«Abbiamo creato l’opera, ora cambiamo i finali»
Katia Ricciarelli non le manda a dire. Per temperamento e per l’autorevolezza conquistata con una carriera artistica che l’ha portata sui palcoscenici di tutto il mondo. Lei si autodefinisce «una donna artista curiosa». All’ultimo Grande Fratello Vip, un posto dove ne succedono di tutti i colori, la sua schiettezza ha fatto inalberare le sentinelle del bon ton. Qualche giorno fa, dopo le esibizioni di Placido Domingo all’Arena di Verona, titubante nel canto e nella direzione di Turandot, parlando con l’edizione veneta del Corriere della Sera, ha consigliato l’amico e partner di tanti duetti di «smettere di cantare». Quanto a lei, presto tornerà in teatro con Riunione di famiglia, una commedia diretta e interpretata da Pino Quartullo, con Claudio Insegno e Nadia Rinaldi.
Signora Ricciarelli, è difficile capire quando è il momento di appendere il microfono al chiodo?
«È difficile, certo. Ma bisogna avere l’onestà di dire: questo lo posso fare, quest’altro no. Qualcuno insiste fino a 80 anni, io mi sono fermata prima. Noi cantanti abbiamo uno strumento incorporato che si deteriora. Le corde vocali sono dei muscoli, non si ha per tutta la vita la voce da ragazzino».
Domingo l’ha chiamata dopo i suoi suggerimenti?
«No, ma non vorrei parlare ancora di lui, esprimo solo il mio pensiero. Ritengo strano che voglia cambiare registro passando da tenore a baritono. Domingo è stato grandissimo come tenore, ma come baritono non lo voglio sentire. Un cantante non è un pittore che, come Picasso, può avere fasi artistiche diverse».
Però si può staccarsi dalle opere più impegnative come ha fatto anche lei.
«È una questione di buon senso. Io canto ancora per far avvicinare i giovani all’opera, il repertorio del melodramma è vasto. Ma non posso certo interpretare Giulietta di I Capuleti e i Montecchi. Per farlo ci vogliono la voce e la presenza di una ragazzina. Se vogliamo essere credibili…».
Si può anche cambiare repertorio?
«Negli ultimi anni interpretavo opere che non potevo cantare da giovane perché richiedevano maturità. Ma mi sono fermata prima dei 70 anni. Certo, tengo ancora concerti, ma sono un’altra cosa. Non c’è niente di più avvilente che fare qualcosa che hai fatto bene quando eri giovane e sentir dire: “Eh, ma una volta…”. Alcuni anni fa Marilyn Horne, una collega mezzosoprano americana, mi disse che se una sola nota in un’opera le provocava incertezza smetteva d’interpretarla perché il pubblico avrebbe ricordato solo quella».
Pur restando nel mondo della musica, a un certo punto per lei è iniziata una seconda vita artistica.
«E meno male. Non l’ho cercata io. Ricordo che quando mi telefonò Pupi Avati per propormi di recitare per lui pensai che fosse uno scherzo. Quando capii che non lo era, mi armai di umiltà e mi affidai a lui e ai nuovi colleghi».
Che ricordo ha del set di La seconda notte di nozze?
«È stato l’incontro con un regista straordinario, un poeta della cinepresa che non mi ha abbandonato neanche un secondo».
Dopo che quel ruolo le valse subito un Nastro d’argento pensò che quella dell’attrice potesse essere una nuova professione?
«Neanche per un secondo. Non si può inventarsi una carriera a quasi 60 anni. Ho accettato qualche altra proposta, consona con la mia data di nascita, diciamo così. Ho interpretato la madre di Felice Maniero nella serie Faccia d’angelo…».
Ha recitato per Cristina Comencini, di nuovo per Avati, per Carlo Mazzacurati: ha rifiutato qualche copione?
«Quelli non adatti alla mia età. Uno dei segreti è mantenere una dose d’ironia e di autocritica».
Poi è tornata alla fiction, il matrimonio con Pippo Baudo l’ha più ostacolata o aiutata nella sua carriera?
«A parte che sono separata da un bel po’, Pippo mi ha dato coraggio con Avati, mi ha tolto i timori: se lui ti ha scelto… Siamo stai sposati 18 anni, ma avevo già la mia carriera. Non abbiamo fatto niente insieme, non ho mai avuto bisogno di appoggi. Anche in questo mondo serve umiltà, che non significa diminuire la propria figura, ma capire quando e quanto c’è da imparare dagli altri».
La sua schiettezza le ha mai causato qualche danno in un mondo come quello del cinema e della televisione abituato a una certa diplomazia?
«No mai. La mia non è mancanza di diplomazia, ma sincerità. Semplicemente, dico quello che farei. Non avendo mai chiesto niente a nessuno mi viene anche più facile dire quello che penso. Altrimenti sarei ipocrita».
Su Canale 5 sta per ripartire il Grande Fratello Vip al quale ha partecipato l’anno scorso, che esperienza è stata?
«All’inizio non volevo accettare. Insistendo sul tasto del rapporto con i giovani alcune persone mi hanno convinto. È stata un’esperienza difficile, però non mi sento di rinnegarla. Mi ha insegnato a essere tollerante verso il prossimo che non conosco. Una tolleranza fisica e intellettuale. La convivenza gomito a gomito e il rispetto dell’altro sono un bel banco di prova. Non a caso la convivenza è una delle ragioni principali di tanti divorzi».
La sua partecipazione è stata ritenuta divisiva?
«È normale, non possiamo piacere a tutti. Se dici qualcosa che non va bene agli altri automaticamente diventi una che divide. Io volevo soprattutto il rispetto che veniva dalla mia età. Pensavo si potesse apprendere qualcosa da una persona che ha girato il mondo per motivi artistici. Alle due serate sul melodramma gli altri concorrenti hanno partecipato volentieri, anche se non hanno cantato».
Perché secondo lei l’hanno accusata di omofobia e razzismo?
«Guardi, nella mia vita ho frequentato persone di tutti i colori e di tutte le razze. Ci ho cantato e recitato. Gli omosessuali? Ho amici gay, non ho nessuna fobia. Mi è anche capitato di sposarli».
Ha dato della scimmia a una concorrente.
«In dialetto veneto si dice a pare ’na scimieta… Tradotto in italiano può suonare male, ma non è un’espressione offensiva. Nel reality ci sono anche persone che hanno il compito di accendere il racconto, altrimenti sai che noia».
Nel cast, intende?
«Esatto. A me hanno detto che sono brutta e vecchia e può darsi. Ma omofoba e razzista non esiste. Lo gne gne è di persone poco intelligenti: mia madre diceva che il raglio dell’asino non arriva al cielo».
Il politicamente corretto s’insinua nell’arte. Se le avessero proposto di cantare nella Carmen con il finale capovolto dal regista come si sarebbe comportata?
«Avrei rifiutato. Nel melodramma ci sono sempre due che si amano, di solito il tenore e il soprano, e un terzo che rompe le scatole, il baritono. Quelle che muoiono sono chiamate eroine. Carmen è un peperino, una donna libera e libertina, che dopo aver fatto perdere il lavoro a Don José, ora che è ridotto sul lastrico, se ne va con un altro. Le storie sono così».
Cambiando il finale si volevano denunciare i femminicidi.
«Allora ammazziamo l’uomo? L’opera l’abbiamo inventata noi nel 1600 e cambiamo i finali? Mi viene da ridere. Invece, mi commuovo davanti alle notizie di cronaca, alle continue violenze sulle donne, poco ascoltate e poco tutelate. Chi non soffre davanti a certi fatti? Ma la vita reale è una cosa, il melodramma un’altra».
Come ha vissuto il periodo della pandemia?
«Sono stata a casa con il mio cagnolino, un maltesino. Ho una casa piccola con il giardino, vedo il lago di Garda e la montagna. Ho pensato e ripensato a tante cose. Ho ripreso ad apprezzare lo sbocciare dei fiori, i tramonti… Quando sei in giro non hai il tempo per farlo».
È sempre stata ligia alle prescrizioni?
«Ho fatto le tre dosi e rispettato le regole. Finito il lockdown è iniziata la quarantena del Grande Fratello che è durata sei mesi. Facevamo il tampone un giorno sì e uno no. Ma una volta uscita sono risultata positiva asintomatica: cominciavo a pensare che non mi volesse nemmeno il Covid…».
Sta seguendo la campagna elettorale?
«Poco. Mi è dispiaciuto per Mario Draghi, che apprezzo. Una volta, prima che diventasse premier, l’ho incontrato alla stazione di Bologna. Stavamo salendo sul treno, mi ha sorriso e ha detto agli uomini che lo accompagnavano di aiutarmi a salire. L’avrei abbracciato».
La campagna elettorale?
«Devo riflettere, non voglio mescolare la politica con l’arte, perché noi dobbiamo cantare e lavorare per tutti. Vedo molta confusione. Soprattutto vedo la fatica dei giovani a trovare il loro posto nel mondo. Noi abbiamo avuto più facilità. Insegno ai bambini e agli adolescenti la musica, ma abbiamo tanti ostacoli da superare».
Cosa si aspetta dall’esito del voto?
«Che venga premiato qualcuno di preparato, capace e attento alle esigenze del mondo della cultura».
Ma un’idea ce l’avrà…
«Sono sicuramente di destra, ma non faccio nomi. Devo studiare e capire meglio perché tutto cambia da un giorno all’altro».
Ha visto che alcune cantanti come Loredana Bertè, Giorgia e Levante si sono schierate contro Giorgia Meloni, rea di non essere femminista?
«Credo che un premier debba essere aperto a tutti, uomini e donne a prescindere dai loro orientamenti sessuali».
Alba Parietti ha detto che non condivide nulla del pensiero della Meloni, ma ritiene che se diventasse premier sarebbe ugualmente un segno di cambiamento.
«Per fare il premier serve anche una buona squadra. Personalmente, ho spesso agito da sola e, soprattutto da giovane, con la mia attività ho mantenuto la famiglia. Non è che siccome siamo donne possiamo fare quello che vogliamo. È giusto battersi per eliminare le ingiustizie, ma ci sono tanti modi per farlo. Io sono femminile, non femminista».
Pensando all’Italia futura che cosa chiederebbe ad Aladino?
«Che ci fosse più attenzione ai giovani. Insegnando, in due mesi ho incontrato 20.000 bambini inferiori ai dieci anni. Un giorno uno di loro è venuto sotto il palcoscenico e mi ha detto: “Signora Ricciarelli, ma è vero che il melodramma è una malattia incurabile?”. Questo dice tutto: un bambino può non sapere, ma qualche adulto l’ha fuorviato. E poi, vorrei un’altra cosa…».
Prego, signora.
«Che avessimo meno tasse».
La Verità, 3 settembre 2022