Se un vecchio cowboy incontra un fumettista…
Se un uomo con un cappellaccio da cowboy incontra un disegnatore con una matita come va a finire? Sicuramente Clint Eastwood non conosce Zerocalcare. Ma non si può mai sapere, ora che Netflix diffonde nel globo anche prodotti di nicchia com’è una miniserie animata recitata in romanesco. Chissà come lo sottotitolano lo slang di Zero per i telespettatori di Carmel-by-the-Sea, California. Magari adesso che nella piccola Italia, dove sfondò con la Trilogia del dollaro, c’è chi lo contrappone alle lagne sociopatiche di un fumettista nato nei centri sociali, qualcuno potrebbe segnalargli la polemica: Clint, hai visto cosa dice di te Daniele Capezzone del quotidiano La Verità? Ti ha eletto simbolo dell’«affermazione dell’individuo contro ogni potere», e risposta alla «lagna e al disagio esistenziale» dei millennials scansafatiche. Da giorni sui social il dibattito accende gli animi pure di coloro che non hanno visto né la serie tv né Cry Macho, ultimo film diretto e interpretato dal 4 volte premio Oscar.
La faccenda è rilevante perché identifica e mette a confronto due mondi di appartenenza e altrettanti immaginari, lontanissimi tra loro. Zerocalcare o il vecchio Clint? Michele Rech o Eastwood? Il flusso di coscienza vagamente onanista o la sbrigatività del maschio alfa? Detto in soldoni, è l’ultimo aggiornamento della contrapposizione tra la sinistra alternativa, antagonista, problematica e cagadubbi di tendenza nichilista della periferia non solo romana, e la destra pragmatica, spiccia, anticonformista e risolviproblemi che si riconosce nel partito repubblicano yankee. Tuttavia, a onor del vero, va detto che «Clint è di tutti. In questi tempi di scontri frontali e generalizzati, è un’utopia vivente», ha correttamente notato Teresa Marchesi sul Domani. Perché, sebbene si sia schierato apertamente con Donald Trump, è «troppo individualista per essere di destra o di sinistra», come lui stesso ebbe a dire di sé in una vecchia intervista.
E, dunque, se il coriaceo Ispettore Callaghan incontrasse il novelliere grafico del Forte Prenestino probabilmente conierebbe uno dei suoi celebri aforismi. Forse non proprio Coraggio… fatti ammazzare, perché, sebbene non gli risulterebbe simpatico, tuttavia Zero non è un mafioso o un rapinatore tipo quelli che sistemò nel film del 1983. Magari aggiornerebbe il titolo in «Coraggio, fatti ammazzare… di lavoro». Di sicuro Callaghan non avrebbe la pazienza di Strappare lungo i bordi degli psicologismi del protagonista. Gli metterebbe in mano una vanga per curare il prato. O un secchio di detersivo per lavare e lustrare la sua Gran Torino, come fece nell’omonimo film Walt Kowalski, il reduce dalla guerra di Corea, con Thao, il giovane asiatico vicino di casa, vessato da una gang di teppisti locali.
L’olio di gomito è un’ottima cura per le pare e quella del vecchio Clint è la cultura del rimboccarsi le maniche. L’esatto contrario del mandare curriculum a pioggia aspettando sul divano che passi il treno giusto. E, nell’attesa, confidare nel reddito di cittadinanza. Già, chissà cosa penserebbero i personaggi di Eastwood del sussidio pubblico di base. Kowalski di Gran Torino; Earl Stone, il floricoltore trasformatosi in corriere per sbarcare il lunario di The Mule; Richard Jewell, la guardia giurata che grazie al suo zelo sventò l’attentato alle Olimpiadi di Atlanta (salvo poi esserne incolpato). E infine, Mike Melo, l’ex domatore di cavalli, protagonista di Cry Macho, che va a prelevare in Messico il figlio del suo ex datore di lavoro per portarlo in Texas.
Forse lui, l’ultimo della serie di cowboy, sarebbe il più indulgente verso Zerocalcare. Perché, in fondo e molto alla lontana, il vecchio Clint e il fumettista di Strappare lungo i bordi qualcosa in comune ce l’hanno. Entrambi, ognuno a suo modo, nutrono una certa diffidenza verso il prossimo. Burbero e un po’ misantropo uno, sociopatico per timidezza e pigrizia l’altro. Solo che quella di Zerocalcare è una sociopatia per difetto di protagonismo, ripiegata e autoreferenziale, da «cintura nera di come si schiva la vita». Mentre quella di Eastwood è l’esatto opposto, insofferente proprio verso l’indolenza, la passività giustificata dai luoghi comuni e dalla rinuncia sorretta dal cinismo.
In Cry Macho, il personaggio di Eastwood va contro i poteri forti e si ribella alle apparenze. Mentre Zerocalcare è sull’orlo della resa amara, Mike Melo scavalca una lunga serie di ostacoli per «finire il lavoro». Senza enfasi e senza eroismi, ma con determinazione. Per il regista di Lettere da Iwo Jima il vero eroe è l’uomo comune che «attraversa la vita e lascia il segno da qualche parte», non «gli eroi dei fumetti», che detesta. Eppure, «questa cosa del macho è sopravvalutata», dice l’ex cowboy dell’ultimo film. E ha tutta l’aria di essere un bilancio, tra il malinconico e l’autoironico, dello stesso Eastwood. «Da giovane pensi di avere tutte le risposte, ma quando diventi vecchio ti accorgi che non ne hai nessuna. Tuttavia», prosegue, «ognuno deve fare le proprie scelte». E, rivolto a Rafo, il ragazzino che sta riportando a casa, «anche tu dovrai fare le tue». Niente vittimismi e passività, dunque. La vita va presa al volo, non schivata.
La Verità, 7 dicembre 2021