The Young Pope, il gioco cinematografico di Sorrentino

Di sicuro, Paolo Sorrentino si è divertito. E si sono divertiti gli attori, Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando e il resto del cast, notevole per una serie tv. Perciò, verosimilmente si divertirà anche gran parte del pubblico vedendo i dieci episodi della nuova produzione Sky HBO Canal+ (realizzata con Wildside), due dei quali sono stati presentati in anteprima mondiale alla Mostra del cinema di Venezia. Divertimento, dunque. Perché The Young Pope è un grande gioco. Raffinato, colto, calligrafico. Ed è anche grande cinema (sebbene si stia parlando di una serie tv): ambizioso, spregiudicato, potente. Cinema visionario, che permette al suo autore di spaziare e svincolarsi da obblighi didascalici o da una narrazione prevedibile. Anzi, è proprio l’imprevedibilità la forza del suo racconto, legata al personaggio misterioso, istrionico, carismatico e più che mai complesso del suo protagonista. Se gli uomini della Santa Sede “avranno la pazienza di arrivare fino in fondo alla serie – ha detto il regista parlando con i giornalisti – capiranno che The Young Pope non è una sterile provocazione né una forma di pregiudizio o intolleranza nei confronti della Chiesa, ma il tentativo onesto e curioso di indagare, per quanto possibile con un film di quasi dieci ore, le contraddizioni, le difficoltà e il fascino del clero: cardinali, sacerdoti, suore e un prete diverso da tutti gli altri che è il Papa”. Vedremo, aspettiamo la recensione dell’Osservatore Romano.

Silvio Orlando nel ruolo del cardinal Voiello

Silvio Orlando nel ruolo dell’ambiguo cardinal Voiello

Fin dalla prima inquadratura ripresa dall’alto, nella quale si vede un neonato gattonare su una distesa di altri neonati dormienti, superata la quale si trasforma nel pontefice di bianco vestito, papa Pio XIII (Law), Sorrentino spiazza e afferra la curiosità dello spettatore. È un sogno, ovviamente; a significare l’ambizione dell’infante abbandonato da entrambi i genitori, il suo essere eletto, predestinato da subito. Di sogno in sogno, dopo la vestizione il Papa saluta i fedeli accorsi in piazza San Pietro con un “ciao Roma, ciao mondo”, alla maniera di una rockstar. Ci pensa il machiavellico Segretario di Stato, cardinal Voiello (Orlando), a riportarlo alla realtà e alle esigenze della curia. Bisogna nominare il segretario particolare (sarà suor Mary che l’ha cresciuto in orfanotrofio, una perfetta Diane Keaton), preparare la prima celebrazione ufficiale, organizzare il marketing con le effigie del Pontefice per vendere piatti, santini, libretti e tutto il resto… Ma Pio XIII non ha alcuna intenzione di farsi dettare l’agenda e gioca a smontare ogni protocollo.

Qui Sorrentino si diverte parecchio. I Sacri Palazzi diventano teatro di sorprese, territorio di commedia e comicità, con cardinali che alternano l’aerosol alla sigaretta, confessioni col telefonino in mano, suore che interrompono importanti colloqui del Papa per fargli fare merenda. In base a che cosa Pio XIII scardina le abitudini vaticane? Per un indole ribelle o per una precisa idea di cristianesimo come fece Francesco quando promise “una Chiesa povera per i poveri”? Sorrentino gioca a carte coperte per creare la suspense e l’attesa del pubblico. Intanto cosparge il suo affresco di altri rimandi, guizzi, giochi e funambolismi tipici del suo cinema. Dipinge il suo affresco su diverse tavolozze, dalla comicità al linguaggio onirico. In fondo, è solo cinema, qualcosa con cui si può giocare. Citando l’Antonioni di Deserto rosso (“Mi fanno male i capelli”, dice il confessore sciocco e carrierista) o il Moretti di Habemus Papam (lì i cardinali giocavano a pallavolo, qui le suore giocano a calcio). Ma soprattutto trasformando il Pio XIII di Jude Law in un personaggio a sua volta recitato dal cardinal Belardo e accentuando così la suspense relativa a che cosa possa inventarsi ogni momento questo Papa che fuma una sigaretta dietro l’altra, indossa infradito e fa colazione con Coca Cola dietetica alla ciliegia. Un Papa affascinato dal potere e molto consapevole della lezione mediatica dell'”iperbole al contrario” e della forza del nascondimento: il più grande artista contemporaneo è Banksy, il più grande scrittore Salinger, il più grande gruppo di musica elettronica i Daft Punk. Perciò, “io non sarò mai visibile, non ci saranno mai mie immagini”, afferma Pio XIII, in quanto “io non esisto, esiste solo Gesù Cristo”, sottolinea nell’unico passaggio teologico dei primi due episodi.

Lenny Belardo (Jude Law) è diventato papa Pio XIII

Lenny Belardo (Jude Law) è diventato papa Pio XIII

Forse, al di là delle questioni estetiche e narrative, in attesa di conferme o smentite dalla messa in onda integrale (dal 21 ottobre su Sky Atlantic e nel resto d’Europa da fine ottobre), l’unico punto fermo del lavoro di Sorrentino è la complessità dell’essere umano, la sua contraddittorietà, il suo inestricabile intreccio di bene e male, di virtù e malvagità. È questo il punto di partenza e, probabilmente, anche d’arrivo del racconto. Nessuno è immune dall’ambiguità, dal male, dalla debolezza, anche se si tratta del vicario di Cristo in terra. E nemmeno il più mellifluo e opaco dei cardinali è da condannare una volta per sempre. Ne vedremo certamente delle belle dentro questo Vaticano che, dopo Moretti, ha sedotto un altro dei nostri maggiori cineasti. Che si tratti di un Vaticano di fantasia, intriso di visionarietà, fatto quasi solo di sponde e carambole di potere, lo dimostra anche il fatto che in quasi due ore di dialoghi tra cardinali e alti prelati, se si eccettua quella menzionata, non c’è una sola citazione biblica o un pur vago riferimento alla tradizione della Chiesa e dei santi. Alla fine, anche se grande, è solo cinema.