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I guru brulicano più dei ribelli alla quarantena

Ricette. Risposte. Buonismi. Moralismi. Esortazioni. Richiami. Inviti. Migliorismi. Non passa giorno senza che qualche maestrino dispensi le proprie tavole dell’etica. La propria pensata. Ho imparato questo, ho imparato quello. Dobbiamo fare così, dobbiamo vivere colà. Si comincia a non poterne più di questi guru da quarantena. Anzi, per dirla elegante, cominciano a devastarci… Pontificano dai giornaloni. Sui social. Tutti indistintamente. Nei talk show c’è sempre un telepredicatore, un saggio autonominato. La lista è lunga. C’è lo scrittore premiato (A. S. indovinate) che dice che questa pandemia «ha messo fine alla modernità» e bisogna ricostruire una cultura della morte. C’è il conduttore televisivo mainstream (F. F.) che dice che si è accorto che «non ci sono più i confini» (mentre tutti li chiudono, non solo a noi italiani). C’è l’ex politico di primissimo piano, fondatore di partiti e alleanze, ora scrittore e regista (W. V. facilissimo), che tratteggia «la nostra strategia di vittoria» e dice che dopo saremo migliori se faremo come dice lui. C’è l’attore da festival e da cover di settimanale (E. G. fattibile) che dice che «la felicità è quando riusciamo a perderci negli altri» e che lui non sta nei social perché sta nei (centri) sociali. C’è la titolare di un salottino di snob tv (D.B.) che dice che ha imparato «qual è l’ora esatta in cui spunta il sole» (càspita!). C’è lo scrittore magistrato in odore di premio (G. C. non è difficile) che dice che ha imparato che è meglio aspettare di conoscere prima di pontificare. Solo che per esprimere questo concetto nudo e crudo, quattro parole di numero, impiega un’intera pagina del solito giornalone con profluvio di citazioni colte e esibizione di travaglio interiore.

È così, perché a volte, i guru con cattedra mediatica, sono protagonisti di disinvolte piroette. Prima sottovalutatori, minimizzatori, stigmatizzatori del razzismo incipiente, coniatori di hashtag modaioli, do you remember #abbracciamouncinese, illuministi frequentatori di chinatown, mangiatori d’involtini primavera a scopo dimostrativo, poi improvvisamente convertiti al pugno duro con sanzioni, o alle prudenze e alla sobrietà, diffusa in posa pensosa da qualche talk show left oriented di cui sono assidui. State sicuri, accendete la tv o andate in edicola sfidando il pericolo, e un cantautore moraleggiante, un attore di teatro con il fervorino incorporato lo trovate sempre. È un brulicare quasi più fitto di quello dei ribelli agli arresti domiciliari. Gli assembramenti di maître à penser sono roba da aperitivo sui Navigli ai tempi della Milano da bere. Nella melassa dominante non hanno bisogno di esibire autocertificazioni, tanto nuotiamo tutti nello stagno del buonismo politicamente corretto. Gli apocalittici sono perfettamente integrati.

Questa è la situa. Alla tragedia della pandemia si aggiunge la farsa dei sacerdoti del bene. E la distopia si tramuta in fantasy horror. Perché, in fondo, tutto questo proliferare di decaloghi nasconde un deficit, un’impasse, un gigantesco, sinistro vuoto d’aria. È l’insufficienza, lo spiazzamento dell’umanitarismo, della cultura liberal, del positivismo scientista, della filantropia dei buoni. Una particella invisibile sta mettendo in ginocchio secoli di progresso. La morte falcia come ai tempi della peste. Su una cosa aveva ragione il primo guru, Antonio Scurati sul Corriere della Sera: «L’epidemia ha messo la parola fine su un’idea di modernità». Un’idea basata sull’onnipotenza della scienza e l’invulnerabilità dell’uomo. Del superuomo. Com’è possibile che la scienza non abbia la soluzione? Che la medicina non abbia il vaccino? La vertigine e il panico ci assalgono. E come nei laboratori scientifici è tutta una corsa alle sperimentazioni per trovare le contromisure, così nei dorati pensatoi del progressismo è tutto un proliferare di alambicchi e alchimie alla ricerca delle formulette per la psiche.

Ricette e risposte, si diceva. E se, invece fosse il caso di fermarsi un po’ di più sulle domande? Sugli interrogativi che questa situazione pone alla nostra società lanciata verso il radioso futuro promesso dalla globalizzazione?

Volevate la decrescita felice? Eccovi accontentati. Come dite? Non è felice? Ah, ok. Ricalcolo…