Massimo Gramellini, Enrico Brignano, Lucia Annunziata eccetera), ha aggiunto le new entry Alessia Marcuzzi, che condurrà il varietà generazionale Boomerissima, e Ilaria D’Amico, al timone di Che c’è di nuovo. Qualche tempo fa, invece, aveva strappato al rivale Presta, quello Stefano De Martino che, oltre a tornare con Bar Stella, sarà alla conduzione anche di un game show (Sing sing sing).

La rete gay friendly

Insieme con la riproposizione in seconda serata di Epcc, il late show di Alessando Cattelan, i programmi di Marcuzzi, D’Amico e De Martino saranno in controtendenza alla linea editoriale della nuova Rai 2 che godrà di un corposo incremento di budget (sarebbe interessante conoscerne l’entità a fronte delle nozze con le prugne secche cui furono costretti i precedenti direttori). La profonda trasformazione del secondo canale lo renderà molto gay friendly. Detto di Non sono una signora, show di drag queen, ovvero personaggi famosi che si addobberanno vistosamente da donne, il filone en travesti si avvale della conferma dell’Almanacco di Drusilla Foer, in onda dal 21 novembre, quando terminerà il quiz Una scatola al giorno condotto dal protettissimo Paolo Conticini, già vincitore a sorpresa della terza edizione del Cantante mascherato. Niente maschere, ma lo scambio di ruoli nei vari tipi di famiglie (tradizionali, allargate, arcobaleno…) animerà il pomeridiano Nei tuoi panni di Mia Ceran che prenderà il testimone da Pierluigi Diaco, conduttore di Bellama’, sorta di confronto tra boomer e influencer sui nuovi temi contemporanei. La svolta gaia di Rai 2 però non è opera di oscuri agenti, ma principalmente del neodirettore per l’intrattenimento Stefano Coletta che, non potendo arcobalenizzare Rai 1 ha concentrato i suoi sforzi sul secondo canale.

L’agente occulto

Com’è noto, dal 5 settembre Marco Damilano striscerà tutte le sere alle 20,35 su Rai 3 con Il cavallo e la torre. In automatico, ma poco convinta, è partita la protesta dell’Usigrai per la svalutazione della professionalità aziendale implicita nell’affidamento dello spazio a un esterno anziché a un giornalista Rai. In realtà, la vera contraddizione è la concorrenza fratricida che il nuovo programma farà a Tg2Post: due approfondimenti contemporanei su due reti generaliste evidenziano che lo scopo della nuova striscia è pilotare contenuti, oltre che dare una casella a Damilano. Sia lui che Giancarlo De Cataldo, in seconda serata su Rai 1 con Tempo e mistero, non hanno avuto bisogno dei buoni uffici di un agente professionista perché hanno quelli del Pd che, Michele Santoro dixit, «ha più sedi in Rai che nel resto del Paese».

Contentini e conflittini

Alcuni più evidenti, altri più felpati. Franco Di Mare, il direttore di Rai 3 appena andato in pensione continuerà a condurre il suo Frontiere, il sabato pomeriggio nella sua ex rete. Gratuitamente come da policy aziendale, e come capitò al pensionato Carlo Freccero che diresse Rai 2 gratuitamente per un anno, o no? Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera di proprietà di Urbano Cairo, editore di La7, sarà consulente e autore di editoriali in Storie della tv, programma in onda su Rai 4 dal 18 ottobre. Walter Veltroni, editorialista e grande firma del solito Corriere del solito editore, dirigerà invece il documentario Ora tocca a noi: storia di Pio La Torre, in onda su Rai 3.

Buona visione.

 

La Verità, 30 giugno 2022

«Così cambio la Rai al tempo del coronavirus»

Quando è stato decretato il lockdown, il presidente della Rai Marcello Foa si trovava all’estero con la famiglia. Era la notte di sabato 7 marzo. «Sono rientrato subito a Roma, rispettando le norme di sicurezza, mentre i miei familiari sono rimasti lì», racconta dall’ufficio di Viale Mazzini. «È un sacrificio minimo, nulla in confronto a quello che fa chi è in prima linea, negli ospedali e altrove. Da inviato del Giornale, mi è già capitato di stare lontano dalla famiglia per lunghi periodi. Non ho avuto esitazioni a tornare qui per essere vicino a chi lavora. Per incoraggiare i giornalisti che rischiano e aiutare a mettere tutti nelle condizioni di dare il meglio».

Lavora in ufficio o da remoto?

«È importante per tutti quelli che lavorano in Rai vedere i vertici, dal nostro amministratore delegato Fabrizio Salini alla task force creata per questa emergenza, presenti e sempre operativi. La sede è quasi deserta per ragioni di sicurezza, ma noi ci siamo e ci saremo fino alla fine della crisi».

Nella Rai dell’emergenza, Foa, 56 anni, nato a Milano, allievo di Indro Montanelli che lo assunse al Giornale, presidente della tv pubblica dal settembre 2018, tiene insieme la squadra e guarda al dopo epidemia. Un dopo che sarà inevitabilmente diverso anche per il mondo della cultura, dell’informazione e dell’intrattenimento. In questi giorni, però, si parla di Rai per l’iniziativa del regista Pupi Avati che ha chiesto di cambiare i palinsesti e, approfittando della crisi, avviare una fase di crescita culturale programmando film, concerti e biografie dei grandi artisti italiani, molti dei quali sconosciuti alle giovani generazioni.

Avati ha sottolineato che lei ha «apprezzato molto, non solo a parole». Dopo il ritorno delle serate di Alberto Angela sui Rai 1 e la proposta dei Grandi della letteratura di Edoardo Camurri su Rai 3 dobbiamo aspettarci altre novità?

«Una novità è già la decisione di prolungare le serate di Angela per altri due mesi fino a fine maggio. Pupi Avati è una persona deliziosa e di grande sensibilità umana e intellettuale, un maestro del cinema che ha scritto di getto una lettera commovente e visionaria alla Rai. Parlando con lui in privato è emerso un bisogno comune di contenuti che affondano le radici nella storia e nella cultura del nostro Paese. È una vicinanza che non può che farmi piacere. E sono felice di annunciare che intanto Rai 1 dedicherà al grande cinema due serate a settimana: ogni martedì pellicole internazionali e il venerdì la commedia italiana».

Qualche titolo?

«La lista delle opere è in via di definizione. Fra le altre ci sarà Pavarotti di Ron Howard».

Ha ragione Avati quando dice che non c’è sintonia tra i palinsesti televisivi e la realtà quotidiana dei telespettatori?

«Quella di Avati è una giusta provocazione intellettuale. Ma credo che non si possa semplificare troppo. La Rai sta compiendo uno sforzo incredibile, riconosciuto anche all’estero, per modificare i palinsesti nel pieno di un’emergenza con forti ripercussioni sull’attività dell’azienda stessa. Sono sparite intere produzioni. Non è stato più possibile avere pubblico in studio. Gli ospiti partecipano solo dall’esterno. Oggi la sfida principale è assecondare le esigenze del Paese, cercando di mantenere qualità nell’emergenza. La Rai è un colosso di 13.000 dipendenti con un numero notevole di canali televisivi e radiofonici. L’azione di un grande esercito non si modifica schioccando le dita. Più si è grandi e più la flessibilità è complessa. Dobbiamo saper coniugare equilibrio e dinamismo».

In un momento in cui larghi settori delle istituzioni sono paralizzati dalla burocrazia, un’altra sfida può essere mostrare prontezza di riflessi nel cambiamento?

«Facciamo ciò che è possibile con i mezzi a disposizione. Per esempio, assicurando un palinsesto informativo completo e puntuale. La situazione evolve molto velocemente e informare la popolazione spiegando le normative per noi è un compito di assoluta priorità. Altre emittenti europee hanno subìto maggiormente le limitazioni imposte dalle esigenze di sicurezza, finendo per ridurre addirittura l’informazione».

Qualcuno dice che avete fatto poco.

«Parlare a bocce ferme è semplice, agire nell’emergenza lo è meno. Ci rendiamo conto che il Paese, oltre all’informazione, ha bisogno del conforto della cultura, della leggerezza dell’intrattenimento e persino di distrazione. In questo momento stiamo operando con 4500 persone in smart working e con pesanti limitazioni per le troupe da mandare in giro. Abbiamo dovuto chiudere alcuni studi, e anche normali strumenti di produzione sono paralizzati o drasticamente inibiti. Infine, non si possono girare film e fiction».

Motivo in più per attingere al serbatoio delle Teche Rai?

«Che sono un patrimonio enorme e ben gestito da Maria Pia Ammirati, come dimostra il successo di Techetechetè e di altri programmi che vi attingono. Ma sono operazioni che non si possono improvvisare dall’oggi al domani: parliamo di archivi enormi con vincoli derivati da tecnologie analogiche e in formati diversi da quello attualmente in uso».

Lei ha scritto che, per rinnovare i palinsesti, bisogna tenere anche conto delle «diverse sensibilità culturali»: che cosa vuol dire?

«Che c’è una varietà di pubblici di cui tener conto. Questa crisi ha dimostrato che esiste un Paese più ricco e variegato, culturalmente, di quanto fino a ieri ci diceva la maggior parte dei sociologi. Emerge un attaccamento alla famiglia e a valori identitari profondi che un mese fa venivano considerati quasi obsoleti. Per essere specchio di questo mondo, sapendolo accompagnare nella modernità, la Rai dev’essere versatile e polifonica».

A questo dovrebbero servire i canali di cui dispone oltre alle reti generaliste, ma la cui programmazione è poco nota ai telespettatori.

«Questo è un problema reale. Ci vorrebbe più gioco di squadra per dare visibilità anche nelle reti principali alla proposta dei canali tematici. Se l’azienda crede nella sua programmazione deve promuoverla adeguatamente».

È più facile dedicare alla cultura una rete o alcune fasce orarie?

«Premesso che la gestione del palinsesto non rientra nelle competenze del presidente, noi abbiamo già tre canali dedicati alla cultura: Rai 5, Rai storia e Rai scuola. Poi c’è Radio 3. Sono cresciuto alla scuola di Montanelli, imparando che compito di chi comunica è rendere semplice la complessità, e accessibili e godibili conoscenze che si ritenevano destinate alle élites».

Per questo è stato riproposto Ulisse – Il piacere della scoperta?

«La capacità e lo stile divulgativo di Alberto Angela sono un esempio cui rifarsi. Auspico che la Rai del futuro sia in grado di schierare altri conduttori che, come lui, sappiano coinvolgere con umiltà e semplicità un pubblico ampio e variegato, trasmettendo il fascino di contenuti altrimenti appannaggio di pochi. Per arrivare a questo traguardo occorre trovare chiavi culturali, interpreti giusti e un certo coraggio editoriale».

Esattamente ciò che suggerisce Avati.

«È una sfida che raccogliamo. Il servizio pubblico ha la fortuna di una stabilità economica che ci consente di sperimentare. E concordo sulla opportunità di scelte anche visionarie. Tuttavia, non possiamo permetterci il lusso di uscire dal mercato, trascurando completamente gli ascolti. Dobbiamo essere consapevoli che la crisi che stiamo attraversando cambierà il nostro modo di fruire l’arte e la bellezza. E anche il nostro modo di avvicinarci alla musica. In più, a mio avviso, questa situazione sta portando un’altra novità…».

Quale?

«Si sta riducendo la distanza tra le generazioni. Il coronavirus sta avvicinando figli, padri e nonni e ha fatto riscoprire il valore dell’autenticità dei sentimenti. Capiremo più avanti che cosa questo vorrà dire per il futuro».

Proprio per questo non varrebbe la pena di dare un segnale forte, programmando su una rete importante qualcosa di intergenerazionale su cui tutti concorderebbero, tipo I Promessi sposi o qualcosa del genere?

«Sono decisioni che esulano dalle mie competenze. Credo però che la cultura debba essere dinamica, non solo rivolta al passato. Alla fine degli anni Settanta la Rai ripropose Storia di un italiano attraverso i film di Alberto Sordi. Ebbe enorme successo, grazie a un racconto coerente di ciò che eravamo stati modulato sul presente».

Come ritrovare questa capacità di narrazione rappresentativa dello spirito del tempo?

«Oggi molti programmi sono produzioni esterne o parzialmente esterne. Grazie alla sua stabilità economica la Rai deve ritrovare centralità, riproporsi come fucina e palestra di talenti, catalizzatrice di autori, sceneggiatori e produttori, per far esplodere la creatività italiana di cui questa crisi può essere elemento deflagratore. Sarebbe un processo che l’intero mondo della cultura apprezzerebbe».

Oltre a lei, le personalità che si sono mostrate sensibili all’appello di Avati sono state Giordano Bruno Guerri, Renzo Arbore, Ernesto Galli Della Loggia, tutti di area moderata e conservatrice.

«Forse è un’area culturale in sintonia con lo spirito del momento. Vedo in questo fenomeno quasi una rivincita per tutto un mondo al quale appartengo, che ha continuato a produrre libri, arte, musica, teatro negli ultimi decenni senza ottenere la giusta ribalta. È significativo che un mondo che non sempre si espone, in questo caso si sia mostrato pronto. È il segno di un pluralismo e di una ritrovata ricchezza della cultura nazionale».

Come sta rispondendo il personale Rai all’emergenza?

«Lavorando unito, ben oltre le polemiche che spesso vengono dall’esterno. È lo storico orgoglio della Rai, fatto di collaborazione e solidarietà reciproca, di una voglia di fare che attraversa le squadre di tecnici, le redazioni e i gruppi autoriali e che, a volte, va frenata per restare nei parametri delle norme di sicurezza. Ma è uno spirito positivo che appartiene al dna del servizio pubblico, utile ad assecondare il Paese nel momento difficile che sta attraversando».

 

La Verità, 5 aprile 2020

L’idea bizzarra di Avati e gli spot fuori tempo

I palinsesti televisivi sono sintonizzati sul presente? La domanda, semplice e diretta, gira in testa da parecchi giorni. I talk show serali viaggiano su Skype con connessioni ballerine e non si può fare diversamente. Alcuni programmi hanno iniziato a essere repliche a causa dell’impossibilità di registrare con il pubblico. Un varietà come La Corrida, nel quale il pubblico in studio è protagonista, è stato cancellato. Di questo passo le repliche aumenteranno. Allora ha perfettamente ragione Pupi Avati. Perché non trasformare questa situazione in un’occasione? Perché è proprio «il pubblico da casa», cioè noi, a essere cambiato. Siamo diversi da prima, abbiamo una percezione della realtà e della quotidianità diverse. Stiamo iniziando a capirlo: ci sarà un prima e un dopo, inevitabilmente. Ma intanto siamo nel mentre: «un tempo sospeso, tra il reale e l’irreale, come in assenza di gravità», ha scritto sul Giornale il regista ora in attesa d’iniziare le riprese di Lei mi parla ancora, il film sulla storia d’amore fra Giuseppe «Nino» Sgarbi e Rina Cavallini, genitori di Elisabetta e Vittorio. «Mi chiedo perché la Rai… in un momento in cui il dio mercato al quale dobbiamo la generale acquiescenza all’Auditel, non approfitti si questa tregua sabbatica» per trasformare i palinsesti e dare «al Paese l’opportunità di crescere culturalmente… programmando finalmente i grandi film, i grandi concerti… i documentari sulla vita e le opere» dei grandi artisti, la prosa, la poesia, la letteratura. Gli archivi ne sono pieni. Collaborerebbero anche la Cineteca nazionale e quella di Bologna, ha assicurato Avati, intervistato dal Qn. È vero, in un momento così c’è anche molta voglia di evasione, come per esempio dimostra il palinsesto quotidiano suggerito da Marco Giusti su Dagospia. Ma c’è spazio per tutti. Basterebbe un canale Rai dedicato o alcune fasce orarie. Mediaset, per esempio, con una certa agilità, ha studiato «Con il cinema #andràtuttobene», un’iniziativa che trasformerà «la tv in una multisala» modificando con 50 film di qualità la programmazione di domenica 29 marzo e domenica 5 aprile delle reti Iris, 20 e Cine34. Anche i principali quotidiani, sfruttando la chiusura delle librerie e la maggior possibilità di leggere stando a casa, hanno iniziato la pubblicazione di collane di classici della letteratura. Saranno telespettatori e lettori a scegliere. Sarebbe un peccato che fossero i pubblicitari a dettare i palinsesti, in particolare del servizio pubblico. Tanto più ora che tutto l’advertising risulta anacronistico. Anche perché, fra l’altro, non si può comprare niente.

La Rai parla di futuro ma rilancia la Dandini

Lo slogan della Rai per il 2018-2019 è «Il futuro è già in programma», ma la sensazione è che il programma dovrà essere riveduto e corretto se non proprio resettato. Nonostante la presenza di gran parte degli artisti della casa, alla presentazione dei palinsesti negli studi di Via Mecenate a Milano tirava un’aria dimessa. Un senso di provvisorietà ha avvolto video e slide, appena mimetizzato dalla verve di Mario Orfeo, incrinata quando qualcuno gli ha citato il governo gialloverde. «Sono daltonico e non distinguo i colori», ha svicolato astutamente. Prima di illustrare un palinsesto che sarà un nuovo vertice a gestire, per puntellare la rotta incerta, l’amministratore delegato della Rai ha evocato e ringraziato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, facendo ricorso all’orgoglio di squadra del servizio pubblico, il cui compito è «accendere un calore, una voce, una compagnia. Qualcuno lo ha fatto meglio e ci ha insegnato molto», ha scandito, leggendo sul gobbo. Sul megaschermo alle sue spalle è comparso il primo piano di Fabrizio Frizzi che ha fatto scattare la standing ovation. «Questa immagine», ha proseguito, «è il ritratto del volto e del sorriso della Rai che vogliamo essere oggi e speriamo anche nel futuro». Quello che dovrebbe essere «già in programma», ma la cui scaletta, ieri, è stato difficile decodificare. Anche perché, per quanto si parli di futuro, il passato rimane sempre un porto sicuro visto che, dopo i remake di Rischiatutto e La Corrida, il pezzo forte sarà Portobello di Antonella Clerici.

Quest’anno i palinsesti non sono stati presentati rete per rete, con orari e giorni della settimana chiari affinché tutti potessero capire, bensì per grandi aree e con una serie di parole chiave, ben otto, all’interno delle quali sono stati affastellati titoli, generi e conduttori. Per dire: dentro «bellezza» è finito l’intrattenimento che «è una cosa seria», mentre sul video scorrevano i volti di Fabio Fazio, Renzo Arbore e Andrea Bocelli che inaugurerà la stagione di Rai 1 dall’Arena, e i volteggi di Roberto Bolle e dei concorrenti di Ballando con le stelle. Parlando di «partecipazione», invece ecco comparire Eleonora Daniele (Storie italiane), Elisa Isoardi (La prova del cuoco) e Caterina Balivo (Vieni da me), sedute vicine anche in platea, i quiz e L’Eredità condotta da Flavio Insinna. Per presentare l’informazione si è scomodata la «verità», per la fiction si è usato l’hashtag «libertà», per il cinema la parola «sogno», per le serie tv «fantasia». Non è stato facile cogliere il criterio delle varie categorie, considerato che gli unici titoli ai quali è stato dato risalto nella fiction sono stati L’amica geniale, Lorenzo il magnifico e Il nome della rosa, tre produzioni realizzate «con prestigiosi player di rilevanza mondiale». Il dubbio è che le presentazioni trasversali, per aree arbitrariamente delimitate, soccorra quando l’offerta è debole o quando non si vogliano far risaltare le differenze di contenuti tra una rete e l’altra.

Sempre rispettando la trasversalità, sono da registrare alcuni importanti ritorni. Oltre a quello di Mara Venier alla conduzione di Domenica in, con lo spostamento a ridosso del tg di Cristina Parodi, anche quello di Serena Dandini, «una donna intelligente e importante per l’intrattenimento e la satira», ha garantito il direttore di Rai 3 Stefano Coletta, riscuotendo l’applauso della claque presente. Nella «tv del cambiamento», come ha ironizzato a un certo punto Orfeo, e nella Rai che ha il futuro già in programma, per parlare dell’universo femminile, Dandini rispolvererà in prima serata le vecchie gag della Tv delle ragazze. A completare il capitolo, da segnalare il rientro di Licia Colò su Rai 2 con Niagara, dedicato allo «spettacolo della natura». Dopo i ritorni, gli spostamenti: il più importante dei quali riguarda Alberto Angela, trasferito su Rai 1 con Stanotte a… Pompei, prologo di quattro serate di Ulisse.

Nessun rimpianto, invece, su altri recenti abbandoni. Né a riguardo di Massimo Giletti, a proposito del quale Orfeo ha manifestato «solidarietà a Selvaggia Lucarelli per quello che le è stato riservato qualche domenica fa»; né di Milena Gabanelli, «che ha fatto una sua scelta e che spero possa tornare in Rai, con o senza di me». Nessun rammarico nemmeno per il mancato acquisto dei Mondiali di calcio, «un impegno non adatto al servizio pubblico», ha garantito l’ad, «perché Mediaset può compensare la spesa per i diritti non dovendo sottostare al tetto del 4% di affollamento pubblicitario». Orfeo è contento così, con i risultati di Fabio Fazio su Rai 1 (16.3% medio, +1.5% rispetto all’anno precedente) e il bis sanremese di Claudio Baglioni, collegato da Lampedusa, fiore all’occhiello della convention. Quanto a Fiorello «chi vivrà vedrà».

A palinsesti presentati, l’Ansa ha comunicato che l’11 luglio la Camera nominerà i suoi due componenti del nuovo Cda Rai, ai quali seguiranno quelli scelti dal Senato. Quale futuro «è già in programma»?

 

La Verità, 28 giugno 2018

 

Come la Rai ha sprecato il gioiello di Pupi Avati

Non si sa se sia la sciatteria, la mentalità da routinier o l’incomprensione bella e buona la causa che ha prodotto lo spreco di un piccolo gioiello come rarissimi se ne trovano nel bailamme delle nostre televisioni intrise di reality, barzellette e indovinelli, soprattutto d’estate. Qualche giorno fa Rai 1 ha trasmesso senza preavviso Il fulgore di Dony, film per la tv sceneggiato e diretto da Pupi Avati, e interpretato da Greta Zuccheri Montanari, Alessandro Haber, Lunetta Savino, Giulio Scarpati e Ambra Angiolini. È la storia di due ragazzi tra i quali si accende la scintilla di qualcosa che nemmeno loro sanno definire e che però li distingue l’uno all’altra. A separarli, sembra irreversibilmente, provvede un incidente sugli sci che relega lui in un mondo a parte, infantile, bisognoso di tutto. Soprattutto di lei, Dony, la ragazzina incrociata casualmente qualche tempo prima e che ora è l’unica in grado di mantenere e vivificare un rapporto misterioso perché lo ama contro tutto e tutti. Contro i genitori, che non si capacitano e la esortano a troncare. Contro il buonsenso, perché da un sentimento così non potrà mai trarre soddisfazione e gratificazione. Contro le esigenze dell’età, perché i tempi della scuola e della formazione sono lì a dettare le priorità. Non resta che ricorrere allo psicologo per trarla dalla stranezza. Tentativo vano: l’amore, la gratuità, l’innocenza non arretrano nella loro apparente follia. Anzi…

Insomma, una storia singolare, tanto introvabile da sembrare una favola; una storia, ha notato sul Sole 24 ore Pietrangelo Buttafuoco, di cui «solo in un punto di vista inaudito si può cogliere il senso». Una storia collocata «tra i residui del palinsesto», nella serata del Grande Fratello per capirci, e trasmessa evidentemente solo per deferenza verso il maestro del cinema. Per la Rai nulla di nuovo: è l’ennesimo esempio di un’occasione mancata, la possibilità di aprire uno squarcio sui nostri ragazzi, ostaggi di social e visualizzazioni, in un momento in cui l’educazione degli adolescenti è tra le prime emergenze nazionali. Non a caso persone come Alessandro D’Avenia, Susanna Tamaro, Antonio Polito, Franco Nembrini e Claudio Risé si dedicano principalmente a questo. Nel servizio pubblico della televisione non se ne sono accorti. Il fulgore di Dony doveva essere il primo di una serie di episodi dedicati alle beatitudini

Non era né sciatteria, né incomprensione, ma astuzia omologata. Avete visto? Noi siamo pluralisti, diamo spazio anche a un regista moderato come Avati, ma gli ascolti non l’hanno premiato.

La Verità, 7 giugno 2018

Mediaset vuole occupare il centro del sistema tv

Video, slide, grafici, soprattutto parole chiave. Alla presentazione dei palinsesti 2017-2018 ribattezzati, per l’occasione, «nuova offerta televisiva Mediaset», andata in scena l’altro ieri nel prestigioso Hotel Hermitage di Montecarlo recuperando una consuetudine in auge una decina d’anni fa – per dare un segnale anti Vivendi alla stampa francese? o per dare uno schiaffo all’idea di essere in crisi? – la novità più significativa è negli slogan della comunicazione adottati dai dirigenti della tv commerciale di Cologno Monzese. C’è meno martellamento rutilante di un tempo, a tutto vantaggio della nitidezza dei concetti, nei filmati e negli speech con i quali il direttore generale del palinsesto, Marco Paolini, dell’informazione, Mauro Crippa, e dei contenuti, Alessandro Salem, hanno tracciato le linee guida del Biscione che verrà. Pochi e chiari slogan. A cominciare da «sistema crossmediale»: per descrivere un impegno sempre più trasversale tra tv generalista, tematica e in streaming, radio e web (Piersilvio Berlusconi ha annunciato l’acquisto di Radio Subasio, cha si aggiunge a R 101, Radio 105, Virgin radio). Poi «made in Mediaset»: per indicare la tv fatta in casa e l’impegno nelle autoproduzioni di contenuti originali, con un messaggio indiretto agli editori multinazionali, Sky in primis, autori di una tv prevalentemente fatta di format «tradotti ed estratti dal congelatore». Infine, sempre nella stessa direzione, l’ambizioso «Mediaset, la nazionale della tv»: per sottolineare la priorità dei contenuti italiani, con un’ambizione di rappresentanza del Paese che potrebbe infastidire la Rai, detentrice del ruolo di servizio pubblico.

Il vertice Mediaset alla presentazione dei palinsesti 2017/2018

Il vertice Mediaset alla presentazione dei palinsesti 2017/2018

Mediaset, insomma, punta sulla creazione e il consolidamento del talento italiano. Ed è come se, con questi slogan e queste rivendicazioni, volesse occupare il centro del sistema televisivo nel suo complesso. Un centro industriale, creativo, produttivo, editoriale. Resta da vedere se e fino a che punto ci riuscirà. Intanto, come ha specificato Salem, la produzione si sviluppa attraverso «diversi gruppi di lavoro, quello della Fascino di Maria De Filippi, quello di Antonio Ricci, quello di Paolo Bonolis, di Davide Parenti e delle Iene, i laboratori comici e dei reality. Tutto concepito come una grande e unica officina creativa dell’intrattenimento». Lo scopo è profilare più possibile il pubblico, concentrandosi sul target commerciale. Non a caso, esemplificando, Salem ha paragonato gli ascolti di una serie di programmi Rai e Mediaset (Stasera casa Mika e Le Iene, Facciamo che io ero con Virginia Raffaele e Buona la prima, Ballando con le stelle e Amici) evidenziando che, se a volte la share generale premia i titoli Rai, sul target tra 15 e 64 anni il vantaggio dei programmi Mediaset è notevole e a volte abissale.

Insomma, una nuova filosofia editoriale, una nuova confezione per contenuti solo in parte inediti. Canale 5, per esempio, riproporrà molti marchi storici. Come quelli targati Maria De Filippi (C’è posta per te, Amici, Tu sì que vales, House party) e quelli firmati da Paolo Bonolis (Music e Chi ha incastrato Peter Pan?). Tornerà il Grande fratello vip, sempre con Ilary Blasi, mentre per Scommettiamo che i conduttori sono da definire. Confermati in seconda serata Matrix con Nicola Porro e Piero Chiambretti e L’intervista di Maurizio Costanzo. Nell’access primetime saranno riproposti Caduta libera e Avanti un altro, mentre Gerry Scotti testerà The Wall, format inedito di un quiz americano rivisitato da Endemol. L’intoccabile Striscia la notizia giungerà alla trentesima edizione. Squadra che vince non si cambia, anzi. L’obiettivo è consolidare i cavalli di battaglia, «per arrivare presto a cinque serate settimanali autoprodotte internamente», ha sottolineato Berlusconi.

Maggiori novità si riconoscono nel palinsesto di Italia 1, dov’è previsto un programma inedito di Nicola Savino che, di ritorno dalla Rai, andrà anche a irrobustire la squadra di conduttori delle Iene. A proposito di ritorni, particolarmente gradito è quello della Gialappa’s band. Altre novità: Big show con Andrea Pucci, il reality Surviving Africa (conduttore da definire dopo le divergenze con Raz Degan) e l’adattamento per la rete giovane del Senso della vita di Paolo Bonolis. Tutta confermata, invece, la linea dell’informazione di Rete 4, con Dalla vostra parte condotto da Maurizio Belpietro, direttore della Verità, «una risorsa per noi fondamentale», ha sottolineato Mauro Crippa, Quinta colonna, Terzo indizio e Quarto grado. Alla quale andranno ad aggiungersi una serie di documentari realizzati da Vincenzo venuto e Madre mia, una docu-fiction con AlBano che racconterà un secolo d’Italia vista dalla famiglia Carrisi.

Dopo gli anni dei successi con Distretto di polizia, Il capo dei capi ed Elisa di Rivombrosa, per citare tre generi diversi, cui ha fatto seguito un periodo di appannamento concomitante con la crisi degli investimenti pubblicitari, la fiction e le serie tornano centrali anche in Mediaset. Dal gruppo di scrittura di Paolo Genovese uscirà la serie tratta dal film Immaturi. Poi arriveranno Rosy Abate con Giulia Michelini e Liberi sognatori, quattro tv movie per raccontare altrettante «figure eroiche della cronaca italiana assassinate dal crimine organizzato tra gli anni Settanta e Novanta», e L’Isola di Pietro con Gianni Morandi protagonista.

Dall’autunno diverrà operativa anche la nuova piattaforma digitale di Mediasetplay, illustrata da Pier Paolo Cervi. Il nuovo sistema consentirà la condivisione dei contenuti su tutti i dispositivi, con i servizi over the top, la funzione restart, la visione differita su mobile, la massima interattività tra smartphone e smart tv «senza bisogno di decoder e parabole e con l’uso del telecomando già in dotazione».

Il 2018 dovrebbe essere l'anno buono per «Adrian»

Il 2018 dovrebbe essere l’anno buono per «Adrian»

Tra le altre notizie annunciate da Berlusconi jr c’è il closing per l’acquisto del canale 20 del digitale terrestre, ma la scelta se farne una rete tematica o generalista non è ancora stata fatta. Chiusura in bellezza con Adrian di Adriano Celentano, il fumetto utopistico anarcoide disegnato da Milo Manara, musicato da Nicola Piovani e scritto da Vincenzo Cerami e Alessandro Baricco, già più volte annunciato e di cui, finalmente, si è visto un breve trailer. Dall’inizio del 2018 dovremmo riuscire a vedere tutti 13 gli episodi.

 

La Verità, 7 luglio 2017

 

«Sono innocente» e non solo: parte bene il 2017 Rai

Sono innocente è il nuovo programma del sabato sera di Rai 3. Ed è la quarta novità di questi primi giorni del 2017 – le altre sono Il Collegio di Rai 2, Un selfie con il Papa su Rai 3 e ieri sera la serie I Bastardi di Pizzofalcone su Rai 1. Tutto si potrà dire di questa Rai, ma certo non che non abbia provato a rinnovare i palinsesti. Chi scrive di televisione lo sa perché iniziando di frequente nuovi programmi corre l’obbligo di commentarli. Usando una metafora calcistica vien da dire che, con tanta iniziativa, è la Rai che fa la partita. Certo, non sempre tutto questo volume di gioco porta al gol, ma di sicuro tiri in porta ne fa parecchi.

Sono innocente è ispirato alla formula del true crime, casi giudiziari realmente accaduti che vengono ricostruiti attraverso la testimonianza diretta dei protagonisti, di alcuni attori che li interpretano in brevi filmati e delle interviste in studio realizzate dal conduttore, il giornalista del Tg1 Alberto Matano (sabato, ore 21.15, share del 5.65 per cento). Purtroppo è la cronaca a fornire la materia di questa serie di errori giudiziari che vedono persone comuni restare stritolate dall’ingranaggio della giustizia e da certi suoi perversi meccanismi. Diego Olivieri è un imprenditore vicentino che, sulla base delle rivelazioni di un pentito viene arrestato con l’accusa di riciclaggio di denaro sporco e spaccio di ingenti quantità di cocaina. La sua odissea dura oltre quattro anni, uno dei quali trascorso nelle carceri di massima sicurezza, fino al completo scagionamento perché «il fatto non sussiste». Maria Andò, invece, è una ragazza di Palermo, studentessa universitaria e frequentatrice della parrocchia, accusata di rapina e tentato omicidio perché somigliava molto alla vera colpevole. Il paradosso è che studiava giurisprudenza aspirando a fare il magistrato, in quanto «fin da piccola non ho mai sopportato le ingiustizie». Anche lei finisce in prigione per essere scarcerata quando ormai l’esperienza della galera l’ha segnata.

Nonostante il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati avesse sortito un risultato netto, nel nostro Paese, a differenza di tutte le catogorie, le toghe continuano a non dover rispondere dei loro errori. Anche la situazione disumana delle carceri è un’altra di quelle litanie che si sentono cantare spesso sui giornali senza che si sia mai arrivati a una risposta degna di questo nome. Le storie vere di Sono innocente hanno il merito di riportare l’attenzione su queste problematiche degne di un Paese sottosviluppato.

La Verità, 10 gennaio 2016

La tv di Freccero e quella di Campo Dall’Orto. Tre domande

Ma insomma, come sono questi palinsesti Rai? E perché uno che se ne intende come Carlo Freccero ha votato contro? Le domande sorgono spontanee, e la risposta alla seconda – senza che il giudizio dello Continua a leggere