«Abbiamo dimenticato la lezione di Enea»
È stato il primo a ribellarsi al sollievo perché morivano solo i vecchi. Che poi non era vero; cioè, non era vero quel «solo». Mentre la sua ribellione era, ed è, sacrosanta. Austero e refrattario alle apparizioni, l’ultraottantenne Ferdinando Camon è una delle ultime grandi coscienze morali e letterarie italiane. Il rispetto sacro per gli adulti lo accompagna da sempre, se si pensa che l’autobiografico Un altare per la madre uscì nel pieno della rivolta generazionale contro i padri. Senza la disgrazia del coronavirus, nei prossimi giorni Garzanti avrebbe dovuto ripubblicare Il Quinto stato, suo libro d’esordio. Nella casa di Padova dove vive con la moglie Gabriella Imperatori, anche lei giornalista e scrittrice, Camon attende e lavora. «Siamo preoccupati, nervosi e insicuri», confida. «Sento spesso i miei figli, ci scambiamo email. Io non rinuncio ad andare a comprare i giornali. Mi calo la mascherina e rincaso velocemente».
Muoiono più gli uomini che le donne.
E nessuno ha ancora spiegato perché. Dice che potrei mandare mia moglie?
Non mi permetterei…
Io ho imparato che quando serve una cosa se la fai tu è fatta. E poi mi alzo prima di lei.
Qualcuno ha proposto che i militari siano usati per l’assistenza agli anziani, alle famiglie isolate o con disabili…
Sono volontari e quindi professionisti: glielo si può chiedere. Se fossero figli del popolo arruolati dallo Stato, non si potrebbe. Se qualcuno mi portasse la spesa e i giornali a casa sarei contento.
Lei è stato il primo a ribellarsi al sollievo di fronte al fatto che muoiono di più i vecchi.
Sono parte in causa.
L’articolo che ha scritto era tutto men che ovvio.
Mi fa male che diventi una prassi rifiutare il trattamento in cura di chi ha una certa età. Un padre di 70 anni e un figlio di 50 sono stati ricoverati in contemporanea. Il figlio è stato destinato al reparto a, il padre al reparto b. Dopo due giorni hanno fatto le condoglianze al figlio. Il figlio sopravvissuto ha capito che il reparto dov’è stato ricoverato il padre non disponeva delle attrezzature per combattere questa malattia.
Si dice che tra un vecchio e un giovane è meno peggio se muore un vecchio: sbagliato?
Io sostengo che non dobbiamo accettare la selezione. La medicina non esiste per decidere su chi applicarsi, ma per applicarsi a tutti. Poi c’è chi ce la fa e chi no. Ma l’anziano non deve morire perché non viene curato. Ha presente Enea? Scappa da Troia in fiamme caricandosi il padre Anchise sulle spalle. Virgilio lo chiama continuamente «il pio Enea». Noi adesso siamo in una società empia.
Spietata, come la medicina di guerra.
Diciamo che a Enea era ben chiaro che senza il padre in groppa avrebbe potuto essere più veloce e avere più possibilità di salvarsi.
Se c’è da scegliere tra un giovane e un vecchio si cura il giovane.
Se in un reparto c’è un solo ventilatore polmonare per due pazienti è preferito quello che teoricamente ha una vita più lunga davanti. È un discorso economico che capisco. Ma osservo anche che se ci troviamo di fronte a una malattia invasiva e la nostra sanità non ha macchine per curarla, allora la nostra sanità ha fallito.
Ciò che è sotto gli occhi di tutti.
Trovo inaccettabile che, se arriva un anziano di 75 o 80 anni che necessita di un respiratore, l’ospedale lo metta in attesa per vedere se, di lì a poco, può averne bisogno un cinquantenne. Ora questa selezione non avviene più al momento del ricovero ad opera dei medici, ma alla richiesta del soccorso. Chi risponde si fa dire l’età e, se è avanzata, l’ambulanza non parte. Questa è selezione: io rifiuto che qualcuno possa decidere se ho diritto di vivere o no.
Ha scritto che i vecchi sono fragili e preziosi. Che se si rompe un vaso nuovo lo si ricompra, mentre un vaso antico non si trova. Che consapevolezza abbiamo dell’insostituibilità dei vecchi?
C’è un generale, diffuso, deprezzamento dei vecchi. Nella cultura, nella medicina, nella sanità, nelle famiglie. Sono considerati un’appendice. Come se la vita fosse vita fino a settant’anni. Un giornale, uno solo per fortuna, ha scritto che dopo i sessanta si è anziani. Io credo che anche a ottant’anni sia vita progettuale. In tutti i casi non faccio il discorso contrario. Cioè, che un ventenne che sa poco vale meno di un ottantenne che sa molto. Io dico che la vita è vita finché la natura non la spenga.
Cosa pensa della situazione delle case di riposo?
Sono dei lazzaretti. Dei posti dove vengono confinati i destinati alla morte. L’epidemia miete con la falce a gran colpi. Muoiono a decine ogni notte, si infettano facilmente, non sono protetti, non hanno strumenti di salvezza. Sono la punta avanzata di una società che abbandona i vecchi.
Muoiono in solitudine.
Nell’abbandono. È una morte che contrasta con la nostra idea di morte. Noi siamo cresciuti con l’idea che se un vecchio muore, il nipote che sta in America prende un aereo e viene qua. Adesso nessuno prende aerei. Il vecchio muore solo e viene sepolto da solo.
Spesso senza il conforto dei sacramenti.
Non c’è funerale, non c’è nulla. La Chiesa autorizza chiunque sia vicino, se solo è battezzato, a dargli un segno di croce. È una morte disperata.
Se sei mesi fa le avessero prospettato una situazione così…
Non ci avrei creduto. Ho difficoltà a crederla reale ancora oggi. Il condominio dove vivo, vuoto. L’ascensore, vuoto. La strada, vuota. All’edicola non c’è mai nessuno. È un mondo che ho difficoltà ad accettare.
La morìa degli anziani è la perdita della memoria, come l’incendio della Biblioteca di Alessandria?
Sì, con gli anziani va perso un mondo. Il mondo dei padri, e dei padri dei padri, non ha più testimoni e non ha più ricordi.
Si ha la percezione di questa perdita?
L’uomo massa non ce l’ha. La stragrande maggioranza delle persone non ce l’ha.
Che conseguenze avrà?
Si perde una grande spinta nell’opinione pubblica, nel senso di comunità. I vecchi leggono, pensano, parlano. Una società privata di questa spinta è monca.
La morìa degli anziani è anche un sollievo per le casse dell’Inps?
Certo. Il che non significa che l’Inps sia tra gli untori.
No.
Come in quella poesia di Konstantinos Kavafis, Aspettando i barbari. Il villaggio si ferma, penseranno i barbari a fare le nuove leggi… Ma i barbari non arrivano, e il sindaco dice: «Era una soluzione, quella gente». Non c’è dubbio che il presidente dell’Inps possa pensare che, dopo tutto, la riduzione degli anziani sia una soluzione.
Siamo immersi in una cultura giovanilistica?
Certo. Nella società, nel costume, negli interessi, nei consumi: tutto è incentrato sui più giovani.
Questa cultura è anche figlia della rottamazione?
Rottamazione è una parola orrenda perché si riferisce alle macchine che si buttano per aprire il mercato a nuovi prodotti. Non è ciò che deve avvenire tra gli uomini. Non seppelliamo gli anziani per far spazio ai giovani. Anche se quando c’è da investire lo si fa solo per loro.
Con la preghiera nella piazza san Pietro deserta, papa Francesco, suo coetaneo, ha compiuto il gesto che rimarrà nella mente di tutti noi?
È stato l’atto che solo un grande può compiere. Ha capito che la sua platea era universale. Ha fatto un discorso orbi, anche se non c’era l’urbi. Si è rivolto al mondo, anche senza la piazza.
È l’unico che contesta la cultura dello scarto, che taglia fuori vecchi e bambini.
Chi li taglia fuori non ce l’ha con i vecchi, ma vuole risparmiare. L’economia prevale sull’etica.
Il regista ultraottantenne Pupi Avati ha scritto una lettera alla Rai per chiederle di stravolgere i palinsesti e sintonizzarli sul particolare momento con contenuti più culturali. In questi giorni gli anziani sono più protagonisti dei cinquantenni?
Non sono più protagonisti perché la società non assegna loro questo ruolo. Ma avrebbero la cultura per svolgerlo. La cultura classica contiene risposte. Ho letto che si vogliono riproporre i Promessi sposi perché c’è sete delle cose che restano. Gli anziani hanno vissuto nell’epoca dei libri duraturi, i giovani sono cresciuti nell’epoca del prendi e getta.
Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy, spesso citato per La strada, sembra Un altare per la madre trasferito in America mezzo secolo dopo: il titolo è più che mai attuale qui e ora?
Più che un paese, non è una civiltà per vecchi. Non è una società per vecchi. Il vecchio è superfluo.
Panorama, 8 aprile 2020