«L’Ia peggio del Truman show. Modifica il cervello»

Fissata in agenda qualche settimana fa, l’intervista a Mauro Crippa, gran capo dell’informazione Mediaset e autore, con Giuseppe Girgenti (docente di Storia della filosofia antica all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano), di Umano poco umano. Esercizi spirituali contro l’intelligenza artificiale (Piemme), è slittata più volte a causa di impegni e imprevisti. Nel frattempo, nel mondo della televisione, sono accaduti alcuni fatti su cui sarebbe interessante conoscere il suo pensiero. Ma, dato che i temi di questo fortunato saggio che oppone nove esercizi spirituali alle mirabilie dell’intelligenza generativa sono più stimolanti, l’addio di Amadeus alla Rai, la nascita del terzo polo tv americano e le avance di Mediaset a Bruno Vespa saranno «argomento di un’altra intervista», dice lui. Bene, dico io: la prendo come una promessa.
Filosofo e saggista, non sei solo un manager che taglia teste, strappa giornalisti ai concorrenti e dice che «voler bene è una debolezza»?
«Non condivido la premessa, ma la prendo come una provocazione. In realtà, sono molto attaccato al giornalismo e ai giornalisti. Oggi più che mai».
Siamo in pericolo?
«Il nostro futuro non è più solo materia da convegni. Oggi, se qualcosa di non umano può scrivere un articolo migliore, lo farà. Con l’intelligenza artificiale già succede. Non solo può scrivere meglio, ma anche a costi inferiori. Il gruppo editoriale tedesco Axel Springer sostituisce i giornalisti con sistemi di Ia. Negli Stati Uniti alcune emittenti radio sono completamente gestite da dj sintetici. Questi editori dicono: deleghiamo alcuni compiti all’Ia così i giornalisti si concentrano sulla parte nobile del mestiere. Sciocchezze. La raccolta dati è la parte più importante del giornalismo perché fornisce le basi della notizia. Se è un robot a raccogliere i dati, l’articolo è suo e non di chi lo mette in bella».
Questo saggio è la tua tesi di laurea integrata dal relatore?
«No, con umiltà mi sono avvicinato alla filosofia e devo molto a Giuseppe Girgenti, uno che nel classico ci vive letteralmente».
Il vostro timore non è che l’Ia conquisti tutti gli spazi dell’attività umana, ma che il nostro cervello si artificializzi.
«Con la tecnologia alcune abilità scompaiono altre sopraggiungono. Per esempio, non sappiamo più andare a cavallo. Ma, Nietzsche a parte, con un cavallo normalmente non si parla. L’Ia invece è una rivoluzione parlante. Ho capito quanto sia pericolosa la sera che mi sono ritrovato ad arrabbiarmi con Alexa».
È stata la scintilla che ti ha illuminato?
«In quel momento, Alexa non mi stava solo dando delle informazioni, ma seguiva un filo di conversazione coinvolgente che suscitava qualche emozione».
Perché la nostra artificializzazione è più grave dell’imbonimento prodotto dalla televisione?
«La televisione ha un potere di condizionamento limitato e comunque concorre a formare la pubblica opinione sulla base di un lavoro giornalistico. Con il digitale abbiamo invece un rapporto uno a uno, interattivo e immersivo. Siamo bombardati in maniera intensa, individuale e particolare. Nelle cosiddette eco chambers troviamo ciò che vorremmo trovare. L’infosfera lo sa e ci induce a seguire le nostre attitudini peggiori. Ora che si avvicinano le elezioni americane si tornerà a parlare di inquinamento della democrazia. Nell’infosfera scompare la differenza ontologica tra verità e menzogna, tra fake e non fake. Ma se io sbaglio in televisione qualcuno mi telefona e può farlo 24 ore al giorno, provate a cercare Mark Zuckerberg».
Ti iscriviamo di diritto tra gli apocalittici o si può dire che l’Ia ha fatto anche cose buone?
«Iscrivimi pure, sono in compagnia di alcuni dei fondatori dell’Ia. Certo che ha fatto anche cose buone, ma per ognuna bisogna cercare gli effetti collaterali. “There is no such thing as free lunch” (Non esiste un pranzo gratis ndr), recita un detto inglese. Salvare un solo essere umano con un’applicazione medica sarebbe già un grande traguardo. Ma accanto ai successi dell’Ia nella diagnostica e nella ricerca di nuovi farmaci, registriamo anche la tendenziale riduzione della figura del medico quasi alla stregua di un operatore informatico».
Poi c’è il controllo delle nostre azioni. Una sera parlavo di un brano di Madonna di cui non ricordavo il titolo, così ho digitato sul cellulare «Madonna» e, come prima canzone, Google ha immediatamente associato il suo nome a Frozen, il titolo che mi mancava.
«Dovremmo studiare a memoria Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff, un testo che ci fa capire quanto siamo sorvegliati e “apprezzati” dai padroni della rete anche riguardo ai nostri comportamenti futuri».
Le camere dell’eco dei social sono l’amara scoperta di una democrazia finta?
«L’agorà antica era una palestra di opinioni diverse e di combattimenti feroci sulle idee. I parlamenti democratici vengono da lì. Le community sono casse di risonanza totalitarie che alimentano un pregiudizio fino a farlo diventare articolo di fede».
Con algoritmi e social pilotati viviamo in un grande Truman show?
«Il Truman show è una distopia superata. Oggi le tecnologie entrano in noi, addirittura nel nostro cervello attraverso i chip creati dalla Neuralink di Elon Musk. Che si stiano perdendo i confini dell’umano lo denunciano con forza i cattolici. “L’uomo non diventi cibo per algoritmi!”, ha detto papa Francesco in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali».
Perché «intelligenza» e «artificiale» sono un ossimoro?
«Perché stridono come un’unghia sulla lavagna. L’intelligenza umana è una dotazione viva, con una componente emotiva. L’uomo ha un’esperienza originaria, mamma e papà lo hanno nutrito ed educato, forgiando il suo essere con esperienze inimmaginabili in una macchina».
La quale non ha coscienza, cioè non sa di sapere.
«La macchina ha potenza ma, direbbe Nietzsche, non ha volontà di potenza. Se anche i suoi creatori non sanno cosa aspettarsi da lei, figuriamoci se possiamo stare tranquilli».
La nuova frontiera è l’intelligenza generativa: c’è la pretesa di sostituire l’uomo e anche il Creatore?
«Generativa significa che può autoalimentarsi e autoespandersi. Non so dire se questo arrivi a usurpare il ruolo di Dio. Quanto all’uomo, se esiste una macchina più veloce, intelligente e onnisciente di noi, siamo destinati a delegarle simboli e forme di linguaggio, cioè la parte più alta e peculiare delle nostre abilità. Una volta che questo processo si compie rivelandosi efficace, è difficile tornare indietro».
Possiamo esemplificare?
«Se per selezionare del personale in una rosa di mille candidati un algoritmo la screma fino a 30, perché dovrei tornare ai colloqui di tutti gli iscritti? L’Ia è comoda ed economica, ma così le conferisco il potere di selezionare gli esseri umani. Nei sistemi militari avanzati la si usa per stanare il nemico, ma non mi pare che stiano diminuendo le vittime tra i civili».
Tra le cose buone ci sono i progressi in campo medico, perché bisogna fare attenzione?
«La circolazione dei dati in rete si scontra con i diritti alla riservatezza. Se con la medicina predittiva si sa che fra un paio d’anni avrò una malattia potenzialmente letale o invalidante, chi mi darà un lavoro o mi concederà un mutuo per la casa?».
È casuale che i regimi nazista e stalinista avessero medici tra i loro capi?

«Nella storia mondiale la gestione della salute ha spesso avuto elementi totalitari. I grandi sistemi sanitari sono stati inventati dal nazismo, dal fascismo e dai regimi comunisti. Non è un caso che la più feroce dittatura francese derivata dalla rivoluzione del 1789 agisse tramite il Comitato di salute pubblica».
È giusto essere vigili anche rispetto ai piani globali dell’Oms?
«Mi aspettavo questa domanda. Le preoccupazioni di intellettuali e filosofi come Massimo Cacciari possono essere criminalizzate, tuttavia è vero che nelle vaccinazioni di massa si avverte una concezione totalitaria della salute. Se, paradossalmente, ci fosse chi vuole ammalarsi, cosa facciamo, lo mandiamo al confino?».
Si torna alla sorveglianza e al controllo di azioni e intenzioni?
«La domanda è: quale società immaginiamo? Se dobbiamo essere tutti belli, sani e in perfetta forma è utile ricordare che l’intelligenza umana non porta a questo. Ma porta alla vita, che è anche disordine, malattia e, infine, morte».
Perché alla pornografia della rete che rende il sesso sempre più virtuale opponete la lezione di Ulisse?
«Le sirene sono come gli algoritmi che assecondano e amplificano le tendenze già presenti nel fruitore. È una seduzione fatta di assecondamento e amplificazione di ciò che l’utente vuole. È un meccanismo tossicomanico. Ci innamoreremo di intelligenze aliene, e siccome gli algoritmi sanno cosa vogliamo non ce ne libereremo più».
Pensando alla diffusione della ludopatia, proponete la proibizione anche di piattaforme di gaming, videogiochi e social?
«Sono di fresca pubblicazione i dati sull’esplosione della ludopatia tra i giovanissimi generata da attività online. Un media come la televisione è giustamente sottoposto a una griglia di controlli, regole e divieti. Perché non può essere regolamentato anche l’uso della rete, un mezzo infinitamente più aggressivo e selvaggio?».
Mentre insegnanti e padri perdono autorevolezza, l’Ia sale in cattedra con tutorial e nuove professioni?
«L’autorità si basa sulla gestione della conoscenza e sull’utilizzo di mezzi coercitivi per fare rispettare le regole. Oggi i ragazzi sono educati dagli influencer, i loro maestri virtuali. La percezione dei giovani è quella di un mondo orizzontale, senza regole e senza qualcuno in carne e ossa da seguire. Le grandi esperienze pedagogiche del Novecento, oggi in buona parte rimosse, gravitavano attorno a grandi maestri, sacerdoti e non, che stavano personalmente con i loro allievi».
L’ultimo esercizio spirituale è prepararsi alla morte?
«Sulla morte e il superamento dell’estremo stop l’Ia dispiega tutta la sua forza. È stato possibile creare una canzone dei Beatles da poche note gracchianti, farne un successo planetario e mostrare i Fab Four suonare ancora insieme, a mio avviso con un effetto grottesco».
Ora con i defunti si parla.
«E non con monosillabi, ma si conversa e si dialoga. Tecnicamente, si realizzano campionature vocali ricombinate dall’Ia con livelli di definizione via via crescente».
E questo non è un grande Truman show?
«È peggio, è il post-umano. Infatti, noi siamo umani in quanto moriamo. Se non moriamo più, non siamo più umani».

 

La Verità, 20 aprile 2024