Campo Dall’Orto: “La mia Rai? Digitale e con tante serie”
No, non se l’aspettava tutto ‘sto casino attorno alla Rai. “È una pressione trasversale, che coinvolge tutte le parti politiche, anche quelle che dovrebbero sostenere le decisioni del presidente del Consiglio”. Nonostante gli attacchi di queste settimane, Antonio Campo Dall’Orto ha sempre una buona cera. Un atteggiamento sufficientemente zen. Per uno che ogni due per tre deve leggere aspre critiche dalla stampa anti-renziana, compulsare anticipazioni sul suo funerale vicino, sopportare audizioni in Commissione di Vigilanza, veder rilanciate come infallibili profezie certi oroscopi degli astrologi di Viale Mazzini, bisogna dargli atto che, dietro il capello fluente e l’occhio a fessura, c’è una discreta tenuta.
Come se lo spiega questo assedio di alcuni politici e di certi media?
“Con la voglia di rientrare in gioco, di continuare ad avere voce in capitolo sulle decisioni quotidiane. Ma mi sembra che non potrà andare così. C’è una legge dello Stato, fortemente voluta dal governo in carica. Non è qualcosa che riguarda la mia persona o gli altri dirigenti che lavorano con me. Anche perché a fine mandato, tra ormai poco più di due anni, noi non ci saremo ma le regole saranno le stesse”.
Insomma, quello di questi politici è un pentimento generale per aver cambiato la governance e trasformato il dg Rai in amministratore delegato…
“Penso sia sempre sbagliato generalizzare. Probabilmente alcuni non erano d’accordo fin dall’inizio. La legge è stata approvata prima di Natale, ma c’era chi andava sussurrando che non sarebbe mai passata. Se alla fine è passata è perché il governo ne era molto convinto”.
La posta in gioco è alta perché da decenni, da sempre verrebbe da dire, si ripete che, per fare della Rai un’azienda moderna, in grado di reggere la competizione della rivoluzione digitale, i partiti devono fare un passo indietro per lasciarla in mano ai professionisti. Invece, da decenni, da sempre verrebbe da dire, la Rai è il luogo delle compensazioni di potere, la ridotta dove si consolano i trombati della politica, chi non è riuscito a diventare ministro o sottosegretario, dove si fanno lavorare gli amici o le amanti, dove si scelgono direttori e conduttori in base alla compiacenza verso il padrone del vapore di turno. Perciò, per i politici fare un passo indietro è una mossa contronatura, come tagliare un ramo del proprio potere. Un’autoamputazione, per certi versi simile all’abolizione del Senato. Le audizioni in Vigilanza sono uno spettacolo emblematico in questo senso. Campo Dall’Orto sorride e passa oltre: “Adesso c’è una legge da applicare, il dado è tratto. E poi questa riforma è in sintonia con i tempi che viviamo”, sottolinea. Tanto più che, con i superpoteri che quella legge attribuisce al direttore generale e l’aumento delle entrate del canone, questa ha tutta l’aria di essere l’ultima possibilità per modernizzare la Rai. Il direttore generale ne è consapevole.
Come risponde a chi l’accusa di lentezza e timidezza?
“Quella legge è stata approvata il 22 dicembre, ma solo il 30 gennaio è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale. Non appena entrata in vigore, a metà febbraio, ho fatto le nomine dei nuovi direttori di rete. Ed era chiaro che quei direttori avrebbero potuto mettere la firma solo sui palinsesti autunnali. È vero, dal mio arrivo al varo della nostra tv trascorre un anno, non è poco; anche se è sempre stato così anche in passato. Ma ormai ci siamo: il 28 giugno a Milano saranno presentati i nuovi palinsesti”.
Finora è parso più chiaro ciò che la sua Rai non sarà: niente cronaca nera, niente tv dell’emozione, talk show da rivedere. Mentre è meno esplicita la parte positiva: quale sarà, o vorrebbe fosse, il marchio di fabbrica della sua Rai?
“Il mio obiettivo principale è la digitalizzazione della Rai. Abbiamo trovato un’azienda piuttosto indietro su questo terreno. C’è una quantità infinita di siti, ognuno dei quali naviga a vista e individualmente. La digitalizzazione è la nuova frontiera per rendere contemporanea la televisione. È una piccola grande rivoluzione, perché le nuove tecnologie, oltre a cambiare i metodi di lavoro, modificano linguaggi e contenuti. Ci costringono a pensare il prodotto in modo diverso fin dall’origine. Il modello potrebbe essere Star Wars, fatte le necessarie proporzioni: un progetto globale, di contenuto cinematografico, televisivo, grafico, promozionale, di merchandising eccetera. I risultati stanno arrivando: grazie alla nuova App Rai Euro 2016 più di 1,1 milioni di persone hanno visto la partita Italia Svezia sui loro telefoni, tablet o computer. Per far capire la portata dell’evento è stato il record di streaming per un evento nella storia del nostro Paese. Per tutti noi è stata la conferma che il lavoro fatto inizia a pagare. La sensazione di avere recuperato 10 anni di ritardo in 10 mesi, grazie all’incredibile lavoro di tutto il team”.
Qualcosa si muove. Altri obiettivi raggiunti?
“I cambiamenti veri non si realizzano con un colpo di bacchetta magica. Comunque, un altro degli obiettivi che mi sono prefisso è consolidare l’idea di servizio pubblico. I recenti accordi con il Mibac per il Patto per la lettura o i successi della nostra fiction di impegno civile ne sono degli esempi. Io sono felice se la Rai continua a vincere la gara degli ascolti. Ma veniamo da una fase in cui, per farlo, si è commercializzata: forse troppo. Gli ascolti contano, ma non possono essere un assillo. Inoltre, credo si possa vincere anche con i contenuti. A questo proposito ritengo che, più che l’intrattenimento e il varietà, che hanno una coda più corta, il linguaggio che più contribuisce alla costruzione dell’immaginario sia la fiction. Stiamo concentrando su questo i nostri sforzi. Anche in questo caso le novità non si vedranno da un giorno all’altro. Comunque. Detto che Raiuno è la corazzata e ha già i suoi prodotti vincenti, da Braccialetti rossi, in autunno, a Tutto può succedere e È arrivata la felicità, se vogliamo sperimentare nuovi linguaggi dobbiamo creare delle serie adatte al pubblico di Raidue e Raitre. Arriverà Suburra, in collaborazione con Netflix e anche Non uccidere”.
Un’altra delle critiche che le viene mossa è l’assunzione di molti, troppi esterni, alcuni dei quali provenienti da Mtv…
“Il ricorso agli esterni è stato fatto solo laddove necessario e oggi il mio gruppo di lavoro è in parte il tentativo di smantellare un certo apparato sedimentato dentro l’azienda che, se fosse rimasto, non avrebbe consentito la transizione verso la media company. In Rai vigeva il metodo in auge nei governi della Prima repubblica: quando ne cadeva uno si rimescolavano i ministri per quello successivo, in alcuni casi senza tener conto delle competenze. Comandavano sempre i funzionari che restavano al loro posto. Anche in Rai vigeva questo sistema: anziché scegliere una persona competente per il personale o per la comunicazione, qualcuno proponeva di spostare all’interno, dico a caso, un dirigente che prima si occupava di acquisti o di marketing. Comunque sia, abbiamo fatto una selezione in base a competenze ed esperienze professionali. Paolo Galletti, l’attuale capo del personale, l’ho conosciuto solo grazie alla selezione; Raffaele Agrusti, direttore finanziario, lo stesso, e Massimo Maritan, direttore creativo, idem. Potrei continuare”.
Si parla anche della Rai dei milanesi… Lei, Verdelli, Dallatana… con Daria Bignardi siete amici…
“Con Daria ho avuto occasione di lavorare ai tempi de La7, ma poi non l’avevo più vista né sentita. In quanto alla Rai dei milanesi non direi proprio. La cifra distintiva mi sembra quella per cui abbiamo il direttore più giovane della storia di Raiuno e per la prima volta abbiamo due direttrici donna in Rai. Sì, dobbiamo integrare diverse culture e formazioni. Ma questo è solo un arricchimento”.
Il CdA lamenta un ruolo troppo marginale. Anche sulle nomine non sono stati consultati…
“Con il CdA abbiamo lavorato credo bene insieme, tanto da approvare all’unanimità il Piano industriale e credo il loro ruolo continuerà ad essere importante. È vero che lamentano il fatto di essere stati nominati con una governance e poteri che dal 30 gennaio sono cambiati, ma questo non dipende dalla mia volontà. Allo stesso tempo stiamo definendo come lavorare insieme per il futuro e abbiamo convenuto di costituire un gruppo di lavoro interconsiliare che si occupi dello sviluppo dell’offerta informativa”.
Ogni tanto si legge che sta prendendo le distanze da Verdelli, una scelta all’inizio universalmente apprezzata, ora considerato troppo intransigente.
“Si leggono tante cose… No, non è così”.
Si sono letti alcuni nomi per i programmi di approfondimento. Dal ritorno di Gad Lerner a Pietrangelo Buttafuoco per sostituire Porro fino a Pif al posto di Giannini. Quanto c’è di vero in queste indiscrezioni?
“Le indiscrezioni in questi casi sono inevitabili; ancora pochi giorni e i direttori delle reti racconteranno tutti i progetti su cui hanno lavorato. Comunque posso anticiparle che sono contento che stiamo lavorando sull’arrivo di Pif, i cui racconti sulla nostra quotidianità sono sempre molto originali. Ma non prenderà il posto di Giannini”.
E allora che cosa farà Pif?
“Da marzo 2017 avrà una striscia quotidiana dalle 20,30 alle 20,40 su Raitre, nella quale racconterà storie italiane, con la sua capacità di essere testimone lucido e poetico ad un tempo. Raitre è la rete del racconto della realtà: pensiamo che un prodotto così sia un vero arricchimento”.
E le tanto attese nomine dei direttori dei tg quando arriveranno, se arriveranno?
“Ora siamo concentrati sui palinsesti”.
Che cosa si aspetta dal Rischiatutto di Fabio Fazio? Resterà su Raitre e con chi dovrà competere in questo caso?
“Mi aspetto che riesca a dimostrare, così come nelle due serate evento che abbiamo fatto su Raiuno, che possiamo avere successo anche con idee che non derivino da format internazionali, in questo caso attraverso un programma che fa parte della storia del nostro Paese e della nostra azienda”.
In questi primi dieci mesi non si rimprovera alcun errore?
“Errori ne abbiamo fatti e sicuramente ne faremo ancora. Posso però garantire che il gruppo dirigente della Rai lavora con grandissima passione, determinazione e volontà di rinnovare e migliorare la più grande azienda culturale del paese”.