Freccero: la Rai non è morta, è la tv che ha ucciso la realtà

Buongiorno Carlo Freccero, hai letto l’intervista al Fatto quotidiano di Angelo Guglielmi?

“L’ho letta, l’ho letta…”.

L’ex direttore di Raitre dice che il Cda non conta nulla. Che sai parlare ma non fare…

“Non voglio polemizzare con Guglielmi, tanto più che non lo vedo da anni. Lui ha sempre ragione, per definizione. L’unica cosa che non condivido è il giudizio su Campo Dall’Orto. Dire che è gradasso è come dire che Balotelli è disciplinato. E tu sai quanto simpatizzo per Balotelli…”.

Guglielmi dice anche che la Rai è morta.

“Può darsi che lo sia, che fatichi a rinnovarsi. Però una replica di Montalbano dà ancora dieci punti di distacco all’Isola dei Famosi“.

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Su una cosa però l’ex direttore di Raitre ha ragione: la Rai di oggi è fuori dalla contemporaneità. A differenza della televisione che avete fatto voi non dialoga con la realtà. I massimi dirigenti non parlano con gli artisti, con gli scrittori. Pensano che la tv sia sostanzialmente una questione di tecnica…

“C’è questo rischio. Anni fa la televisione era al centro di un movimento. Era un agente di modificazione della realtà. Oggi è al massimo un manuale di istruzioni per la sopravvivenza”.

Facciamo qualche esempio?

“Quindici anni fa il programma di punta era Satyricon, oggi la novità della stagione è Top Gear, un format internazionale. Cogli la differenza?”.

Un programma-provocazione, che modificava gli equilibri della comunicazione e un programma che oggi registra le passioni e le tendenze che già esistono. Altri esempi?

“Nel Duemila il Grande Fratello era l’apogeo della società liberista-individualista, gioiosa e vincente. Il protagonista principale di quella stagione è stato Taricone detto ‘o guerriero, un vincente. Oggi L’Isola, C’è Posta e Ciao Darwin sono l’espressione del declino di quella filosofia. Una volta i reality erano divertimento, oggi sono esibizione di miserie. Li guardo per vedere fino a che punto è arrivata la nostra società, come se leggessi un capitolo de I miserabili di Victor Hugo. Dal neorealismo siamo passati all’iper-realismo, in cui la televisione manifesta inconsapevolmente e inconsciamente la misère du monde.

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Barbara Cappi, l’autrice di Maria De Filippi mi ha inviato il suo romanzo che in qualche modo trasfigura il dietro le quinte di C’è Posta. Straziante. Non voglio giudicarlo sul piano letterario, ma ogni volta che vedo quei programmi, compreso Ciao Darwin, ho talmente empatia verso i protagonisti, che vorrei tanto raccontarli in una docu-soap. Ogni personaggio è un dramma, una sopravvivenza, un atto d’accusa verso la violenza di questa società”.

Tornando alla Rai, i suoi dirigenti non rischiano di isolarsi, di concentrarsi troppo sui format?

“La Rai aspettiamo un attimo prima di giudicarla. I nuovi capi vogliono partire dai generi che nascono dal factual che è una forma di storytelling sulle persone create dalla televisione stessa. La televisione di oggi è autoreferenziale. Elabora programmi su se stessa, sulla sua stessa visione della realtà. Ma perché i factual hanno così successo? Perché rispondono a un’esigenza della vita di oggi. Mentre cresciamo bombardati da una serie di messaggi che dovrebbero incrementare la nostra autostima, le nostre vite sono sempre più deludenti. Se non bastasse, la crisi ha abbassato drasticamente la qualità della vita. Esistono due possibilità di fuga. Da una parte la fiction. Dall’altra la rivendicazione del presente come migliore dei mondi possibili: attraverso la manualistica dei factual il soggetto trasforma la sua quotidianità in spettacolo. Ma la realtà in quanto tale è sparita, come diceva Baudrillard. A questo punto però il discorso si fa squisitamente politico…”.