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Giambruno resta a Mediaset ma lascia il video

Fine delle conduzioni. L’ex compagno del premier lascia il video del Diario del giorno e torna dietro le quinte, nel ruolo di coordinatore dello stesso programma. Lo si legge nella nota diffusa da Mediaset in serata. «Andrea Giambruno, dispiaciuto per l’imbarazzo ed il disagio creato con il suo comportamento, ha concordato con l’azienda di lasciare la conduzione in video del programma Diario del giorno, di cui continuerà a curare il coordinamento redazionale». È la soluzione più logica e plausibile alla quale si è arrivati al termine di una convulsa giornata di riunioni e verifiche. Nel comunicato è rilevante la sottolineatura del dispiacere per l’imbarazzo e il disagio creato all’azienda. Un’ammissione che verosimilmente eviterà al giornalista procedimenti disciplinari.

Non era facile trovare la quadratura del cerchio. Giambruno dietro le quinte è l’uovo di Colombo trovato dal direttore dell’Informazione Mediaset Mauro Crippa e da Andrea Pucci, responsabile dell’agenzia NewsMediaset, che per tutto il giorno hanno vagliato le varie ipotesi in campo. La soluzione che ha decongestionato il clima in azienda e anche, in qualche modo, il rapporto con il mondo della politica. È la decisione che rasserena un po’ tutti.

Da qualsiasi parte la si prendesse, le probabilità di rimanere scottati erano elevatissime. Lungi dal raffreddarsi, col passare dei giorni, la patata restava bollente. Giorgia Meloni era riuscita a voltare rapidamente pagina – fatto salvo che il suo ex compagno è il padre di sua figlia – rientrando nei panni del suo ruolo istituzionale. Si leggerà sul prossimo numero di Chi la versione di Giorgia, perché ha detto «addio a Giambruno». A Mediaset, invece, ci si trovava in mezzo al guado. Ieri mattina il conduttore del Diario del giorno che, d’accordo con la direzione di testata, si era autosospeso fino a venerdì, si era presentato a Cologno monzese per discutere la sua posizione. Archiviata la relazione con il premier, Giambruno voleva proteggere profilo professionale e rapporto con Mediaset. Possibilmente tornando a condurre il programma su Rete 4 già da lunedì. Si profilava un braccio di ferro imbarazzante per tutti. Anche perché il giornalista sembrava deciso a tenere il punto.

Ci si trovava davanti a un crocevia con parecchie strade. Il licenziamento da Mediaset, la più drastica e la meno probabile delle ipotesi. Il ritorno alla conduzione di un telegiornale, Studio aperto o Tg4, mansione che ricopriva fino a un anno fa. La scelta di restare dietro le quinte, al desk di un tg. La ripresa della conduzione del Diario del giorno. Infine, la quinta possibilità, forse la più vicina, togliersi dal video e continuare a lavorare al programma, dal coordinamento redazionale.

La strada meno probabile era il licenziamento. Ma bisognava vedere che piega avrebbero preso le diverse verifiche aperte dagli organismi professionali a carico di Giambruno. Sulla vicenda devono pronunciarsi il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e il relativo Consiglio di disciplina territoriale che valuterà eventuali sanzioni disciplinari. E deve esprimere una valutazione anche la Commissione pari opportunità della Fnsi che sarà mandata al presidente dell’Ordine dei giornalisti lombardi. Ecco perché, all’opposto del licenziamento risultava poco praticabile anche il ritorno alla conduzione del programma, quasi come se nulla fosse accaduto.

Anche perché, con buona pace delle narrazioni del giornalone unico nazionale che tifano per il naufragio del governo, i vertici di Mediaset non avevano alcuna intenzione d’inasprire il rapporto con Giorgia Meloni. Non era in atto nessuna resa dei conti tra Forza Italia e Fratelli d’Italia tramite i fuori onda di Striscia la notizia. In un momento di complessa gestione del post Silvio Berlusconi Forza Italia non è certo interessata ad acuire i contrasti. Dovesse cadere il governo per un’azione di disturbo attribuibile al partito retto da Antonio Tajani, quando mai e alleato di chi potrebbe rientrarci? Le elezioni europee si avvicinano a grandi passi e nella maggioranza tutto sembra convergere a rinsaldare l’alleanza.

Qualche giorno fa Antonio Ricci aveva rivendicato piena e totale autonomia sui fuori onda. «La cosa che mi ha più stupito è che per il 90% dei giornali sembra impossibile che possa esistere qualcuno che prende iniziative di testa sua e non sia un mero ventriloquo», è sbottato per smontare le troppe «ricostruzioni mirabolanti».

Tornando a Giambruno, un trattamento non punitivo nei suoi confronti sarà visto come un segnale di distensione anche a Palazzo Chigi. Il suo ritorno alla conduzione sarebbe stato impossibile da gestire. Ogni sua smorfia sarebbe stata monitorata dai cellulari di colleghi e colleghe e dalle telecamere in bassa frequenza del circuito interno di Cologno. A precisa domanda se auspicasse questa soluzione «l’imperatore dei rompicoglioni» (copyright Fedele Confalonieri), aveva risposto: «Certamente». Stando a ciò che aveva fatto trapelare e contrariamente a quanto paventato da molti retroscenisti, «il frigo» è vuoto e solo così avrebbe potuto tornare a riempirsi. Invece…

 

La Verità, 25 ottobre 2023

Ricci: «Su Giambruno ricostruzioni mirabolanti»

Sto bene, sto molto bene, faccio il mio lavoro come sempre». A margine del vertice sulla pace in corso al Cairo, Giorgia Meloni risponde telegrafica a chi vuol sapere quanto le sia costato un viaggio diplomatico tanto impegnativo all’indomani della separazione da Andrea Giambruno. La questione è archiviata e il premier rientra interamente nel suo ruolo istituzionale: «Non so cosa non sia chiaro del fatto che non voglio più parlare di questo», ha tagliato corto. Nel post con cui ha annunciato la fine della sua relazione con il compagno «non c’è una parte politica». Insomma, storia chiusa e fine delle dietrologie.

Il giorno dopo il ciclone che ha scosso i palazzi della politica innescando la solidarietà al Capo del governo dei leader di tutti i partiti con la sola eccezione di Elly Schlein, il caso partito dai fuorionda di Striscia la notizia si raffredda e rientra nelle interpretazioni più realistiche. Nella missione di abbattere il governo delle destre di cui si sono auto investite le grandi firme del giornalone unico nazionale anche l’arma della vita privata può tornare utile. Purtroppo però non è in corso nessuna guerra tra Mediaset e Giorgia Meloni. Non c’è alcun pizzino inviato al premier per la decisione di tassare gli extraprofitti delle banche partecipate da Fininvest. Insomma, non esiste alcuna volontà di Marina e Pier Silvio Berlusconi d’indebolire il governo in carica. Retroscenisti e tessitori di fantasiose ricostruzioni se ne facciano una ragione.

«Non sapevo nulla di Striscia, altrimenti te l’avrei detto», ha confessato Berlusconi jr. a Meloni venerdì sera durante una conversazione telefonica definita «cordiale» e «di vicinanza». È tutta opera dell’incontrollabile Antonio Ricci. Il quale, ribattezzato per l’occasione «re dei rompicoglioni, anzi, imperatore dei rompicoglioni» da Fedele Confalonieri, ha provveduto a gettare definitivamente nello sconforto i tifosi della via gossippara alla crisi istituzionale. «Del caso “fuorionda” ho letto ricostruzioni mirabolanti, complottarde, a volte incredibili, ma tutte divertenti», ha premesso il padre del tg satirico di Canale 5 prima di fornire la sua versione «naturalmente senza nessuna pretesa di esser creduto, ci mancherebbe, ma solo per dare un contributo al dibattito», ha gigioneggiato. L’inventore di Striscia ha spiegato di aver letto un’intervista su Chi a Giambruno (quella in cui l’ex compagno adombrava la possibilità che lui e Giorgia si fossero già sposati in segreto) che corrispondeva a una sorta di «beatificazione». Così ha «pensato subito di utilizzare l’antidoto. Da una fortunosa pesca estiva avevo due fuorionda del giornalista in frigo». Ecco spiegato anche l’uso differito dei filmati in cui Giambruno parla dell’incidente di Casal Palocco e, sistemandosi la patta, fa avance volgari e sessiste a una collega del Diario del giorno. La beatificazione ha fatto da stura al dissacratore Ricci. Distanziato di quasi dieci punti di share da Affari tuoi di Amadeus il tg satirico del Biscione non primeggia negli ascolti e le gravi intemperanze del partner del premier potevano tonificarli. Così il padre di Striscia ha attinto alla miniera delle registrazioni in bassa frequenza o dai video girati col telefonino da qualcuno che non simpatizzava per lo strafottente Giambruno. Probabilmente ne aveva altri a disposizione, forse ancor più imbarazzanti: «Un giorno Giorgia Meloni scoprirà che le ho fatto un piacere», aveva buttato lì venerdì Ricci.

Quella dei fuorionda è una tecnica già adottata in passato colpendo, solo per citare i casi più memorabili, l’Emilio Fede arruffone alla direzione del Tg4, il Flavio Insinna furioso di Affari tuoi e lo stesso Silvio Berlusconi, protagonista involontario della serie del Cavaliere mascarato. Stavolta il caso Giambruno non ha smosso la colonnina dell’Auditel, lasciando lo share attorno al 15% (3 milioni di telespettatori circa). In compenso, Striscia la notizia e il suo fondatore hanno riconquistato visibilità mediatica globale, approdando sulle maggiori testate digitali e cartacee del pianeta. «La cosa che mi ha più stupito di tutto il dibattito», ha concluso, sardonico, Ricci, «è che per il 90% dei giornali sembra impossibile che possa esistere qualcuno che prende iniziative di testa sua e non sia un mero ventriloquo».

Dal canto suo, lungi dall’uscire indebolita dalla vicenda, Meloni continua a raccogliere la solidarietà di esponenti politici di schieramenti diversi come l’ex ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti confluita in Azione: «Ha fatto chiarezza e dichiarato di voler tutelare la vita privata propria e di sua figlia, un gesto di dignità e una richiesta di riservatezza della sfera privata rispetto a cui tutti dovremmo attenerci»; e la sua collega di partito ed ex ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini: «Nella situazione di Meloni si possono riconoscere molte altre donne, le separazioni sono sempre passaggi dolorosi. E l’operato del Presidente del Consiglio lo si valuta da ciò che fa o meno per l’Italia, non dalla sua vita privata».

 

La Verità, 22 ottobre 2023

Il manifestival e l’obbligo di vedere i Måneskin

Le pagelle della terza serata del 73° Festival di Sanremo

Morandi Sangiovanni, il vintage che vince. Voto: 8

Sono il manifestival, manifesto + festival. Vedi alla voce intergenerazionalità. Sessant’anni (quasi) di differenza e non sentirli perché parlano la stessa lingua, quella della semplicità e della freschezza, e cantano la stessa musica, quella di Fatti (ri)mandare dalla mamma. Non ci sono blasoni e orgogli da difendere. Da uomo risolto, Morandi ha l’arte di mettersi sempre in gioco, Sangiovanni l’umiltà di riconoscere il maestro. E il momento revival scatena l’Ariston.

Måneskin, il trionfalismo fa autogol. Voto: 5

Salutandoli e promuovendo la loro tournée Amadeus ha scandito, testuale: «È impossibile non vedere i Måneskin». Ecco. L’enfasi. L’isteria collettiva. L’imperativo. L’obbligo sociale. Su Damiano e soci è in atto una guerra di religione. Vietato criticarli. Vietato dire che non sono i Led Zeppelin e che il glam rock l’hanno inventato David Bowie e i Roxy music. E che, al confronto, il loro rock e i loro look risultano plasticosi.

Paola Egonu, il vittimismo ingrato. Voto: 5

«L’Italia è razzista». Una ragazza che da un Paese ha avuto il successo, la Nazionale di volley, il cavalierato dal presidente della Repubblica e il palco di Sanremo (pagato dai soldi del canone) accusa quel Paese di essere razzista. E afferma di non volerci far crescere un figlio… Un sonoro moto di rabbia è il minimo. Misuriamo le parole. Controlliamo i pensieri. Nel monologo della serata modera un po’ i toni: siamo tutti uguali oltre le apparenze. Forse converrebbe contare fino a 10 prima di lanciarsi in battaglie più grandi di sé. Ed evitare di salire sulla giostra dei finti scoop azionata da giornalisti e media interessati a cavalcarli.

Gianluca Grignani, l’autocritica fa strada. Voto: 7

A un certo punto, mentre era ben oltre la metà della sua Quando ti manca il fiato ha alzato la mano, non è ancora chiaro se smadonnando, e fermato orchestra e coriste. Aveva dato indicazione di seguire una tonalità rivelatasi troppo alta. E gli è mancato il fiato, letteralmente. Colpa mia, ha detto. Si ricomincia da capo. Ammettere di aver sbagliato è segno di maturità. Appunti per Blanco.

Lazza, anche i rapper hanno un cuore. Voto: 7

Canta Cenere con voce potente. È primatista di durata al primo posto in classifica, ma non se la tira. Ha tatuaggi ovunque e veste in modo improbabile. Ma alla fine chiede il permesso di fare una cosa. E corre in platea a porgere i fiori a sua madre, «una persona speciale».

Striscia la notizia, disturbatori situazionisti. Voto: 8

Al comune di Sanremo, proprietario del marchio del Festival è arrivata l’offerta di una cordata per organizzare la gara canora il prossimo anno. Non è scritto da nessuna parte che sia un monopolio Rai. Lo rivela Pinuccio, l’inviato di Rai Scoglio 24. Il sindaco conferma che l’offerta sarà valutata. Non male come scossa. Un’altra più piccola la dà Enrico Lucci in conferenza stampa. «Invitate Giorgia Meloni alla serata finale? Ha già il vestito pronto. Verrebbe con Salvini e La Russa. Del resto, avete invitato Mattarella, Zelensky e tutti quanti…».

 

 

«Io e Ricci, la più longeva simbiosi della satira»

Lorenzo Beccati non si vede mai, ma è popolarissimo. Forse non di nome, ma per la voce, che è quella del Gabibbo di Striscia la notizia, di cui è autore storico. Genovese di nascita, residente ad Alassio, la città di Antonio Ricci con il quale lavora da quarant’anni, Beccati si sta ritagliando uno spazio anche come scrittore di thriller storici, grotteschi, gialli. L’ultimo romanzo, pubblicato da Oligo editore, s’intitola Uno di meno, ed è ambientato nella Genova del 1600.

Quando e perché ha cominciato a scrivere?

Quando facevo cabaret nei teatrini con il mio gruppo, i Cospirattori, scrivere era una necessità. Parliamo degli anni Settanta. Visti i buoni risultati, altri comici mi hanno chiesto di farlo per loro. Ho collaborato a lungo con Gigi e Andrea e Pistarino. Ci sono autori che suggeriscono idee e fanno una scaletta. Io e Ricci siamo della vecchia scuola, ligi al copione parola per parola. Una puntata del Drive in era una roba di 50-60 pagine. Siccome poi ho sempre amato i libri, a un certo punto ci ho provato.

Perché romanzi storici?

All’inizio erano libri umoristici… Poi ho cominciato a incuriosirmi alla storia di Genova, ai carruggi… Ho scoperto il 1600, il secolo delle Repubbliche marinare e della nascita delle banche. Ho consultato testi antichi, frequentato gli archivi di Stato e ora mi sento a casa in quell’epoca. Uno dei primi romanzi, Il guaritore di maiali, vendette discretamente ed è stato tradotto in Germania. Così, ho proseguito.

Dietro la trama di fantasia c’è molta documentazione?

La base è la storia reale. Nell’ultimo romanzo c’è un Doge durato appena 40 giorni, il dipinto di Bernardo Strozzi della ragazza che spiuma le oche, «il genovesino», un tipo di coltello… Un attore scrive il monologo e poi improvvisa. Anche nel romanzo storico c’è ambiguità, realtà e fantasia si mescolano come nella comicità. Nelle note finali preciso cos’è reale e cos’è finzione.

Quando trova il tempo di scrivere?

Durante l’anno sarebbe impossibile. Ma d’estate, ad Alassio, cedo raramente al piacere del mare e mi dedico alla scrittura.

Serve a decantare lo stress del lavoro di autore tv?

Diciamo che è un lavoro più interiore, mentre quello di Striscia è collettivo, di condivisione di testi che innescano il monologo del comico o chiudono i servizi. Striscia è centrata sull’attualità, io mi rifugio nella storia. Sono diversi anche i tempi: pochi minuti in tv, orizzonti ampi nei romanzi. Anche se i miei non sono bestseller, ho un pubblico di fedelissimi. Ultimamente capita spesso che qualcuno di loro mi chieda di firmare copie dei miei primi libri.

Con la letteratura cerca la visibilità che il lavoro di autore non dà?

Assolutamente no. Innanzitutto perché come autori si è conosciuti. E poi, se mi fosse interessata la visibilità, avrei potuto continuare a fare il cabarettista. Mi è più congeniale stare dietro le quinte. Infine, interpretando il Gabibbo sono conosciuto pur non apparendo. Anche Antonio, che sul palco era molto bravo, quando s’impose Beppe Grillo scelse di cambiare vita e concentrarsi sui testi. Dal Drive in a oggi sono passati quarant’anni: salvo pochissime eccezioni, come autori si dura di più dei comici.

È molto duraturo anche il suo matrimonio professionale con Ricci.

Ci siamo conosciuti in vacanza, ma non ci siamo subito frequentati. All’inizio degli anni Settanta Antonio si esibiva con sua sorella Cecilia nel teatrino di Piazza Marsala a Genova. C’erano anche Paolo Poli e Paolo Villaggio. Io iniziai al Teatro Instabile, si chiamava così in polemica con lo Stabile di Genova e anche perché ci cacciavano spesso. C’erano Tullio Solenghi e Beppe Grillo… Non avevo ancora 18 anni.

Come arrivò a Drive in?

Scrivevo i testi di Pistarino e Ricci mi chiese di collaborare con continuità. Era il settembre del 1984, da allora lavoriamo gomito a gomito.

Che esperienza è lavorare con uno così?

È imparare da un genio, da una persona che va a caccia della verità. Anche quando montiamo i servizi, c’è sempre grande rigore. Ricci è uno che la satira ce l’ha «pronta beva», come diciamo noi.  Conosce i meccanismi della comunicazione come nessun altro. Satira e comunicazione sono una vena inesauribile nella quale gli autori hanno grande possibilità di inventare e creare satira.

Mai pensato di fare nuove esperienze?

E perché mai? A qualcuno può sembrare che esageri, ma il lavoro a Striscia è appagante.

Conducete una vita monacale.

Iniziamo alle 9,30 e finiamo alle 21,30, dopo la messa in onda. L’indomani ricominciamo da capo, come le casalinghe. Dove sono gli inviati, cosa scrivono gli autori, a chi porta il Tapiro Valerio Staffelli… Stiamo sempre sul pezzo, il telefono non si spegne mai. Arrivano centinaia di segnalazioni al giorno.

Anche nei migliori matrimoni ci sono incomprensioni e contrasti: voi?

Discussioni su lavori da correggere, quelle sì. Ma screzi veri mai. C’è grande rispetto tra persone che si vogliono bene. Se non fosse così, all’età che abbiamo e non avendo figli potremmo anche separarci…

Qual è stata la soddisfazione più grande come autore?

Impossibile dirlo perché è un lavoro gruppo. Non lo potrebbe dire nessuno. Abbiamo fatto tante campagne importanti, da Vanna Marchi alle mascherine anti Covid, ma è tutto condiviso.

Come dividerebbe le percentuali del successo di Striscia la notizia: genialità di Ricci, lavoro di squadra, documentazione…

La direzione e la capacità di Antonio conta per il 50%. La ricerca maniacale della verità il 20%. L’appoggio del pubblico e le segnalazioni esterne il restante 30%. Il contributo della gente è importante per trovare le notizie e partire con le campagne o i tormentoni.

Cosa fate quando arrivano le segnalazioni?

C’è un gruppo di persone che le vaglia e fa le prime verifiche. Poi incarichiamo gli inviati sul territorio di approfondire. Il 90% delle segnalazioni è vero. Infine, c’è il lavoro degli autori, una dozzina in totale.

Quanto conta il talento e quanto l’applicazione?

Il talento non si insegna, l’applicazione sì. Bisogna stare sul pezzo, lavorare di lima. Ci sono anche gli impiegati della risata perché la battuta, in fondo, è una formula matematica. Ma è il talento a fare la differenza.

Ricci legge i suoi libri?

È il primo a riceverli e in pochi giorni mi dà il suo giudizio. Non ama i gialli, Il pescatore di Lenin è il suo preferito. Una volta mi ha preso in castagna su un cantante lirico che avevo descritto come tenore, invece era un baritono.

Ha già in mente il prossimo?

Mi sono incuriosito al filetto alla Voronoff, scoprendo che Serge Voronoff fu un famosissimo chirurgo e sessuologo, un uomo molto ricco del secolo scorso. Si era occupato del ringiovanimento sessuale maschile attraverso l’innesto dei testicoli di scimpanzè. Ha vissuto in un grande castello a Ventimiglia fino al 1939, quando fu costretto a fuggire in America. Tornò a guerra finita e rimise a posto il castello bombardato. Ora è un bad&breakfast di lusso.

Ha mantenuto i rapporti con il gruppo di comici dei primi anni?

Con Grillo non ho mai avuto rapporti diretti. Ogni tanto vedo quelli del Drive in, seguo gli spettacoli di Solenghi, di Pistarino, di Sergio Vastano e leggo i libri di Enzo Braschi. Mi manca molto Giorgio Faletti.

 

Panorama, 27 aprile 2022

«Io, mio padre, Berlusconi e l’Mma con la vita»

Volto giovane dei talk show di Michele Santoro, writer nella Milano degli anni Zero, autore di Striscia la notizia per un decennio. Frequentatore di Silvio Berlusconi ad Arcore, candidato nella lista di Pisapia sindaco, regista con master a New York, praticante di Mma (Arti marziali miste). Il quarantunenne Francesco Mazza è tutto questo. Il suo rovello, però, è il padre. Lo si capisce da Il veleno nella coda (Laurana), sorta di doppia autobiografia, presentata al Premio Strega da Francesco Pacchiano, uno dei più autorevoli critici letterari in circolazione. Suo padre era il dentista di fiducia di Berlusconi, colui che gli rifece zigomi e sorriso dopo che Massimo Tartaglia lo colpì con una miniatura del Duomo di Milano. Era: perché il 4 settembre 2019 Massimo Mazza ha messo fine alla sua esistenza sulle montagne russe suicidandosi. È la prima scena di questo viaggio nel retrobottega del ventennio berlusconiano. Televisione, successo, donne, fama e politica in un corpo a corpo senza riserve con la vita.

Da dove mi risponde?

«Santo Domingo».

Perché si trova lì?

«Lavoro per una società italiana attiva in Sudamerica».

Cosa fa di preciso?

«Sono chief strategy officer di un’azienda che si occupa di diritto all’oblio sul Web. La mia vita incasinata mi ha dato delle competenze in materia».

Tipo?

«Competenze legate alla sopravvivenza, apprezzate in campo finanziario. Argomento controverso».

Proviamo a sviscerarlo.

«Sono stato alcune volte vicino al punto di non ritorno, ma sono sopravvissuto. Questo può servire nel campo della finanza, dove ogni giorno si rischia di saltar per aria o di diventare miliardari. Le faccio un esempio».

Prego.

«Quando per disegnare i graffiti sui vagoni della metro si sfiorano i cavi dall’alta tensione basta poco per finire fulminato. Saper controllare quell’emozione torna utile nella gestione delle problematiche finanziarie».

Nella finanza c’è molta domanda di oblio?

«Per reazione all’ostentazione dei social si sta sviluppando una forte controtendenza a sparire. La privacy può essere un bene più prezioso del gas».

Parliamo di oblio virtuale o reale?

«È la stessa cosa. Se uno non esiste su Google non esiste nella vita reale».

Oblio per evasori?

«No. Non è mai esistito nella storia un posto dal quale in un nanosecondo si possono attingere tutte le informazioni su una persona. C’è gente che non ha piacere che questo accada e vuole iniziare una nuova vita. A brand new life, come dicono gli americani».

Persone che desiderano una nuova identità, uno pseudonimo?

«Persone che desiderano una neutralità di sguardo, che non ci sia un’idea precostituita su di loro. Molti lavorano per accumulare prove della propria esistenza su Google. Altri darebbero qualsiasi cifra per non comparire su Wikipedia».

Cancellare le tracce per nascondere qualcosa?

«Ci sono limitazioni legali. Il diritto alla non menzione è previsto dalle leggi, ma decade se la persona ha una funzione pubblica».

«Anti scrittore» è una definizione che le piace?

«No. Secondo me lo scrittore sono io e gli anti scrittori sono gli altri».

L’esatto contrario.

«Io scrivo per farmi leggere, la maggior parte degli scrittori italiani per compiacere il proprio circolino di riferimento».

Per esempio?

«I finalisti del Premio Strega».

Se il suo libro fosse entrato nella dozzina non direbbe così.

«Gli Amici della Domenica possono presentare dei libri e un signore molto rispettabile come Giovanni Pacchiano ha proposto il mio. Che entrasse nella dozzina aveva la stessa probabilità che io possa diventare un bramino indiano».

Mai dire mai. Non anti scrittore ma eccentrico al sistema?

«È la cittadella della cultura italiana a essere fuori dalla realtà. Perciò quando uno scrive cose realistiche diventa un anti scrittore. Dire che “è un libro di una sincerità estrema” ha senso in un mondo dominato dall’ipocrisia».

Come spiega che sia stato escluso sebbene alcuni addetti l’abbiano definito il miglior libro del 2021?

«Conta di più il fatto che questo libro non l’ha cagato nessuno. In America se ne sarebbe parlato, in Italia se un prodotto non è collocabile a destra o a sinistra finisce nel cono d’ombra».

Un libro caduto nell’oblio?

«Un libro che racconta una generazione condannata all’oblio non può che essere condannato all’oblio».

Nonostante la presenza di alcuni importanti personaggi pubblici?

«Anche ritratti in modo inedito. Per esempio, il mio racconto del presidente del Consiglio di allora maltrattato al telefono da una parlamentare del suo partito potrebbe avere una valenza storica».

Che conclusione trasse dalla richiesta che le fecero i consiglieri di Giuliano Pisapia di farlo fotografare con le veline nel bel mezzo della campagna «Se non ora quando» sul corpo delle donne?

«Che in politica non ci sono buoni e cattivi, ma un unico grande suk dove tutto è in vendita. Bande economiche che utilizzano qualsiasi arma per sovrastare l’altra, strumentalizzando tutto. Ero stupefatto che di queste manovre sui giornali non uscisse niente».

Era in lista con Pisapia provenendo da Mediaset.

«Ero la foglia di fico che lo copriva a destra. Un estremista Pisapia? Ma se abbiamo anche l’autore di Striscia la notizia? La stessa offerta di candidatura mi era arrivata dagli ambienti vicini a Letizia Moratti».

Diceva dei quarantenni condannati all’oblio, una generazione alla ricerca del padre?

«Una generazione di sfigati perché ha formato il proprio immaginario e le proprie ambizioni in un mondo in via d’estinzione. Quello con il mito delle professioni, il giornalista, l’avvocato, il notaio… Oggi si gioca uno sport diverso. A un ventenne non frega niente di vedere l’articoletto sul giornale con il proprio nome».

I quarantenni presi d’infilata dalla rivoluzione digitale?

«Con tutto quello che ha significato, la smaterializzazione della società, la distruzione dell’industria culturale. Quando sento quelli che vogliono fare i critici cinematografici dico: ma vi siete accorti che il cinema non esiste più? Esiste Tik Tok».

Si può cercare il senso dell’esistenza fino all’autolesionismo?

«Se uno cerca la validazione di sé all’esterno è destinato a soccombere».

Sul lettino di Villa Certosa, pensando a ciò che ha costruito e conquistato, Berlusconi si interroga sul senso di tanta fatica.

«Non si trova mai all’esterno una pietanza così ricca da farti passare la fame. La salvezza avviene solo dentro di noi. Però, per certe persone, può essere impossibile».

Come suo padre, assente, inaffidabile…

«Cercavo figure paterne ovunque. La mia famiglia è stata un modello negativo».

Il codice genetico rimane.

«Da sei mesi sono padre anch’io. All’inizio ero nel panico: cosa combinerò? Poi ho capito che conviene fare il contrario di mio padre. Invece di seguire le orme, prendere la direzione opposta può essere la soluzione».

Definisca Berlusconi.

«Ininfluente. Non ha lasciato un erede politico. Quanto alla cultura e al costume che a noi, provinciali, sembravano innescati da lui erano in auge ovunque. A cominciare dall’America di Barack Obama».

«Sei sangue del mio sangue» fu il commento di suo padre dopo la prima ospitata da Santoro? Come definirebbe Michele Santoro.

«Un grande drammaturgo, il capo della compagnia teatrale. Faceva capire che lo spettacolo che metteva in scena era importante».

Ha imparato ad alzarsi tutte le mattine alle 8 come le consigliò Antonio Ricci?

«Anche prima».

Perché è importante quel consiglio?

«Perché il talento non basta. Se non ci si dà da fare con il solo talento non si va lontano».

Chi è Antonio Ricci?

«L’ultimo dei mohicani, l’ultimo intellettuale. Immune al clima di propaganda che ci avvolge».

Voleva fondare le Brigate Ssss: si può essere di sinistra senza essere stronzi.

«Un idealista».

Cioè, non ci crede più neanche lui?

«Credo che sottoporrebbe quella definizione a una severa revisione critica».

Non uno sport o le ragazze, «ci teneva insieme il vuoto che avevamo dentro, che riempivamo facendo casino per la città». Dove nascono le baby gang?

«Dalla completa mancanza di qualsiasi pensiero forte. Tutti i pensieri in circolo non sono solo deboli, ma totalmente inermi. Manca un’idea da seguire. Chi sta nelle baby gang non sono delinquenti, ma ragazzi che non si rendono conto di quello che fanno. Anche noi writer a un palmo dai cavi dell’alta tensione eravamo folli. Ma un’idea forte l’avevamo. Oggi non esiste, è tutto concesso».

Il writer è un modo di urlare la propria identità?

«È come il Cogito ergo sum di Cartesio, declinato in maniera moderna e birichina».

Affermare un’identità restando clandestini è un controsenso?

«No, è l’unica condizione per cui i graffiti hanno valore. Servono perché non ci sono spazi per affermarsi. Se ci fossero non avrebbero più senso. I graffiti legali come la street art mi fanno venire il vomito».

Banksy?

«Ha la forza dirompente di un boy scout. L’arte dovrebbe essere provocazione».

È furbo?

«Un genio dal punto di vista economico».

I writer sono noti nello stretto giro come gli autori televisivi?

«Con la differenza che gli autori sono disposti a tutto per un po’ di fama. Sono incarogniti perché non hanno visibilità. Fare l’autore tv è contro natura».

Nella logica dell’apparire?

«L’autore tv vive sapendo che il più cialtrone dei comici sarà infinitamente più popolare di lui e deciderà il suo pane».

Corpo a corpo anche l’Mma?

«Mi sto preparando per un match professionistico. Anche qui a Santo Domingo mi alleno in palestra».

Cosa l’affascina?

«Intanto il rapporto con il coach… Poi che quando sei dentro la gabbia sei completamente da solo. Non ci sono parole amicizie scorciatoie, conta quello che sei tu, i sacrifici che hai fatto. Una bella scuola».

Un po’ brutale?

«Si prendono tante botte, uno shock. È qualcosa di completamente estraneo alla modernità, che ti obbliga a essere umile. I voli pindarici dell’ego sono vietati».

Lo scopo?

«Un documentario. S’intitola Il senso della lotta».

 

La Verità, 2 aprile 2022

Striscia e Lauro a caccia di santi per l’Eurovision

Allora, signori, è vero o non è vero? Ma certo che è vero. Anzi è Verissimo». In fondo non era difficile prevedere come Ezio Greggio avrebbe presentato l’esordio di Silvia Toffanin dietro il bancone di Striscia la notizia. Il linguaggio del programma di Canale 5 (lunedì, ore 20,40, share del 22,4%, 4,7 milioni di telespettatori) è semplice e diretto soprattutto negli sketch dallo studio e nei raccordi tra un servizio e l’altro: «Achille Lauro ha vinto il Festival di San Marino. Pur di partecipare all’Eurovision, prima si era affidato a San Remo, poi a San Marino. Eppure, visto il personaggio, quello giusto sarebbe stato San Patrignano». È il verbo della satira leggera, della gag facile, del linguaggio pop nel quale anche la conduttrice di Verissimo nonché compagna del gran capo, Pier Silvio Berlusconi, può esprimersi con freschezza e disinvoltura. Le parti più qualificanti del tg satirico, quasi un’ora di magazine, restano i servizi degli inviati, autori di campagne che, con parola in uso in altri tempi, potremmo definire «di controinformazione». Il malcostume si annida sia tra la gente comune che nei palazzi del potere. Rajae Bezzaz segue da tempo la pista di Marco Mattei, importatore e rivenditore di auto che però sparisce una volta incassati gli anticipi. Smascherato in seguito alle numerose proteste dei clienti truffati, il negoziante ha aggredito l’inviata fino a sputarle in volto. Ma a differenza dell’ondata di solidarietà in difesa della giornalista sportiva Greta Beccaglia, palpeggiata al termine di una partita di calcio, che ha coinvolto grandi firme e testate nazionali, per Bezzaz, curiosamente, nessuno si è speso. Ancora più dirompente risulta RaiScoglio24, rubrica fissa di Pinuccio, su nomi cognomi e magagne della tv di Stato. Il caso di lunedì riguardava il Festival della canzone di San Marino vinto da Achille Lauro. Essendo l’emittente partecipata al 50% dalla Rai (l’altro 50 è dell’Eras, Ente per la radiodiffusione sanmarinese), una pur piccola porzione di tasse dei cittadini che pagano il canone finisce nelle casse di San Marino Rtv. E già qui ci sarebbe da approfondire. Il peggio è che, uscito dalla porta dell’Ariston, quel simpatico paraguru di Lauro rientrerà all’Eurovision song contest, prossima esclusiva Rai, passando dalla finestra di San Marino.

Il tg di Antonio Ricci evita i toni da «signora mia» o quelli da indignati speciali. Ma ridendo e scherzando, si prende ugualmente qualche soddisfazione contro il conformismo imperante.

 

La Verità, 23 febbraio 2022

«La tv è come l’Aids, se la conosci la eviti»

Al piano terra della palazzina che ospita Striscia la notizia, Antonio Ricci ha fatto realizzare una mostra permanente del programma. Lui lo chiama «il museo» e, in effetti, una rapida visita si rivela significativa. Ci sono un Gabibbo cameraman, un tapiro con le immagini dei 66 conduttori, centinaia di piccoli schermi e le fotografie di tutti coloro che hanno lavorato e lavorano dietro le quinte: «Essere una vera squadra è il nostro segreto». Soprattutto, ci sono due installazioni che danno l’idea di che cosa sia il programma di punta di Mediaset. La prima è un’intera parete con le riproduzioni delle copertine dell’Espresso con le donnine generosamente discinte affiancate da una gigantografia di Carlo De Benedetti benedicente, il San Carlone. La seconda è un totem in plexiglass alto fino al soffitto contenente le querele collezionate negli anni. Oltre 300 procedimenti giudiziari dai quali il padre del tg satirico di Canale 5 è sempre uscito innocente, con la sola eccezione del fuori onda «Vattimo-Busi», di cui ha vinto il ricorso alla Corte di Strasburgo. Lo si apprende leggendo Me tapiro (Mondadori), l’autobiografia di Ricci con seguente intervista di Luigi Galella, scritta per celebrare le trenta edizioni di Striscia: una miniera di aneddoti, riflessioni e sberleffi da principe degli irregolari. Uno per tutti, in un capitolo intitolato Destra e sinistra che cita Norberto Bobbio, Ricci racconta la fondazione di un movimento antecedente ai 5 stelle chiamato 5S, ovvero «Si può essere di Sinistra Senza Sembrare Stronzi». «Ho ricevuto numerose adesioni nella base, però tra i vip non ho sfondato. Eppure non chiedevo di non essere stronzi, solo di non sembrarlo». Nel mirino finiscono, tra gli altri, la regista Francesca Archibugi, i girotondi e il movimento «Se non ora, quando?», lo sceneggiatore e scrittore Francesco Piccolo, il comico Maurizio Crozza, Fabio Fazio, Massimo D’Alema, Bianca Berlinguer… Detto questo, Ricci si confessa di sinistra.

Partiamo dal libro: con quella inquietante foto di copertina, il titolo adatto sarebbe stato un altro, vediamo se indovina?

«Non voglio indovinare, sono allergico ai quiz».

La copertina del libro di Antonio Ricci con la foto di Giovanni Gastel

La cover del libro di Antonio Ricci con la foto di Giovanni Gastel

Glielo dico io: Mephisto, scritto con il ph.

«Il titolo non mi appartiene, tapiro non mi sento mai nella vita. Infatti, in origine la t era una croce. Tutto pensato per la tomba: la foto funebre su porcellana e la scritta ottonata con quella t…».

Sulla tomba Mephisto non starebbe bene.

«Ho uno zio prete ultra novantenne che ogni volta che sente i commenti sulle mie diavolerie minaccia un comunicato per dire che sono una brava persona: “No zio, ti prego, non farlo, mi rovini l’immagine”».

Un po’ se l’è rovinata da solo, nel libro affiora una parte buona.

«Non sono riuscito a tenerla nascosta, ma nessuno ci crederà. Se si fa raccontare quello che dicono di me don Luigi Ciotti e don Antonio Mazzi non si stupirà quando verrò assunto in cielo in trenta secondi».

Che delusione. Lei che con Drive in è stato l’ispiratore occulto del bunga bunga…

«Una palla sesquipedale. Dicono che Gad Lerner sia a pezzi. Mi diverto sempre nelle polemiche, ma quella sul corpo delle donne ha fatto il record. Pur di stabilire il collegamento hanno persino allungato la durata di Drive in fino alla vigilia della discesa in campo di Berlusconi. Dopo anni di elogi di Beniamino Placido e Umberto Eco, improvvisamente Drive in era l’origine del male».

Ma lei si divertiva.

«Assolutamente. Ho mandato una velina irriconoscibile alle manifestazioni di “Se non ora, quando?” con le foto dei giornali che esibivano il corpo delle donne discinte. Le partecipanti (Anna Finocchiaro, Serena Dandini, Rosy Bindi…) erano molto arrabbiate: “Non si può, è uno scandalo”. Peccato che si trattasse di pagine di Repubblica».

Cos’ha pensato quando ha sentito Luca Zingaretti ospite di Paolo Bonolis dire: «Con i pacchi quest’uomo ha inventato una fascia oraria televisiva»?

«Che anche il commissario Montalbano sbaglia o che fosse stato fisicamente posseduto da Marilyn Manson in camerino».

Non c’è più religione. Senta, Ricci: perché non ha mai fatto televisione?

«Ho sempre pensato che chi va in video ha una vena di follia che a me manca. Ne ho altre, eh. La tv è una stanza nella quale non ho mai voluto entrare perché poi è difficile uscire. Quando diventi un personaggio televisivo non riesci più a smettere e se devi farlo finisci per pensare che ci sia un complotto contro di te».

La vena di follia è un mix di narcisismo e ottusità?

«Gianni Boncompagni diceva che l’ottusità non è indispensabile, ma serve. Poi devi avere anche grande coscienza di te ed essere pronto a recitare il personaggio».

La tv cambia il modo di percepire la realtà: per strada guardi se gli altri ti riconoscono.

«L’ho visto con Grillo quando dovevamo fare Te lo do io il Brasile. Siccome laggiù non lo riconoscevano entrava in ansia. Raccontano anche che quando Gianni Agnelli era a New York c’era un addetto che chiamava prima il ristorante avvisando dell’arrivo: mi raccomando…».

C’è una rubrica su Striscia dedicata ai nuovi mostri, il materiale abbonda?

«Altro che. I mostri sono l’esasperazione dei personaggi. Per importi devi tirar fuori le tue caratteristiche più mostruose».

Insomma, lei vive di televisione ma la disprezza?

«Vengo da una generazione che era molto allarmata sulla comunicazione televisiva. È una questione di dosi. Con Striscia abbiamo sempre cercato di fornire le istruzioni per l’uso».

Per smontarla.

«Per svelarne i meccanismi».

Disprezza anche chi ci va, li guarda dall’alto in basso?

«Al contrario, li guardo dal basso in alto. Cerco di fargli l’endoscopia».

Li manovra, li guida, o preferisce dire che li smaschera?

«Capita di smascherare una maschera, sotto la quale magari ce n’è ancora un’altra».

Se incontrasse Flavio Insinna in aeroporto cosa gli direbbe?

«Fai la hostess? E come seconda domanda: perché ti vuoi così male?».

Cioè: perché reciti una maschera in tv, o perché sbrocchi dietro le quinte?

«Lui sbroccava perché non si seguiva il copione stabilito. Il gioco dei pacchi funzionava se alla fine c’era l’alternativa tra 500.000 euro e un fagiolo, se hai tre lenticchie e un barattolo di colla la suspense scema. Questa alternativa si costruiva con l’espediente dei numeri fortunati del concorrente. Insinna si è messo in situazioni più grandi di lui. È entrato in una crisi per esondazione, iniziata con quella terribile trasmissione sui Mondiali di calcio, acuita con Dieci cose di Veltroni al sabato sera su Rai 1. Quando Affari tuoi è stato sospeso perché perdeva da Striscia e da Paperissima Sprint è andato dalla Berlinguer a parlare di volontariato e qualcuno lo vedeva già candidato premier della sinistra».

La televisione è incorreggibile?

«È come l’Aids, se la conosci non ti uccide».

Modifica l’identità dei viventi?

«Di quelli che ci lavorano. Sull’immaginario collettivo invece ha influenza ridotta. Chi parla di immaginario è un truffatore. Ha presente: “L’immaginario delle veline ha rovinato l’Italia”? Mi chiedo: che programmi avrà trasmesso Fidel Castro per aver ridotto le ragazze cubane a quel modo?».

Chi vive in tv è praticamente morto, parole sue.

«Mummificandosi in un personaggio si autotumulano, non possono variare. Per questo la tv di sinistra ha i suoi Santisubito: Fabio Fazio, Bianca Berlinguer, Nanni Moretti».

Anche lei pensa molto alla morte, come il suo amico Paolo Villaggio.

«Per Villaggio era una gag. Il mio rapporto con la morte è risolto da molti anni».

Nel senso che?

«Se ho una cosa me la godo finché dura. Quando mi sveglio al mattino sono ben contento di esserci e non mi pongo il problema della morte. Sono molto epicureo: quando ci sono io lei non c’è e se c’è lei non ci sono più io».

Di sicuro la televisione ci sopravvivrà. Piersilvio Berlusconi ha detto che la tv generalista non morirà mai.

«È un profeta. Il profeta di Cologno. Sapevo che ha la sua setta di adepti, adesso sappiamo che è un fior di profeta. C’è anche un pettegolezzo, forse una fake news, che racconta di averlo visto camminare sulle acque di Portofino».

Che cosa pensa dell’idea del reality permanente tutto l’anno?

«Per noi è una pacchia. Però di fronte a certe fiction viene da dire viva i reality. Questo dà l’idea dell’abisso in cui siamo sprofondati».

Il libro comincia con una caramella indigesta da bambino, prosegue con suore indigeste e altre allergie: la sua televisione è un tentativo di digestione postuma?

«Vuol dire un fuoco d’artificio di rutti?».

Voglio dire: la visione del mondo capovolto provocata da sua madre che la mise a testa in giù per farle sputare la caramella, la reazione all’autorità delle suore, il rifiuto del degrado ambientale e civile.

«La mia tv non è fatta solo per distruggere, una prerogativa della Premiata ditta demolizioni di cui peraltro vado fiero, ma anche per dare un aiuto a chi cerca di rammendare questa Italia scalcinata e truffaldina».

Ho scoperto che fate persino del bene, tipo: avete dato la scintilla al Banco alimentare.

«Non solo. Abbiamo fatto la campagna contro l’infibulazione delle donne musulmane. Oppure in difesa della filiera alimentare made in Italy. Alla proclamazione della pizza napoletana patrimonio dell’Unesco il testimonial era il nostro Jimmy Ghione. Poi le campagne contro i maltrattamenti di animali… Ci sono attività visibili e attività nascoste e non sbandierate».

Avevate una segreteria telefonica per le emergenze dei suicidi.

«Ci chiamavano la vigilia di Natale o a Capodanno. Magari noi avevamo registrato e non riuscivamo a intervenire. Una volta abbiamo fermato in tempo una donna con due bambini… Poi le forze dell’ordine ci hanno consigliato di mettere un indirizzo di posta elettronica per le richieste di aiuto. Temevo che potessimo diventare un alibi per il gesto definitivo: non mi hanno ascoltato nemmeno quelli di Striscia».

Ricci con Boldi e Villaggio, con Grillo ai Telegatti e con Umberto Eco

Ricci con Massimo Boldi e Paolo Villaggio, con Beppe Grillo ai Telegatti e con Umberto Eco

Dopo Drive in e Striscia, gli spin off Veline e Velone hanno avuto successo. Gli altri programmi, tipo Giass e Cultura moderna un po’ meno.

«Veline e Velone hanno sempre battuto la finale di Miss Italia. Cultura moderna è stato un grande successo per le due stagioni che è andata in onda d’estate. È stata anche venduta all’estero. Ne abbiamo fatta un’edizione di alcune puntate in prima serata (Cultura Moderna Slurp) che ha avuto un ottimo riscontro. L’esperimento di piazzarla l’anno scorso su Italia 1, in concorrenza con Striscia, pur avendo raggiunto i risultati prefissati è stato faticosissimo, girando in uno studio fermo da tempo e accumulando ritardi deliranti. Giass è stato un tentativo innovativo, che aveva qualche appesantimento. Ho fatto anche Odiens, Lupo solitario, Matrioska. Quei due sopra il varano, con Lello Arena ed Enzo Iacchetti, ha ancora il record di ascolti per le sit-com. Paperissima Sprint è spesso la trasmissione più vista della giornata. Ho fatto tre edizioni di Fantastico, Te la do io l’America e poi Te lo do io il Brasile…».

Da anni vive in un residence di Milano 2.

«Gliel’ho detto: sono già morto, tumulato. Guardo fuori, vedo il laghetto dei cigni, morti anche loro, e mi sembra lo Stige».

Vorrei vedere cosa c’è nell’appartamento del residence…

«Niente, una valigia. È la tradizione marinaresca della Liguria, gli uomini vanno per mare settimane, mesi. La camera del residence è più accogliente della cabina di una barca».

Anche Carlo Freccero vive in residence: è una perversione di voi savonesi situazionisti? Non è che siete così rompicoglioni perché vivete in residence?

«Probabile».

A proposito di mare, perché c’è l’onda nella grafica di Striscia?

«Il ricciolo dell’onda ricorda il punto interrogativo che simboleggia il dubbio. Il mare è movimento, cambia di continuo, non dà mai certezze».

Quant’è costato il tendone di Striscia che ha fatto tirar su perché si vedesse dalla tangenziale?

«È un atto di ribellione».

A che cosa?

«Al grigiore di questa landa di realismo sovietico dove sembra si fabbrichino brugole. Quando tre anni fa mi è stata consegnata questa palazzina tetra ho cominciato a stressare arredatori e scenografi perché colorassero pareti, sale, androni. Il tendone non so quanto sia costato, senz’altro meno di un’ospitata di qualche star. In più verrà ammortizzato negli anni e non cambieremo scenografia per i prossimi 20. Quando lo toglieremo da qui andrà ad Arcore per l’esibizione finale».

Mi svela una perversione da telespettatore?

«Una volta c’era Luca Giurato. Mi mancano le tv locali. Con quello che riesco a vedere al residence…».

Sarà attrezzato.

«Insomma, non ho Premium. Neanche ad Alassio ce l’ho, vedo solo SkyTg 24. Anzi, voglio chiedere i danni a Murdoch perché sono entrato in un tunnel… Ecco, guardare Agorà su Rai 3 senza riuscire a riconoscere gli ospiti è una discreta perversione. I politici che si credono fighi vanno nei talk della sera. Ad Agorà, da quello che dicono, non riesco neanche a capire di che partito sono».

Tre figlie femmine: che padre è ed è stato Antonio Ricci?

«Come tutti quelli che hanno falsa coscienza dico che ho supplito alla quantità con la qualità del rapporto».

Che cosa pensa d’istinto quando vede Renzi?

«Penso che si sta arrabattando e ha perso la luce negli occhi. Succede quando ti accorgi che quelli che ti dovrebbero supportare sono i primi a pugnalarti e sono quelli in grado di farti più danni».

Di chi parla?

«Di quelli che erano con lui e hanno fatto un altro partitino. Renzi non conosceva l’astio che sono in grado di produrre le vecchie soubrette della politica».

Se vuoi rottamare D’Alema, D’Alema te la giura. Per lei Renzi è più vittima che autolesionista?

«Ha pensato che fosse possibile cambiare verso e ha sottovalutato che quello che manca nel partito ex comunista è proprio il senso della comunità e del bene comune. Per cui ora c’è solo un individualismo parossistico e paralizzato da tutti i distinguo del mondo».

Il suo istinto quando vede Berlusconi, Ercolino sempre in piedi?

«Il mio istinto è che tutte le critiche sull’immaginario edonistico degli italiani e sull’uso delle tv a scopi di potere si sono rivelate la più gigantesca delle fake news. La rinascita di Berlusconi è dovuta non ai suoi conflitti d’interesse, ma alle divisioni e agli autogol della sinistra».

Sempre d’istinto, che cosa le suscita il suo amico Grillo?

«Quando lo vedo in mezzo a quelle folle mi scatta un atteggiamento protettivo: torna a casa, torna a fare spettacolo. L’ha detto più volte… Poi mi rendo conto che, come un blob, da quelle folle trae energia e godimento».

Come andranno le elezioni?

«Bisognerebbe chiederlo al profeta di Cologno».

Andrà a votare?

«Di solito vado, ma devo dire che fanno di tutto per tenermi a casa. Non ho ancora deciso».

Una cosa che avrebbe voluto fare e non le è riuscita?

«Una cosa che avrebbe cambiato il destino dell’Italia. Quando facemmo Te la do io l’America e Te lo do io il Brasile, con Grillo ci eravamo ripromessi che girare il mondo per la tv sarebbe diventata la nostra pensione. Dai 60 ai 70 anni avremmo fatto programmi in esterno, sulle varie nazioni. Prima che morisse Enzo Trapani, Rai 3 aveva già raccolto le due serie, l’America e il Brasile, in un programma dal titolo Grillo turista per caso. Qualche anno dopo, Rai 3 fece fare Turisti per caso a Syusy Blady e Patrizio Roversi, che andarono avanti per molte stagioni. Così saltò la nostra pensione e Grillo è stato costretto a buttarsi in politica».

La Verità, 17 dicembre 2017