Un «Principe libero» più adatto per il cinema
Operazione riuscita. Va detto, non era facile. Restituire la complessità e la vitalità di Fabrizio De André, probabilmente il più geniale dei cantautori italiani, non era impresa semplice. De André, uno cui stanno strette tutte le definizioni, compresa quella di cantautore, è stato un artista, uno spirito libero che ha vissuto pienamente il suo tempo e la sua condizione. Non era facile rendere tutto questo in tre ore di televisione, ma bisogna dire che, per una volta, con Fabrizio De André – Principe libero Rai fiction e Bibi film di Angelo Barbagallo ci sono riuscite (Rai 1, martedì e mercoledì, ore 21.30, share del 24.3% nel primo episodio). Sceneggiatura (Francesca Serafini e Giordano Meacci) e regia (Luca Facchini) si sono tenute lontane da ambizioni riassuntive e antologiche per privilegiare la storia, la formazione dell’uomo e dell’artista, interpretato da un bravissimo e molto somigliante, anche se in bello, Luca Marinelli, attraverso l’intenso rapporto con il padre (Ennio Fantastichini), le notti nei bordelli del porto di Genova, l’amicizia con Luigi Tenco (Matteo Martari), i primi spettacoli per gli amici nelle bettole e nei teatri. Poi l’incontro con la prima moglie Enrica Rignon, i primi versi scritti senza convinzione, incoraggiato dall’amico Paolo Villaggio (Gianluca Gobbi): «Tu sei un genio»; «Perché ci sia un genio bisogna che ce ne sia un altro che lo riconosce…»; il primo disco, l’interpretazione di Mina della Canzone di Marinella, tratta da una storia di cronaca raccontata dall’amico cronista; l’amore per Dori Ghezzi, la riluttanza ai concerti, il successo, il rapimento dell’Anonima sequestri dalla tenuta dell’Agnata in Sardegna, che apre la narrazione con un lungo flashback. Infine, l’anarchia ponderata e non ideologica («Anarchia è darsi delle regole prima che te le diano gli altri») che attraversa tutto il racconto, restituendo al protagonista il carisma gentile che rifluiva nei testi delle canzoni, sempre imprevedibili e anticipatori, scelti con accurata ricerca filologica e resi dalla voce di Faber.
Operazione riuscita, dunque. Anche se, forse, proprio la difficoltà del personaggio di stare dentro etichette e definizioni statiche, lascia la sensazione che la fruizione cinematografica sia più consona a un prodotto come Principe libero.
La Verità, 15 febbraio 2018