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Aiuto! Siamo precipitati nella rivoluzione francese

Con colpevole ritardo, qualche sera fa vedendo in un talk show le facce a tutto schermo di Andrea Crisanti e Massimo Galli, mi si è accesa la lampadina: aiuto! È tornata la Rivoluzione francese. Con i suoi annessi e connessi. Con i suoi organismi repressivi, il controllo sociale e l’apparato linguistico di riferimento. Improvvisamente, la scintilla ha collegato tutti i cavi. I due professori citati sono tra gli oracoli anti-Covid più ascoltati dell’etere e non solo. Ma la suggestione sarebbe stata identica se al loro posto fossero comparsi Walter Ricciardi e Silvio Brusaferro o Ilaria Capua e Fabrizio Pregliasco. Non è un fatto di nomi o di preferenze tra virologi, di cariche ufficiali dei singoli, o di schieramento tra allarmisti e minimalisti. No, è il sentimento percepito dal semplice cittadino e telespettatore, quello che all’epoca era il Terzo stato. Ora comanda il Comitato tecnico scientifico, ma lo potremmo tranquillamente ribattezzare Comitato di salute pubblica. Anzi, l’espressione sarebbe più calzante, più rispondente alla realtà. Che cos’è infatti se non un Comitato di salute pubblica un organismo di scienziati e politici che arriva a controllare i nostri comportamenti fin dentro le sale da pranzo e le camere da letto?

Lentamente, attraverso slittamenti differiti e graduali, scopiazzature e scelte linguistiche siamo finiti dentro una macchina del tempo che ci sta riportando a 230 anni fa. Se la situazione non fosse tragica per le morti che ci stanno devastando, o drammatica per la comicità nella quale ci catapulta il tenero dilettantismo di buona parte della compagine governativa, sembrerebbe di essere precipitati in un videogame, un gioco di società, una distopia storico-politica nella quale orientarsi con apposita segnaletica, bonus e upgrade. Magari compulsando nervosamente la miracolosa piattaforma Rousseau, tanto per rimanere al secolo dei Lumi.

Purtroppo non è così. Durante la Rivoluzione, il Comitato di salute pubblica creato dalla Convenzione nazionale affiancò il Comitato esecutivo provvisorio per ribaltare le sconfitte militari, domare la rivolta vandeana e le altre insurrezioni antirivoluzionarie. Oggi il nemico non è politico – meglio: non è, in primo luogo, politico – ma sanitario. Un subdolo virus che sta mietendo vittime e mettendo in ginocchio l’intero pianeta, non solo l’Italia (il fatto è inconfutabile, qui si riflette sulle modalità di contrasto).

Per trasformarsi in Comitato di salute pubblica, il nostro Cts viene affiancato dal ministro della Sanità, dal titolare degli Affari regionali, dal capo dell’Economia e dal premier, il quale legifera attraverso i famigerati Decreti del presidente del consiglio dei ministri. Il potere legislativo è accentrato in poche mani ed esercitato con motuproprio dal sovrano senza che, in buona sostanza, le assemblee parlamentari possano intervenire, dialettizzare, contribuire. C’è lo stato di emergenza a sostenere la presunta necessità di poteri speciali, usati per prescrivere comportamenti virtuosi ai cittadini (Massimo Cacciari: «Serve lo stato di emergenza per dire alla gente di indossare la mascherina?»). Ma non per attrezzare strutture e infrastrutture a fronteggiare la crisi (ritardi sui tamponi, sui vaccini antinfluenzali, sull’adeguamento dei trasporti, sui servizi alla scuola). Si può interrogarsi a lungo se si tratti di uno stato d’eccezione giustificato. Fatto sta che negli altri Paesi europei, che versano in condizioni peggiori dell’Italia, non vige, a eccezione della Francia.

Il filosofo Giorgio Agamben ha più volte osservato che il ricorso alla legislazione di emergenza trova nella Rivoluzione del 1789 la sua origine storico-giuridica. Ma se dal presente andiamo a ritroso di qualche anno ci imbattiamo in altre non vaghissime assonanze che, dall’epoca immediatamente prerivoluzionaria, arrivano al presente. Il governo attuale è sbocciato facendo a meno del suffragio dei cittadini, grazie a una spregiudicata manovra di palazzo appoggiata da Beppe Grillo, novello Robespierre, fondatore di un movimento dalle forti nervature giacobine, nato a sua volta nelle piazze con i Vaffa urlati contro l’Ancien régime. Ovvero la famosa casta alla quale era già stato assestato il primo colpo dalla «rivoluzione dei magistrati» chiamata Tangentopoli. Dopo aver preso il potere, il movimento dell’antipolitica ha cominciato a epurare i dissidenti. Ora, in assenza di un leader riconosciuto, il M5s è guidato da un reggente e da un Direttorio, anch’esso di rivoluzionaria memoria. Come lo sono pure gli Stati generali che, essendosi a sua volta trasformato in casta, il movimento è costretto a convocare alla ricerca dell’identità perduta.

Corsi e ricorsi non solo linguistici, nei quali è rinvenibile il ruolo, defilato ma determinante, di Marco Travaglio, Jean Jacques Rousseau de noantri. All’epoca, gli Stati generali furono l’ultima spiaggia dell’aristocrazia monarchica per tentare di evitare la presa della Bastiglia da parte dei rivoltosi. Quelli indetti nel giugno scorso dal governo Conte avrebbero dovuto fornire le risposte per uscire dalla crisi sanitaria ed economica. In realtà, osservando le code per i tamponi e l’introvabilità dei vaccini antinfluenzali, si sono rivelati per quello che erano: una passerella in favore di telecamera, una fiera degli annunci. Ciò che conta è la nuova mappa ideologica da applicare sulla realtà, con le sue formule e i suoi slogan. Se poi, con la nuova enciclica sulla fraternité, ci si mette anche papa Francesco, allora siamo davvero spacciati. Così, mentre tra il Vaticano e l’M5s, oltre alle simpatie per l’Illuminismo, si registrano convergenze anche sulla nuova geopolitica filocinese, i soliti complottisti parlano di Terrore, proprio così; diffuso dai virologi oltranzisti, alleati del ministro Roberto Speranza, perfetto, nonostante l’aria spaesata,  nel ruolo dell’intransigente capo della polizia Joseph Fouché, pronto a far controllare dagli agenti in quanti sediamo a tavola.

C’è da augurarsi che il finale sia diverso da quello di oltre due secoli fa. Forse no, forse stavolta non rotoleranno teste sotto sanguinose ghigliottine. Ma di questo passo, nell’ultimo stadio del game distopico nel quale siamo precipitati, rischiamo di vedere decapitati interi settori economici, dalla ristorazione al turismo, dal mondo dello spettacolo allo sport, per stare ai primi che sovvengono.

Forse no, forse non moriremo di Covid. Ma abbiamo molte probabilità di morire di fame.

 

La Verità, 16 ottobre 2020