Tag Archivio per: Sky

Qual è il segreto di una buona pasta? Fiorello

In fondo Fiorello è come la pasta. Qual è il segreto per fare una buona pasta ? Ci puoi mettere tutti gli ingredienti più ricercati, se li hai. Altrimenti fa lo stesso. Fiorello potrebbe inventarsi uno show leggendo il vocabolario o l’elenco del telefono. Edicola Fiore è l’uovo di Colombo. L’idea era lì, talmente elementare che nessuno ci ha pensato. A cominciare dalla Rai per finire a Mediaset. Andava sul web da mesi, anni. Ha appena vinto il premio È giornalismo!, non la prima e l’unica volta che viene assegnato a un non giornalista professionista (con scorno dell’Ordine e dei sacerdoti dell’ortodossia). E dunque bastava provarci. Ci ha pensato Sky, la scia è partita, il fenomeno virale sui social, sui media, nelle conversazioni tra amici.

Lorenzo Jovanotti nella sigla di Edicola Fiore

Lorenzo Jovanotti nella sigla di Edicola Fiore

Fiorello ha arruolato Stefano Meloccaro, Jovanotti per la sigla, Fedez come corsivista in collegamento web, i Negramaro come guest star della prima puntata: “Noi siamo come le serie di Sky, nove episodi ma alla fine non si sa chi muore”. No, “siamo l’Unomattina di Sky e tu sei Franco Di Mare”. L’anteprima con Agonia cita le serie doc. Ci sarebbero anche le notizie da dare – 1,4 milioni di persone che devono restituire gli 80 euro, la spazzatura che sommerge le vie di Roma per lo sciopero dei netturbini – ma Fiore sommerge tutto con il “buonumore”, parola chiave, additivo imprescindibile della cura. Agonia, John Wayne, il Depresso, il Dottore, i Gemelli di Guidonia, stanno al gioco. All’autopresaingiro. E alla presa in giro della tv e del circo mediatico, la parodia di Gomorra, dei programmi scomodi che non fanno sconti a nessuno, di Sky che ti bombarda con la promozione e ti sommerge di repliche a tutte le ore e su tutte le reti. Il segreto di una buona pasta è Fiorello. In Italia la buona pasta piace a tutti. Tranne ai celiaci e ai vegani…

Fiorello con Stefano Meloccaro

Fiorello con Stefano Meloccaro

Post Scriptum Ieri sera, in vista del voto di domenica (mentre in Rai si frigna perché si parla troppo di referendum e poco delle amministrative) SkyTg24 ha rispolverato Il Confronto con i sindaci (stasera, davanti a Gianluca Semprini, per la prima volta si troveranno tutti i candidati di Roma). Su SkyUno, invece, ci sarà Gomorra e domani due nuovi episodi di Dov’è Mario: Sky punta a diventare il diario di giornata del ceto colto medio-alto.

La differenza tra Rai e Sky in tre notizie

Vista da Palazzo San Macuto, Gomorra è un incubo. Anzi, un miraggio irraggiungibile. Un’entità astrale, forse: sto parlando della serie, ovviamente. Tanto per gradire, ecco qualche domanda alla rinfusa. Mentre vogliono sapere come impiega il suo tempo Carlo Verdelli, direttore editoriale dell’informazione Rai, che idea si sono fatti i vari Michele Anzaldi o Maurizio Gasparri di Gomorra? Quanti secoli ci vorranno prima che la Rai produca una serie in grado di reggere il confronto con quella di Sky? Nel frattempo, vale la pena presentare interrogazioni parlamentari su una parolaccia pronunciata da un conduttore che credeva di avere il microfono spento? Mentre ci pensiamo, oggi si è svolta l’ennesima audizione in Commissione di Vigilanza del dg Antonio Campo Dall’Orto. Un paio d’ore a giustificare, illustrare, rispondere, rintuzzare supposizioni dei commissari vigilanti dell’intero arco costituzionale su nomine, fiction, programmini da proteggere e quant’altro. Sull’argomento mi sono già espresso di recente (http://cavevisioni.it/2016/05/05/le-sedute-della-vigilanza-una-docufiction-brezneviana-2/) e non ci torno.

Antonio Campo Dall'Orto, direttore generale della Rai

Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai

Ciò di cui voglio parlare è la distanza abissale che intercorre tra la quotidianità della nostra tv pubblica, altrimenti chiamata prima azienda culturale italiana, e quella della principale tv a pagamento che agisce sul territorio nazionale. Precisazione: anche la Rai, grazie al canone che quest’anno avrà un gettito maggiorato, è una tv a pagamento. Mentre dal canto suo anche Sky, grazie a canali come Tv8, Cielo e SkyTg24, è una televisione in chiaro. Ci sono ampie parti sovrapponibili e confrontabili tra loro, soprattutto sul telecomando degli spettatori. Semmai, le differenze sono che una è una multinazionale con sede negli States, mentre l’altra, che dovrebbe rappresentare la nostra storia, è gravata dall’invadenza della politica. Rai e Sky sembrano gravitare a distanza siderale tra loro. Televisioni che corrono due gran premi diversi. Basta confrontare la quotidianità dell’una e dell’altra, basandosi sulle notizie di giornata.

Massimo Giannini, conduttore di Ballarò

Massimo Giannini, conduttore di Ballarò

Partiamo dalla Rai.

  1. La prima notizia di oggi, su molti siti e giornali, è l’epurazione di Massimo Giannini, il conduttore di Ballarò (Raitre) in rotta di collisione con il premier Renzi e nuovamente superato dal diMartedì (La7) di Giovanni Floris.
  2. La seconda notizia è rivelata dal Giornale. La produzione del reality show scolastico That’ll Teach ‘Em sul confronto tra i metodi d’insegnamento di mezzo secolo fa e quelli attuali, format inglese esportato in mezza Europa e previsto su Raidue, è stata vinta da Magnolia, società di provenienza del direttore della rete Ilaria Dallatana. Inevitabili le polemiche sul conflitto d’interessi.
  3. La terza notizia riguarda Paolo Bonolis. Definito “un fuoriclasse” da Campo Dall’Orto, il conduttore di Ciao Darwin ha parlato sia con i dirigenti Rai che con quelli Mediaset, ma alla fine ha deciso di rimanere a Cologno Monzese dove per lui si parla di un baby talent.
Ciro Di Marzio in Gomorra 2

Ciro Di Marzio in Gomorra La Serie, seconda stagione

Passiamo a Sky.

  1. La prima notizia riguarda gli ascolti di Gomorra – La Serie seconda stagione, uno show che ormai crea dipendenza. Gli episodi 3 e 4 trasmessi su Sky Atlantic e Sky Cinema Uno sono stati seguiti da 1,1 milioni di telespettatori con un incremento di ascolti dell’89 per cento rispetto agli stessi episodi della prima stagione.
  2. Fiorello ha annunciato su Twitter che la sua Edicola andrà in onda da giugno su Sky. Ma non nella pay tv, bensì su Tv8, uno dei canali in chiaro sopracitati. Saranno solo nove morning show “per vedere l’effetto che fa”. Con probabile ritorno in pianta stabile, dall’autunno. Nei giorni scorsi qualcuno aveva precipitosamente annunciato l’approdo in Rai dello showman. In realtà la firma della collaborazione con Sky risale già a qualche mese fa.
  3. Terza anticipazione: il canovaccio di Dov’è Mario?, la serie in quattro serate da mercoledì su Sky Atlantic. Con un certo scorno dei colleghi che attendevano la conferenza stampa, Repubblica ha pubblicato “l’editoriale supercazzola” a firma Mario Bambea, l’intellettuale di sinistra interpretato da Corrado Guzzanti che si sdoppierà nel comico trash Bizio.

È proprio così ovvio che Rai e Sky siano tv a due velocità? È proprio inevitabile che, parlando a un pubblico più vasto, la Rai debba perdere così tanto in qualità di contenuti e linguaggi? Non sarà che l’invadenza della politica in Rai faccia un po’ troppo da zavorra?

Scrosati: Gomorra? Non c’è due senza tre e quattro

L’astinenza è finita: domani parte su Sky Atlantic e Sky Cinema 1 la seconda stagione di Gomorra. Avete già deciso anche la terza?

Si, la scrittura è già a buon punto. Stiamo anche già ragionando sulla quarta”.

Squadra che vince non si cambia?

“La squadra è in continua evoluzione, a partire dall’inserimento di Claudio Giovannesi che ha diretto gli episodi 7 e 8. Ma si tratta di una squadra che si basa su fondamenta solide, dal contributo fondamentale di Roberto Saviano a quello cruciale di Stefano Sollima, dal team di Cattleya guidato da Gina Gardini a quello di Sky guidato da Nils Hartmann e dagli sceneggiatori che creano la materia su cui tutta la serie si regge. Rispetto agli attori una delle forze di questo progetto è senza dubbio non aver avuto timore di raccontare quello che accadrebbe nella realtà, dove chi sceglie una vita di violenza è il primo a rimanerne vittima, che vuol dire che i nostri protagonisti possono morire. D’altronde, questa è la lezione che arriva dal miglior cinema di genere, a partire da quello di Scorsese, capace di far morire un protagonista improvvisamente, magari in una scena secondaria. Tanti ci hanno detto ad esempio che Donna Imma non doveva morire. Io sono persuaso del contrario: una storia dove tutti sono a rischio è narrativamente più tesa, ed è più realistica. Anche nella seconda stagione ci sono molte sorprese, ogni puntata potrebbe contenere una svolta davvero inaspettata”.

Andrea Scrosati, 44 anni, vicepresidente di Sky Italia, responsabile di tutti i contenuti non sportivi della tv del gruppo Murdoch è considerato “l’uomo che ha cambiato le sorti dell’intrattenimento in Italia” (Studio). Grazie alla sua spinta e alla sua supervisione sono nati Romanzo criminale, la nuova edizione di X Factor, Masterchef e molti altri progetti. Probabilmente Gomorra è il vertice creativo e produttivo della sua direzione. Finora. Ho parlato con Scrosati dei cambiamenti nel mondo della serialità, americana ed europea.

Andrea Scrosati, vicepresidente di Sky Italia

Andrea Scrosati, vicepresidente di Sky Italia

Una serie in napoletano stretto è stata venduta in più di 150 Paesi. Come ci è riuscita? E ve lo aspettavate?

“Eravamo convinti della forza di questa storia, ma ammetto che non ci aspettavamo questo successo internazionale. In molti ci dissero che una serie in napoletano non se la sarebbero vista nemmeno a Roma, figuriamoci a Parigi… Credo che oggi il panorama dei prodotti seriali si possa raggruppare in tre macrocategorie: quelle local local, quelle glocal e quelle global. Le local-local sono rilevanti per un singolo territorio, si basano su archetipi ed elementi che fuori dal loro contesto culturale sono di difficile comprensione. Quelle glocal – di cui Gomorra è un esempio perfetto – raccontano archetipi universali in contesti locali, hanno un elemento di grande realismo per un pubblico locale ma allo stesso tempo sono storie evocative anche per chi vive in paesi e realtà diverse. La tensione per il potere, i conflitti generazionali, l’effetto distruttivo della violenza, della corruzione, sono in fondo gli stessi elementi che sono alla base di una serie come Games of Thrones. Esempio perfetto di serie glocal era The Wire, sulla vicenda dei sindacati dei portuali di Baltimora, girata in dialetto stretto. Anche in quel caso si era partiti con un cast ignoto a livello internazionale. Ma come accadde per Idris Elba che da The Wire in poi è divenuto una star globale, così Fortunato Cerlino (Pietro Savastano) dopo Gomorra ha già recitato in due stagioni di Hannibal e sta lavorando ad altri progetti internazionali”.

Dovesse dire qual è il suo maggior punto di forza indicherebbe il cast corale, la qualità della scrittura, l’imprevedibilità della trama o altro?

“Come per ogni cosa, il tutto è il frutto di tanti elementi singoli e della loro armonia. Senza una scrittura di straordinario livello non ci sarebbero le basi per nulla. Senza un cast credibile e di grandi professionisti il risultato finale sarebbe imbarazzante. Senza una regia capace di un punto di vista straordinariamente realistico ed originale non ci sarebbero le atmosfere che fanno di Gomorra un prodotto di riferimento internazionale, e potrei andare avanti a lungo”.

Gomorra è stata la prima produzione europea capace di ribaltare il flusso abituale della serialità, dal centro dell’impero alla provincia europea. Che possibilità c’è di ampliare questa direzione contraria?

“Era già successo prima con alcune serie scandinave, ad esempio The Bridge e The Killing. Ed è successo contemporaneamente a Gomorra con Les Revenants di Canal+ e successivamente con una serie tedesca bellissima: Deutschland ’83. È interessante come in alcuni casi il mercato internazionale acquisisce il format per fare un remake, come nel caso delle serie scandinave, e in altri invece acquisisce il prodotto originale doppiandolo o sottotitolandolo, come nel caso di Gomorra e Deutschland ’83. Per un anno Weinstein ha provato a doppiare in inglese Gomorra, poi ha preso atto che la versione in Napoletano era molto più forte e Sundance Channel ha annunciato la messa in onda in originale con i sottotitoli, come è avvenuto per Deutschland ’83.

Genny Savastano, interpretato da Salvatore Esposito

Genny Savastano, interpretato da Salvatore Esposito

Il mercato sta anche proponendo prodotti ibridi. L’esempio perfetto è Narcos, serie di Netflix per il mercato americano, diretta da un regista brasiliano (Josè Padilha), prodotta da una casa francese (Gaumont), per il 40 per cento in spagnolo. Questa tendenza crescerà per ragioni industriali. Negli ultimi anni Hollywood è passata da una media di circa 220 serie l’anno alle 450 di oggi (tra nuove e rinnovi). Il ritmo di produzione aumenta, e inevitabilmente diminuisce la qualità del racconto. C’è meno tempo a disposizione. È una trasformazione già avvenuta nel cinema. Producendo di più si vuole andare sul sicuro e si punta su prodotti dove al posto della storia comandano gli effetti speciali… Si è più tranquilli producendo l’ennesimo blockbuster di supereroi che andando alla ricerca di una storia sofisticata…”.

Tornando all’Europa e al suo peso nel mercato…

“C’è uno spazio da riempire. Con l’ingresso di nuovi soggetti anche le piattaforme europee stanno capendo che o producono autonomamente o vengono trascinate in una gara al rialzo per l’acquisizione dei contenuti. Il pubblico europeo e quello asiatico non trovano più la qualità di racconto di qualche anno fa. Ma siccome sono abituati al livello americano, anche i produttori europei e asiatici devono crescere. A Hollywood gli studi che fanno cinema sono gli stessi che producono le serie. Così è in atto una progressiva standardizzazione che rende più difficile soddisfare la richiesta di qualità e originalità. Questo non significa che dagli Stati Uniti non continuino ad arrivare serie straordinarie, come True Detective o House of Cards, ma significa anche che la ricerca di qualcosa di diverso spinge molte star americane ad essere stimolate a lavorare in Europa, come per esempio è avvenuto con Jude Law e Diane Keaton in The Young Pope”.

Pablo Escobar (Wagner Moura) in Narcos

Pablo Escobar (Wagner Moura) in Narcos

L’avvento di Netflix, Amazon e Apple quali cambiamenti sta portando nella produzione di contenuti?

“L’avvento di player come Netflix, Amazon, Hulu, ha reso ancora più competitivo tutto il settore, ha stimolato una corsa alla creatività che può solo avere effetti benefici. D’altro canto però anche per questi player, come per tutta l’industria, c’è un tema di quantità vs qualità. Credo che se si raffronta House of Cards, prima produzione di Netflix, con alcune delle loro produzioni più recenti, la differenza sia abbastanza evidente”.

Negli anni zero abbiamo avuto Mad Men, Lost, I Soprano, Six Feet Under, The Wire, Breaking Bad, West Wing, Glee. Negli ultimi anni dall’America sono arrivati House of Cards, Mr Robot e poco altro.

“Le serie tv sono nate su alcune tv via cavo come luogo della sperimentazione di una scrittura più sofisticata, di plot complessi, mai banali, sfidanti anche per il pubblico. Quando anche i grandi network free americani hanno cominciato a commissionare serie questo ha inevitabilmente portato ad una semplificazione dei linguaggi, ad una minore propensione al rischio, considerando i budget coinvolti. Ma se si vuole produrre innovazione, se si vogliono creare nuovi linguaggi, bisogna necessariamente mettere in conto diversi fallimenti. Il bello è che se non lo fa l’industria mainstream ci sarà sempre qualcuno disponibile a farlo che magari diventerà leader nel mercato dopo pochi anni”.

La globalizzazione è amica o nemica della serialità?

“Può essere entrambe le cose. Se diventa l’alibi per non rischiare e puntare sul minimo comun denominatore si ottiene un effetto-omologazione, un fritto misto senza sapore e personalità. Diversamente, la globalizzazione può essere una grande opportunità di contaminazione culturale. Quando Sollima gira Gomorra2 è inevitabile che utilizzi spunti e idee che derivano da serie del resto del mondo, magari da Narcos, magari da The Wire. Gli sceneggiatori di 1992 sono cresciuti anche con i political drama scandinavi, e così via”.

Frank e Claire Underwood, diabolica coppia di House of Cards

Frank e Claire Underwood, diabolica coppia di House of Cards

Vivendi è entrata in Mediaset Premium nella prospettiva di creare un polo europeo. Anche Sky sta razionalizzando e unificando Italia, Germania e Gran Bretagna. Esiste uno specifico narrativo europeo?

“Certo che sì. Come esiste uno specifico latino americano, mediorientale e così via. Ma direi che esiste anche uno specifico italiano, uno brasiliano, e all’interno dei paesi scandinavi uno danese ed uno norvegese. Eppure l’ultima cosa che devi fare è tentare una definizione di questo specifico, perché è il momento in cui neghi il principio di creatività. Ogni realtà culturale è di per sé fluida, in movimento, si fa contaminare e contamina. Certamente possiamo identificare alcuni generi che alcuni territori hanno sviluppato più di altri, dalle commedie francesi sofisticate e basate sui dialoghi come Cena tra amici ai noir del nord europa. È anche vero però che questi generi sono stati obbligati per decenni dai budget necessari per realizzarli. Ad esempio per cinquant’anni i film di fantascienza realizzati in Italia si contavano sulle dita di una mano perché il mercato non giustificava gli investimenti necessari. Oggi grazie alla tecnologia digitale questo non è più un limite. E così non escludo affatto che nei prossimi cinque anni dal nostro paese possa nascere una serie sci-fi con ambizioni globali, o un film di supereroi. Anzi, in fondo, mi pare che Lo chiamavano Jeeg Robot ha dimostrato che il genere può essere affrontato con un approccio completamente originale ed affascinante…”.

I David di Donatello di Sky portano Hollywood sul Tevere

L’idea era lì, a portata di mano. Ma finora nessuno l’aveva raccolta. Eppure non era difficile. Visto che i David di Donatello sono considerati gli Oscar italiani, i David Awards, perché non trattarli alla maniera di Hollywood? Perché non hollywoodizzarli? Al mattino, c’era da sempre anche il ricevimento al Quirinale col discorsetto del Presidente della Repubblica… Era semplice no? In mano a Sky, l’appuntamento televisivo relegato alla differita per pochi cinefili e un pubblico di nicchia si è trasformato in evento: cinematografico, mediatico, anche mondano, per quel che conta. Una cerimonia di poco più di due ore è riuscita ad armonizzare carattere istituzionale, linguaggio moderno, ambizione artistica, autoironia e glamour da tappeto rosso. È il risultato della volontà di pensare in grande. Trasformare il rito dei David in evento è un piccolo mattone nella costruzione di un’industria che voglia produrre arte rivolta al grande pubblico. Bisogna crederci giorno per giorno e sorprende – ma non tanto – che non sia la Rai, il servizio pubblico anche produttore e distributore cinematografico, protagonista di questa operazione.

Premiazione perfetti sconosciuti

Diversi altri mattoni vanno aggiunti per far avanzare il progetto, a cominciare dalla rottura di certe consorterie dure a morire che resistono all’interno dell’Accademia (1916 giurati) e si sono viste all’opera nella distribuzione dei premi che, manco a dirlo, hanno proditoriamente escluso Quo vado? di Checco Zalone, peraltro già ampiamente sdoganato dalla critica più engagé. Più plausibili il trionfo di Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti che ha visto premiati tutti quattro gli attori (Claudio Santamaria, Ilenia Pastorelli, Luca Marinelli e Antonia Truppo, forse almeno il David all’attrice non protagonista poteva esser dirottato su Sonia Bergamasco), il successo di Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese (miglior film e miglior sceneggiatura) e il riconoscimento a Il racconto dei racconti di Matteo Garrone per la miglior regia e nelle categorie tecniche.

Tornando alla televisione, la sessantesima edizione dei David proposti in prima serata su SkyUno, SkyCinemaUno e, in chiaro, su Tv8, non è immune da impacci e ingenuità. A cominciare da Alessandro Cattelan,  acclarato talento della conduzione, ma forse troppo giovane e giovanilista per un evento così istituzionale. Lo si è intuito all’ingresso in teatro, quando con la sua verve da dj, ha presentato Toni Servillo in tutte le sue rughe da attore consumato. Il cambio d’inquadratura ha reso il salto generazionale e di carisma. Sensazione confermata poco dopo quando, citando Gianluigi Rondi, presidente dei David e autorità assoluta del nostro cinema, ha menzionato i suoi 94 anni, per invitare i premiati a ringraziamenti brevi. Per non parlare della gaffe sull’autore del motivo di Lo chiamavano Trinità (Franco Micalizzi e non Ennio Morricone). Altri nei: la lettura del gobbo di molti dei premiatori, le immancabili e veltroniane interviste ai bambini su chi è il produttore. Per il resto, narrazione ritmatissima, forse un filo discontinua, tra parodie dei Jackal, video registrati, gag di attori e attrici molto scritte (il presunto battibecco tra Matilde Gioli e Matilda De Angelis) e corsa indiavolata di Cattelan nel tentativo di recuperare il (presunto) ritardo. Pur con queste imperfezioni, dettate dall’esordio, alla prima prova Sky fa registrare un notevole cambio di marcia rispetto al passato. L’ironia di Paolo Sorrentino che si presta a giocare con i Jackal (“È il Cinema che mi manda”), l’emozione di Luca Marinelli e quella di Ilenia Pastorelli, l’intero cast artistico e tecnico di Perfetti sconosciuti sul palco restano momenti memorabili di una bella serata d’intrattenimento tra glamour e arte.

C’è da lavorare, c’è da limare. Ma abbiamo gli Oscar italiani, fruibili e godibili anche dal grande pubblico (grazie a Tv8). Una buona notizia, per la televisione e per il cinema.

Kevin Spacey, il colpo di Maria che spiazza Sky

Un lungo filmato che riassume la sua carriera di grande attore cinematografico, i due Oscar per I soliti sospetti e American Beauty. Una celebrazione in grande stile. Abito elegante-sportivo, sneakers ai piedi, Kevin Spacey ha partecipato come quarto giudice alla puntata d’esordio serale di Amici (in onda sabato prossimo). Niente male come partenza per il talent di Maria De Filippi. È vero, Maria ha abituato il suo pubblico ai grandi divi di Hollywood. Da Al Pacino a Robert De Niro, da Charlize Teron a John Travolta, da Julia Roberts a Dustin Hoffman fino a Matthew McCounaghey tanto per citarne alcuni, tra C’è posta e Amici son tutti passati da Canale 5. Stavolta però c’è qualcosa di più. Spacey è attore riservato, restio a ospitate e passerelle. Ma soprattutto è il magnetico protagonista di House of Cards, la serie d culto del momento giunta alla quarta stagione, da noi in esclusivissima onda su Sky Atlantic (anche Netflix che l’ha prodotta ha dovuto farsene una ragione). Dunque, nell’immaginario del telespettatore, Spacey è una star in quota Sky.

image

Per il lancio delle stagioni, lui che fino a poco tempo fa viveva a Londra, dov’è stato a lungo direttore artistico dello storico Old Vic Teather (ora è tornato negli States dove fa il presidente e produttore della Relativity Media), non è mai venuto in Italia. Quest’anno ha eccezionalmente concesso tre interviste a testate italiane: Corriere della Sera, StampaStudio. Non che per il talent di Maria De Filippi sia sceso appositamente a Roma. Era già qui in vacanza privata, niente cachet milionario. Però, per tutti questi motivi, la sua presenza su una rete Mediaset ha del clamoroso, più che per altre star internazionali. Grazie alle quali De Filippi vanta un ottimo rapporto con le agenzie che si occupano di loro. E quando qualcuno di loro passa dall’Italia, è la prima a saperlo.

Durante la registrazione della puntata, sabato scorso Spacey è stato cordiale ma professionale, friendly con gli altri giudici – Sabrina Ferilli, Loredana Bertè, Anna Oxa e Morgan – quel poco che il meccanismo della traduzione curata da Olga Fernando gli ha permesso. Anche un filo sovrappeso, come appare negli episodi attuali di HoC, in una forma non proprio consona al diabolico presidente americano Frank Underwood. Che, infatti, sta facendosi rubare la scena dalla first lady, più che mai determinata a conquistare la vicepresidenza, in un percorso che sembra ricalcare quello di Hillary Clinton. Ad Amici Spacey ha giudicato le esibizioni dei ragazzi, squadra bianca e squadra blu, ha distribuito qualche consiglio, ha scherzato con Maria. Ma degli Intrighi del potere della Casa Bianca non s’è fatto cenno. E a quanto pare nemmeno nell’intervista esclusiva che, per completare il giro delle grandi testate italiane, nell’occasione ha concesso a Repubblica. Accordi blindati: mai fare pubblicità a Sky, nemico dichiarato.

image

Il quale, per rilanciare, ora potrebbe trovare il modo di esibire la fascinosissima Robin Wright, la machiavellica Claire Underwood…

Basta americanate, Mediaset cambia strategia di comunicazione

Due indizi fanno una tendenza: Mediaset cambia strategia di comunicazione dei prodotti. Fine dei red carpet con raffiche di flash, degli americanismi e dei vip per le allodole… La nuova linea è puntare sulle community, blog, social network e riviste, ovviamente senza escludere la grande stampa. Venerdì scorso in una saletta dell’Odeon a Milano giornalisti e blogger addetti sono stati invitati alla visione di Bosch e Mr. Robot, due serie in palinsesto nella primavera di Premium. La prima è un poliziesco-procedurale ispirato ai romanzi di Michael Connelly, imperniato sul detective Harry Bosch (Titus Welliver). Prodotta da Amazon, la vedremo su Premium Crime dal 24 febbraio. La seconda è un cyber trhiller, già osannato dalla critica e premiato all’ultimo Golden Globe, che ha per protagonista un hacker in lotta contro multinazionali e banche. Dal 3 marzo su Premium Stories. Il secondo indizio è l’appuntamento mercoledì sera in un loft di Corso Garibaldi per parlare dell’Isola dei Famosi. Quattro chiacchiere per accendere i motori sulla seconda edizione su Canale 5 (Simona Ventura tra i concorrenti). Visioni in anteprima, cene con anticipazioni, in una dimensione privata, senza ufficialità nè obbligo di scrittura. Una scelta, si vedrà tra qualche tempo quanto indovinata.

Natalia vicedirettore di SkyTg24 Flavio Natalia è il nuovo vicedirettore di SkyTg24 con delega alla cultura e agli spettacoli, spazio che si sta progressivamente ampliando nella rete all news diretta da Sarah Varetto. La notizia non è ancora ufficiale, ma confermata da fonti sicure. Natalia lascia l’incarico di Direttore della Comunicazione di prodotto della tv satellitare che verrà assunto ad interim da Riccardo Pugnalin, Vicepresidente esecutivo della Comunicazione e degli Affari pubblici. Mentre rimarrà direttore editoriale del magazine Sky Life e della newsletter Sky Evening News.

Pubblicità: Cairo provoca, il governo risponde Al convegno Microfoni @perti organizzato la scorsa settimana in Senato da Maurizio Gasparri si è registrata una interessante apertura del sottosegretario per la Comunicazione Antonello Giacomelli sul tema dei tetti pubblicitari. L’editore di La7, Urbano Cairo, aveva detto che “in Inghilterra la BBC non ha neanche un centesimo di pubblicità, lo stesso vale per la tv pubblica spagnola, in Francia non ha pubblicità dopo le ore 20 e in Germania c’è dalle 17 alle 20. In Italia, di contro, si fa una riforma e si introduce il canone in bolletta (che porterà 250 milioni in più nelle casse della Rai) ma nulla si dice sulla pubblicità. Avrebbero potuto ridurla…”. Giacomelli ha subito raccolto l’appunto: “Quello dei tetti pubblicitari è un tema, se ne può parlare. Però era giusto contrastare l’evasione del canone. Il processo di eliminazione degli spot su alcune reti è stato già avviato su canali come Rai Yoyo e Rai Storia. Quello della pubblicità è un tema vero purché si riconosca che è giusto combattere l’evasione”.

Come si spiega il flop di 1992 su La7

Domenica scorsa la serie 1992 su La7 ha fatto registrare nel primo episodio l’1,20 per cento di share (343mila telespettatori) e l’1,42 per cento nel secondo (314mila). È il punto più basso toccato dalla fiction ideata da Stefano Accorsi e prodotta da Wildside per Sky Italia (che la trasmise in primavera) dopo i primi due appuntamenti, iniziati al 3,10 per cento (815mila nel primo episodio e 650 nel secondo), scesi al 2,62 nel secondo (meno di 600mila spettatori) fino allo spostamento nella programmazione dal venerdì alla domenica.

I bene informati dicono che l’editore Urbano Cairo sia alquanto contrariato per questi dati che frenano la risalita negli ascolti in atto a La7 con conseguente benefico influsso sulla raccolta pubblicitaria (+10 per cento in dicembre e segno positivo anche in gennaio). Ma che lo sia altrettanto, se non di più, perché i dieci episodi della serie, spalmati su cinque serate (e chissà se, a questo punto, si arriverà alla fine), sono costati 3 milioni e mezzo, in pratica 700mila euro a serata. Una cifra pagata dalla precedente proprietà (Telecom Italia Media) che si avvicina parecchio ai costi medi di una fiction per Raiuno o Canale 5 (circa 800mila euro a serata) con altri risultati.

A questo punto viene da chiedersi come mai una serie accolta con favore al suo esordio su Sky stia invece naufragando appena preso il mare aperto della tv generalista.

Formulo schematicamente alcune ipotesi esplicative di questa differenza di rendimento secondo scuole di pensiero diverse, lasciando ai lettori di scegliere la o le preferite.

  1. Sky gode di un pregiudizio positivo da parte della stampa specializzata che elogia a prescindere ogni sua produzione.
  2. Realizzare uno show per un pubblico di nicchia, istruito e d’élite, è molto più facile che accontentare una platea di massa.
  3. Ogni prodotto ha bisogno di un “ambiente” che la traini, di un clima culturale che la favorisca. Sky è brava a instaurarlo per i suoi show mentre le tv generaliste non ci riescono.
  4. Ora che siamo immersi in grandi crisi internazionali (e i talk show si occupano d’immigrazione, terrorismo e banche), quella di Tangentopoli risulta un’epoca psicologicamente lontana.
  5. Buona parte dei telespettatori abituali di La7 sono anche abbonati a Sky e, semplicemente, hanno già visto, o almeno adocchiato, la serie.

Sono curioso di conoscere la vostra opinione.