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«A Peschiera erano alpini di seconda generazione?»

Giovedì scorso era il compleanno di Federico Palmaroli, in arte Le più belle frasi di Osho, 540.000 seguaci su Twitter e 1,2 milioni su Facebook, collaborazioni con Porta a Porta e Il Tempo.

Come ha festeggiato?

«Con gli amici. Poi, confidando nella clemenza del tempo, sono partito per un weekend in Puglia».

Esprima un desiderio per il compleanno

«La pace nel mondo, come Miss Italia. Scherzi a parte, la pace è davvero auspicabile, per ovvie ragioni. Per me lo è anche perché tornerebbe finalmente in primo piano la politica vera. Con il governo Draghi, per chi fa satira è un periodo difficile. C’è poco dibattito, mancano gli scontri che sono il sale della satira».

E il Parlamento, chi l’ha visto?

«Draghi è diventato pallone d’oro di voto di fiducia… Il Parlamento di questi tempi ha un ruolo abbastanza marginale».

Mentre fuori si registra una certa vivacità, nascono partiti inediti come Forza Africa a Peschiera del Garda e Forza Russia sui giornali.

«La faccenda di Peschiera ha messo in luce le contraddizioni dei buonisti. Lo dico da umorista… Qualcuno potrebbe arrivare a dire che gli autori dei palpeggiamenti erano alpini di seconda generazione. Sui giornali il sensazionalismo riservato agli alpini di Rimini è scomparso nei confronti dei nordafricani di Peschiera».

Per le molestie al raduno di Rimini si è chiesto lo scioglimento del corpo degli alpini, per quelle sul treno Verona-Milano sono iniziati i distinguo.

«Mentre sono entrambi esecrabili. Non mi accontento di dire che quella degli alpini era goliardia. Erano comportamenti fastidiosi. Allo stesso modo condanno i fatti di Peschiera, con eccessi che manifestano un degrado radicato e alimentato dai tam tam dei social network».

Perché sui palpeggiamenti alle ragazze sul treno la voce delle femministe è stata così flebile?

«Dipende sempre da chi sono i violenti e chi sono le vittime. I ragazzi marocchini e nigeriani hanno minacciato: “Le donne bianche non salgono su questo treno”. A parti rovesciate avremmo sentito strillare e letto paginate per giorni e giorni».

Qualcuno ha incolpato i controllori che non hanno fatto rispettare l’uso delle mascherine.

«Pur di sgravare i veri responsabili… Mi sono meravigliato che non si sia scritto che sono state le ragazze a provocare… Se per caso si accenna alle conseguenze dell’immigrazione incontrollata apriti cielo. Il vero problema è che gli italiani non si sono integrati in Italia».

Accadrà quello che è successo nelle banlieue francesi?

«La tendenza mi sembra quella. Se non si inverte la crisi demografica, nel medio e lungo periodo la maggior parte della popolazione giovane sarà di origine africana».

Ci sono già adesso territori off limits alle forze dell’ordine?

«Questo riguarda anche certe realtà criminali italiane. La delinquenza portata dagli immigrati irregolari dovrebbe essere affrontata con la prevenzione prima che con la repressione».

Qual è la sua opinione sul ministro degli Interni Luciana Lamorgese?

«La definirei goffa. Ricorda quando durante l’audizione in Parlamento dell’ottobre scorso disse che l’agente infiltrato nella manifestazione no-vax a Roma stava verificando “la forza ondulatoria” di un blindato? Sull’immigrazione, a differenza di Salvini che ha sempre richiamato l’Europa alle sue responsabilità, l’attuale ministro mi sembra latitante».

Come nella gestione dei rave party?

«Più che un ministro tecnico sembra un ministro techno. Qualche abitante di Peschiera del Garda aveva avvertito la polizia del pericolo, ma non si è fatto niente. Lo stesso è successo l’anno scorso per il rave nel Viterbese. Grazie alle loro informazioni le questure potrebbero prevenire».

Secondo i grandi giornali sta nascendo anche Forza Russia.

«Premetto che per me la Russia è l’aggressore e l’Ucraina è il paese aggredito. Questo è un fatto incontrovertibile anche analizzando le responsabilità pregresse. Ma come da vaccinato non approvavo la campagna contro i no-vax, così ora contesto il tentativo di soffocamento di chi ha una opinione diversa sulla guerra. Anche se quella lista di cosiddetti filoputiniani non fosse stata fornita dai servizi segreti la sua pubblicazione è ugualmente grave. Non vedo come atleti, ballerini e artisti russi esclusi da competizioni, teatri e rassegne varie c’entrino con ciò che sta accadendo».

Il capo di Forza Russia sarebbe Michele Santoro tornato in prima linea?

«Lo vedrei bene il ritorno di Santoro in tv…. non con Anno Zero, stavolta con Anno Zeta».

Lei crede che in Italia esista una «complessa e variegata rete» che fa propaganda per Putin?

«Non vedo questo pericolo. Ci sono voci contrarie, sui social anche alcune becere. Ma sebbene Volodymyr Zelensky possa risultare una figura controversa, l’opinione pubblica mi sembra in maggioranza schierata dalla parte dell’Ucraina. Non mi sembra ci sia il pericolo di rovesciare i ruoli di carnefice e vittima».

Eppure quella lista additava persone che osavano criticare l’operato del governo come se fosse un reato.

«Per me non c’è alcuna necessità di compilare liste. Come sui temi politici l’opposizione è benvenuta anche sulla guerra e le questioni internazionali».

In questo momento Forza Ucraina è il partito che godrebbe di maggiori consensi?

«Certo. Dopo la vittoria pilotata della band ucraina all’Eurovision mi aspettavo che anche la nazionale di calcio si qualificasse per i Mondiali».

L’ha sorpresa la sconfitta con il Galles?

«Un po’. Ma far vincere i Mondiali di calcio all’Ucraina sarebbe stato un tantinello più difficile che farle vincere l’Eurovision».

Forza Ucraina è più in salute di Forza Italia?

«Sicuramente sì, ma attenzione al Cavaliere… Ha portato il Monza in serie A, potrebbe essere una nuova escalation».

Le sanzioni contro la Russia rischiano di essere un boomerang?

«Sono uno strumento da sempre utilizzato in queste situazioni. Se non si va in guerra, bisogna trovare altre forme di pressione. I danni principali rischiamo di pagarli noi, lo stiamo già vedendo. Le aspettative e i progetti di rinascita post-pandemia sono da rivedere».

Dipendiamo dalla Russia per il gas, ma sono cresciuti il costo della benzina e quello della pasta.

«Sono gli effetti collaterali. Draghi l’aveva anticipato quando aveva chiesto se preferiamo l’aria condizionata o la fine della guerra, ma il collegamento è risultato incerto. Non so se ci siano altre strade percorribili oltre alle sanzioni. Quello che è sicuro è che ci siamo autosanzionati. Non potremo più comprare la pasta? Poco male, tanto tra un po’ non avremo neanche più il gas per cuocerla».

Matteo Salvini è sempre pronto a partire per Mosca?

«Ma poi fa sempre marcia indietro. Non credo che un suo viaggio sarebbe risolutivo, gli consiglierei di rispettare le gerarchie. Nemmeno il Papa, che avrebbe sicuramente un’altra influenza, va a Mosca. E come umorista un po’ mi dispiace».

Perché?

«Sarebbe una grande fonte d’ispirazione. Il Papa e Putin: una prateria. Anche se ci andasse Salvini sarebbe una vena d’oro».

Luigi Di Maio che scrive bozze di negoziati di pace mostra che siamo naif?

«Affiora la nostra inclinazione alla macchietta. Come quando mostrando la sua biografia disse, compiaciuto, che il suo collega il ministro Sergej Lavrov avrebbe voluto farla tradurre in russo. È evidente che lo stava cojonando».

Andrà a votare per il referendum indossando la mascherina?

«Andrò senza indossarla, visto che non è più obbligatoria. Sono sempre stato disciplinato, perciò ora me la levo. Anche perché ho fatto da poco il Covid. Se un Paese tra i più prudenti al mondo dice che non è obbligatoria, me la evito. Tanto non penso che ai seggi domenica ci saranno tutti ’sti assembramenti».

Il vaiolo delle scimmie è già stato scongiurato?

«Da cittadino sono contento. Da vignettista mi rode un po’ perché sarebbe stato un filone interessante. Altro che bonus psicologo, con l’arrivo di un’altra catastrofe metà dei fondi del Pnrr servirebbero per un  trattamento sanitario collettivo».

Dopo il reddito di cittadinanza e il bonus psicologo speriamo nel reddito minimo?

«Vediamo se e come verrà applicato».

È più contento per il caricabatterie universale o per lo stop alle auto a benzina e diesel nel 2035?

«Il caricabatteria universale in sé è una cosa giusta. Ma nel momento in cui si aspettano tante risposte dall’Europa su questioni più drammatiche e stringenti mi ha fatto sorridere l’enfasi con cui anche Enrico Letta ha accolto il provvedimento. Lo stop alla benzina nel 2035? Spero de morì prima. Le auto elettriche costano un fottio, serviranno incentivi giganteschi e organizzare le città per le ricariche. Nutro qualche dubbio che saremo pronti».

Ringhio Gattuso si è fatto addomesticare da Walter Veltroni?

«È diventato un micetto. Magari lo avevamo interpretato male finora e presto lo vedremo su qualche carro del gay pride. Ma non credo».

Stanno peggio nel centrosinistra o nel centrodestra?

«Il centrosinistra mi sembra messo male rispetto al proprio elettorato. Concentrandosi sui diritti civili finisce per trascurare altre battaglie storiche della sinistra. Il centrodestra rischia di gestire male i consensi di cui sulla carta dispone per governare. Sbaglia spesso candidati, si presenta diviso in alcuni capoluoghi. È un’alleanza che si basa su fondamenta di plastilina. Insomma, chi ha il pane non ha i denti».

Litigano più Meloni e Salvini o Letta e Conte?

«In apparenza Salvini e Meloni. Le discussioni del centrodestra sono sotto gli occhi di tutti, ma non è detto che siano le più accese. Nel centrosinistra ci sono trame e dissidi sotterranei. Conte rivendica un ruolo nei 5stelle e spera di riacchiappare una fetta di elettorato. Non sono sicuro che ci riuscirà».

Il campo largo si è già ristretto?

«Più si va avanti più emergeranno questioni che sembravano superate».

Che fine ha fatto Nicola Zingaretti?

«Credo stia ancora cercando di recuperare i 14 milioni di euro sborsati dalla Regione per le mascherine fantasma. Magari ora, a emergenza finita, le consegnano».

Da Virginia Raggi a Roberto Gualtieri quanto è cambiata Roma?

«Ah perché c’è un nuovo sindaco?».

Dove lo vede Draghi tra un anno?

«Ritirato a vita privata perché secondo me si è rotto le scatole dei partiti. Dopo la guerra civile per la campagna vaccinale e la guerra militare per la campagna di Ucraina lo vedo a rifiatare a Città della Pieve. Non credo che voglia fare il segretario generale della Nato, anche se forse la richiesta di adesione da parte della finlandese Sanna Marin, potrebbe fargli cambiare idea…».

 

La Verità, 11 giugno 2022

Libro dei sogni possibili per il Milan 2018/19

Qualche nota a chiusura di stagione del Milan e qualche suggerimento (non richiesto) per la campagna acquisti (e vendite).

Non è corretto farsi troppo determinare dalla partita finale, con una Fiorentina già in vacanza e penalizzata da molte defezioni. Tuttavia, i cinque gol realizzati, e di più avrebbero potuto essere, devono far riflettere sulla possibilità di schierare, almeno con le squadre piccole o medie, le due punte dall’inizio. Troppe ali e trequartisti rischiano di rallentare la manovra, soprattutto se non si gioca in contropiede.

Morale della storia: il settore su cui lavorare maggiormente è da centrocampo in su. Per aumentare il potenziale offensivo, creando schemi che portino al gol non solo con il tiro da fuori o i cross, come accaduto in questa stagione, ma con triangolazioni e assist anche nella zona centrale del campo.

Questa lunga premessa per dire che il Milan ha bisogno prima di tutto di due punte nuove e di due centrocampisti. Con le due punte si può passare al 4-3-1-2 (con Calhanoglu nel ruolo di trequartista e Bonaventura a sostegno, qualora restasse). In alternativa, si può rimanere al 4-3-3, ma con un centravanti diverso, che non sia costretto a giocare spalle alla porta e abbia anche il colpo di testa.

Dando per scontati la cessione di Donnarumma e l’arrivo di Reina e Strinic, ecco i nomi, provando a restare nell’ambito dei sogni possibili e privilegiando giocatori italiani (o che già conoscono il nostro campionato).

Acquisti.

Centravanti: Milik o Cavani (magari!)

Seconda punta: Politano o Di Maria (magari bis!)

Ali e trequartisti: Chiesa (al posto di Suso) o Verdi (vice Calhanoglu).

Centrocampisti: Baselli o Vidal (o entrambi se Bonaventura lascia)

Cessioni.

Difensori: Antonelli, Gomez, Abate.

Centrocampisti: Josè Mauri, Bertolacci.

Attaccanti: Kalinic, Andrè Silva, Suso.

Le differenze non solo tecniche tra Juve e Milan

Poche, schematiche, considerazioni su Juventus-Milan finale di Coppa Italia, partita di non svolta della stagione rossonera.

Alcune differenze tecniche, qualcuna evidente qualcun’altra meno, e un paio di considerazioni finali.

Le parate di Gianluigi Buffon sui tiri di Cutrone e Suso e quelle di Gianluigi Donnarumma sul tiro di Douglas Costa e sul colpo di testa che ha portato al terzo gol.

I corner battuti da Pjanic sul dischetto del rigore e quelli battuti da Suso in zona morta, tre metri prima del primo palo.

I cambi della panchina: nella Juve Higuain per Dybala, nel Milan Kalinic per Cutrone (che non aveva sfigurato).

La persistente povertà di schemi offensivi del Milan, sempre in balia dell’estro altalenante di Suso, se si esclude il tiro da fuori area.

Certamente è anche una questione di maturità e di esperienza che manca alla squadra di Gattuso (lui compreso). Ma, in parte, è anche una questione tecnica.

Se, per la maturazione, basteranno quattro innesti lo capiremo dalle sfide da brividi con Atalanta e Fiorentina. Politano sarebbe una buona idea per cominciare (se qualcuno a caso non si metterà di traverso), poi un centravanti da 20 gol e due centrocampisti di qualità e quantità.

Infine, converrebbe blindare qualche elemento, tipo Jack Bonaventura, assistito dall’ineffabile Mino Raiola e corteggiato dalla medesima Juventus. Considerando la rosa bianconera tra centrocampisti, trequartisti e ali, alla corte di Allegri il buon Jack una decina di partite l’anno riuscirebbe a giocarle. Forse.

Perché il Milan sgobba molto ma segna poco

Stanchezza per la lunga rincorsa. Panchina corta. Rilassamento di alcuni giocatori, soprattutto le punte. Voci di mercato e incertezza sul futuro con l’avvicinarsi del finale di stagione. Sono alcuni dei tanti motivi individuati nel calo del Milan delle ultime settimane. Io vorrei segnalare un’altra lacuna, piuttosto determinante e su cui ho letto poche riflessioni: la sterilità offensiva. Una sterilità evidente di una squadra che, questo è l’apparente paradosso, sviluppa una notevole mole di gioco. Perché?

Provo ad andare oltre l’apparenza. Nelle ultime cinque partite il Milan di Gattuso ha realizzato tre gol: Bonucci su calcio d’angolo alla Juve, Kalinic in girata a centro area al Sassuolo, Bonaventura da fuori con il Torino. Zero reti con Napoli e Benevento. Il Milan gioca prevalentemente sulle fasce, spedendo pedissequamente cross in area che partono da Calabria o Rodriguez, oppure con il dribbling all’interno, o anche sul destro, di Suso. Il fatto è che non abbiamo questi grandi colpitori di testa. Per dire: domenica scorsa a Quelli che il calcio c’era ospite uno che si chiamava Mark Hateley e tutti ricordiamo un suo gol in un derby, sovrastando Fulvio Collovati.

I cross sono uno schema abbastanza aleatorio, speri che la prenda uno dei tuoi, circondato dai difensori. Ma se invece di Andry Shevchenko o Oliver Bierhoff hai Kalinic, a cui la palla sbatte addosso, non vai lontano. Solo Bonaventura, non certo uno specialista anche per questioni di statura, ha fatto un paio di gol di testa. Eppure noi giochiamo quasi solo sulle fasce, con Suso-Calabria e Bonaventura-Rodriguez. Se non c’è Calhanoglu, ancora di più. Qualche gol è arrivato con tiri da fuori, sempre Bonaventura, Suso e lo stesso Calhanoglu.

Mai che un milanista arrivi davanti alla porta, dopo un triangolo, un’azione in velocità, in seguito a un assist (tipo Iemmello del Benevento, per capirci) per una stoccata facile. C’è anche un certo egoismo, forse dettato da frenesia, quando un attaccante arriva in zona tiro si mette in proprio senza appoggiare al compagno, magari in posizione più felice.

Il Milan fa possesso palla, tira molto in porta, scaraventa in area tanti palloni, eppure segna poco. Anche le goleade con le squadre di bassa classifica scarseggiano. Voglio dire, per chiudere: c’è povertà di schemi offensivi, poche alternative al cross e al dribbling e tiro di Suso, pochi assist, pochi attacchi centrali che non siano il tiro da fuori. Difficile fare tanti gol in questo modo. Forse il ricorso al trequartista è inevitabile.

Inter e Milan, l’anima la danno gli italiani

Tutti al capezzale delle milanesi. Alla ricerca dell’anima perduta. Dov’è finita? Dove si compra? Forse nello stesso posto dove si comprava l’amalgama ai tempi del Catania di Massimino? I cinesi conoscono la parola? Il dibattito è acceso nei bar sport e nelle cattedre di tattica calcistica. Inter e Milan si sono dissolte alle ultime curve prima del rettilineo con vista sulle coppe europee. I nerazzurri, due punti nelle ultime sette partite. I rossoneri, due nelle ultime quattro. A San Siro maramaldeggiano tutti. Roma, Sampdoria, Napoli, Empoli, citando in ordine sparso. Per entrambi, uno di quei punti è arrivato dal pareggio nel malinconico derby della mediocrità.

Questa è la situazione. Ogni settimana si dà fondo alle analisi e anche i commentatori più sofisticati e scafati ormai gettano la spugna. Perché la crisi viene da lontano, non è carenza di risultati delle ultime domeniche. Le squadre milanesi non sono competitive secondo storia e blasone da illo tempore. Senza addentrarsi nelle traversie societarie con l’avvento dei cinesi, guardiamo la faccenda al presente che le accomuna con solo una minima differenza: qualcuno sottolinea che la famosa anima manca a entrambe le squadre, qualcun altro osserva che il Diavolo, almeno un briciolo d’orgoglio ce l’ha. Roba minima. E del resto, non basta passare da un allenatore o da un modulo a un altro per risolvere il problema. Esaurita la novità si precipita di nuovo nello sconforto. Come dimostra il triplo cambio in panchina all’Inter. Cercasi anima, dunque.

L’anima di una squadra la danno i leader. Questione di maglia e di appartenenza. Questione d’identità. E i leader possibilmente, se non inevitabilmente, devono essere italiani. La Juventus ha Gianluigi Buffon (leader anche nell’advertising, con le sue quattro campagne contemporanee) e Leonardo Bonucci, riabilitato dopo la clamorosa esclusione in Champions contro il Porto, seguita al diverbio con Massimiliano Allegri. Come ha notato Arrigo Sacchi, l’allenatore ha ristabilito le gerarchie e si è ripartiti, votati e vocati alla vittoria. La Roma ha in Daniele De Rossi e Francesco Totti i suoi capitani riconosciuti. E se qualche alto e basso l’ha resa meno vincente è proprio per la difficoltà a metabolizzare il fine carriera della sua storica bandiera. Andando indietro, tutte le squadre che hanno creato un ciclo avevano punti di riferimento in campo e nello spogliatoio. Il Milan di Sacchi e Fabio Capello aveva Franco Baresi e Alessandro Costacurta. Quello di Carlo Ancelotti ha avuto Paolo Maldini e Rino Gattuso. L’Inter del triplete aveva Marco Materazzi, Javier Zanetti e Zlatan Ibrahimovic.

Con intelligenza e ironia, in questi mesi Vincenzo Montella era riuscito a tenere i giocatori al riparo dall’incertezza derivata dalle vicende societarie. C’è chi sostiene che, firmato il closing, la squadra si sia sciolta perché gran parte dei giocatori si sono sentiti meno sicuri di essere confermati dalla nuova proprietà. È una lettura plausibile. Io ne aggiungo un’altra. Molti di quei giocatori sono in prestito o hanno contratti prossimi alla scadenza. E questa situazione c’era anche prima del closing. Il Milan d’inizio anno si era distinto per il progetto dei giovani italiani (Donnarumma, De Sciglio, Locatelli, Romagnoli, Bonaventura, Calabria) suggerito da Silvio Berlusconi. Quasi tutti ragazzi del vivaio, attaccati alla maglia, che avevano in Ignazio Abate un fratello maggiore. E ai quali basterebbe aggiungere pochi campioni per fare il salto di qualità. Dopo l’infortunio di Giacomo Bonaventura, uno che l’anima l’ha sempre data, si è aggiunto quello di Abate. Da quel momento il Diavolo ha iniziato a perdere gli artigli. Non a caso Montella dice spesso che un altro giocatore come Abate in rosa non c’è. Questione di leader. Di giocatori italiani attaccati ai colori. Vista da qui, la situazione dell’Inter, una babele multietnica di lingue e provenienze, è specularmente decodificabile.