La piega della spiega presa dal neogiornalismo
È una questione di gradini, di autorevolezza. Di conoscenza più o meno approfondita della materia. Ma può anche essere una questione di spocchia. Di tirarsela un filo. Ci si apposta un po’ più su e si guarda il resto del mondo dall’alto. Almeno per quella materia lì, per quello spicchio di realtà, pur piccolo. Il virus, la moda, sta contagiando noi giornalisti. Ce ne sono tante, di mode passeggere che s’infiltrano nei nostri articoli, nei nostri post, titoli eccetera. L’ultima è questa qui di spiegare qualcosa a qualcuno. Chi spiega sta un gradino più in alto di chi legge. C’è qualcuno un po’ più ignorante che va istruito, va edotto, va introdotto ai segreti di qualcosa che noi conosciamo bene. I giornalisti diventano un po’ professori, insegnanti di qualcosa. Ci può anche stare, ma è meglio esser consapevoli di questa piega della spiega…
Un conto è un libro, qualcosa che richiede un impegno e ha un intento esplicitamente pedagogico e affettuoso, tipo Il vangelo spiegato a mio figlio: racconti insoliti prima della buonanotte (Marta Brancatisano), oppure Le pensioni spiegate a mia nonna (Giuliano Cazzola), o anche Internet spiegato a mia nonna (Francis Mizio). Qualche volta un certo paternalismo condito di ironia può funzionare. Ed è bene accetto se il discente stima il docente per la sua competenza, vedi “Le serie tv spiegate a Giuliano”, ciclo di articoli di Mariarosa Mancuso sul Foglio, con lieve sentore di autoreferenzialità. Sempre sullo stesso giornale, Ferrara verga “Renzi spiegato facile a D’Alema”, dove quel “facile” dal tono volutamente sarcastico avrà fatto arricciare il baffo dell’ex lider Maximo, maestro riconosciuto di sarcasmo. In altri casi l’intonazione è da secchioni, tipo “L’Isis spiegato bene (a Milano)”, che annuncia che “un pezzo di redazione del Post discute dello Stato islamico”. Spiegato bene, non male… Lo stile da nerd ha vinto, spopola anche tra i giornalisti, si contamina con un certo, mai sopito, intento moraleggiante. Che si ritrova anche in altre formule e in altri titoli che hanno dentro il “Cosa insegna” questa faccenda eccetera (autocitazione), oppure “Perché” una certa cosa funziona così o colà…
È la moda del nuovo giornalismo intellettuale con tendenza cattedrattica, in qualche caso pontificante. Giornalisti-professori, giornalisti-docenti, giornalisticheselatirano (qui comincerebbe un lungo paragrafo sui giornalisti-ospititelevisivi, ma prima o poi ci arriverò). Forse è anche l’esplosione delle nuove tecnologie e dei social media che ha prodotto questo salto di qualità. Per capirci, su Facebook e Twitter che oggi compie dieci anni sono tutti giornalisti. E siccome le notizie le danno tutti, anche chi non ha titoli, allora i giornalisti diventano columnist, docenti, insegnanti di qualcosa. Per carità, meglio il giornalismo secchione, e magari un po’ pedante, di quello approssimativo e superficiale. È sul tirarcela, su un certo sussiego, che conviene vigilare. Lo dico anche a me stesso: una volta il giornalismo s’incaricava soprattutto di dare notizie. E la sfida dovrebbe rimanere principalmente sul terreno dell’informazione.
Vedere Spotlight e Truth per tenerci con i piedi per terra…