«Con più coesione, arriviamo a fine mandato»
Il premier Giuseppe Conte ha appena terminato una riunione di quattro ore sulla spinosa vicenda dell’ex Ilva con i vertici di ArcelorMittal, il proprietario Lakshmi Mittal e il figlio Aditya Mittal, e una delegazione di ministri (il responsabile dell’Economia Roberto Gualtieri, quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, quella dell’Agricoltura Teresa Bellanova e il titolare della Salute Roberto Speranza) e tra un’ora presiederà il Consiglio dei ministri sulla stessa materia. In mezzo, per mantenere una promessa, concede un’intervista esclusiva alla Verità. Un’ora abbondante di botta e risposta, nel corso della quale si è permesso anche qualche digressione: «Ma lei pensava di trovare un premier stressato?».
Presidente, la prendo alla larga per decantare la tensione della giornata. Guardando questi 18 mesi, com’è accaduto che da avvocato sconosciuto ai più sia divenuto il politico più importante d’Italia?
«Mi lusinga. La politica ha ritenuto di coinvolgere un professionista e un accademico che oggi si ritrova in una posizione di responsabilità e che cerca di perseguire il bene comune, portando un angolo visuale diverso grazie alle competenze acquisite al di fuori della politica».
Ogni giorno una mina da disinnescare: quanto dura il suo governo?
«Confido il necessario per attuare il programma riformatore annunciato ai cittadini italiani».
In termini di tempo?
«Fino alla fine della legislatura».
Che margini ci sono per far rientrare questa crisi che mette a rischio 15.000 lavoratori e l’1,4% del Pil?
«La situazione si prospetta molto complessa e la sfida molto difficile, ma il governo farà tutto quanto possibile per preservare gli investimenti produttivi e i livelli di occupazione raggiunti».
Che cosa dirà al presidente Sergio Mattarella che attende una sua comunicazione in proposito?
«Gli riferirò come si è svolto l’incontro e la determinazione del governo a fare tutto quanto è nelle sue competenze per salvaguardare un asset strategico nazionale».
La vicenda dell’ex Ilva va ascritta a superficialità nella valutazione della reazione di ArcelorMittal o a difficoltà nella ricerca di una politica di sviluppo sostenibile?
«Dall’incontro di oggi ho tratto la convinzione che si tratti di una questione puramente industriale».
Già a giugno lei si pronunciò per la cancellazione dell’immunità penale per gli amministratori di ArcelorMittal che aveva consentito l’accordo.
«Non e consentito sul piano giuridico pensare di svolgere attività economico-industriali giovandosi di uno stato d’immunità penale. Detto questo, è corretto fare tutte le valutazioni del caso relative alla particolare situazione dell’ex Ilva. Ma non cadiamo nel provincialismo di pensare che uno Stato di diritto possa garantire l’immunità penale perché altrimenti non si può condurre un’efficace attività industriale. Sarebbe una promessa non accettabile».
Però era stata fatta.
«Il governo è pronto a fare la sua parte. Ma da quanto rivelato dalla proprietà, non è stata l’immunità penale la causa determinante la decisione di recedere dal contratto di ArcelorMittal».
Fa titolo parlare di green economy, ma poi nel concreto nascono molti grattacapi?
«Non è facile riorientare il sistema produttivo verso la green economy accelerando i tempi della transizione energetica e verso un’economia circolare. Non può esser fatto dall’oggi al domani; il sistema produttivo ha bisogno di tempo per essere riorientato in modo che non si perdano opportunità occupazionali. Detto questo, una politica responsabile deve, oggi, subito, attraverso misure incentivanti e disincentivanti, indirizzare il sistema industriale in una direzione ecosostenibile. Altrimenti la sensibilità ambientale rimane una pura dichiarazione di principio».
Non dev’essere semplice visto che in tutte le emergenze industriali e ambientali come la ex Ilva, la Tav, le concessioni autostradali, Pd e M5s sono su fronti opposti.
«Sull’ex Ilva non mi sembra ci sia grande diversità di posizioni. Oggi c’erano vari ministri alla riunione con la proprietà e non ho notato differenti sensibilità. Siamo tutti convintamente orientati a preservare l’occupazione, la stabilità industriale e a perseguire un corretto piano ambientale. Se lei si riferisce a una differente valutazione emersa in seno ai gruppi parlamentari sullo scudo penale, va considerato che stiamo parlando di una questione giuridicamente opinabile».
E su Autostrade e Tav cosa dice?
«Potranno esserci diverse valutazioni, ma non vedo all’orizzonte divisioni sul piano industriale. Anzi, questo governo nasce sulla base di un programma molto caratterizzato, che mira a perseguire una svolta verde e a realizzare un’Italia più digitalizzata ed efficace nelle sue infrastrutture».
Dall’Ilva all’Iva: l’omega e l’alfa del governo in una consonante?
«Sull’Iva abbiamo ottenuto un grande successo, tagliando le tasse».
Quella tassa.
«23 miliardi. Lo scriva: quella tassa avrebbe avuto un effetto regressivo sui consumi. Il nostro è l’intervento sulle tasse più cospicuo fatto in Italia negli ultimi anni».
Non c’è l’aumento dell’Iva, ma una miriade di microtasse che penalizzano famiglie e imprese, come la plastic tax, la tassa sulle auto aziendali, la tassa sulle cartine delle sigarette…
«Lo contesto. Non è vero che questa manovra contiene una miriade di tasse. Abbiamo tagliato per 26 miliardi: i 23 dell’Iva più i 3 del cuneo fiscale. A fronte di questi tagli c’è una modesta tassazione su alcuni specifici settori del credito. Trattasi per lo più di tasse di scopo, in linea con il programma di governo per un’Italia più verde e moderna. Stiamo lavorando per rivedere le posizioni sulle auto aziendali e sulla plastica. A questo fine, dopo aver completato un supplemento di riflessione, incontreremo tutti gli stakeholders di questi due settori per operare una valutazione finale. Non vogliamo penalizzare nessuno e vogliamo che queste limitate misure siano pienamente sostenibili».
Come sta andando il tentativo di eliminare le commissioni bancarie per l’uso delle carte di credito e dei bancomat?
«Stiamo coinvolgendo il circuito creditizio tradizionale, le banche, e quello alternativo, le Poste e altri intermediari finanziari, in questo progetto. Quando il nuovo piano partirà, nel secondo semestre del 2020, i cittadini e i commercianti avranno la sorpresa di poter utilizzare il contante senza nessuna penalizzazione e la moneta elettronica senza pagare commissioni o pagandone di molto modeste».
Su alcuni provvedimenti della legge di Bilancio Matteo Renzi ha promesso battaglia: teme che possa essere stravolta in Parlamento?
«Non ho questo timore perché abbiamo avuto tante riunioni alle quali tutte le forze del governo hanno preso parte attiva dando il loro contributo per definire l’attuale volto della manovra economica.
Salvo intese.
«L’intesa è stata raggiunta. In Consiglio dei ministri avremo ulteriori vertici per eliminare eventuali riserve».
L’irrequietezza di Renzi toglie disinvoltura al governo?
«Il governo non è e non sarà mai disinvolto. Nessuna iniziativa di leader o di singoli esponenti potrà compromettere il senso di responsabilità e la forte determinazione nell’azione di governo».
Quindi lei è sereno?
«Io sono determinato a operare per il bene del Paese e a farlo con tutte le energie fisiche e psichiche sino all’ultimo giorno in cui sarò a Palazzo Chigi».
Sperava che la nuova coalizione sarebbe stata meno litigiosa della precedente e che si dovesse fare minor ricorso alle sue doti di mediazione?
«Dobbiamo sicuramente affinare lo spirito di squadra e per questo chiederò uno sforzo aggiuntivo a tutti i componenti della coalizione governativa. Non è accettabile che i risultati che stiamo conseguendo possano essere offuscati da singoli smarcamenti o specifiche rivendicazioni».
A quali risultati si riferisce?
«Ai 23 miliardi di taglio dell’Iva. È un grande successo perché l’aumento sarebbe stato regressivo e avrebbe prodotto una reazione a catena sui consumi e sul senso di sfiducia della popolazione».
Il carcere per i grandi evasori è una resa dello Stato, incapace di controlli risolutivi?
«Il carcere è solo una delle misure per rendere più efficace il contrasto all’evasione. Confidiamo anche su altre misure che potranno contribuire a porre le basi per un’alleanza tra lo Stato e tutti i contribuenti. Dobbiamo pagare tutti per pagare meno. L’unico modo efficace e sostenibile per pagare tutti meno è far emergere l’economia sommersa. Qualsiasi altra ricetta è poco credibile. In questa situazione, abbassare le tasse in modo sostanzioso, come ci riproponiamo di fare, senza recuperare i miliardi dell’evasione, significherebbe far saltare i conti pubblici, portare a un procedimento di infrazione il Paese e al collasso economico l’intero sistema».
Quanto la indeboliscono i casi di conflitto d’interessi che periodicamente affiorano, ultimo quello del parere sull’affare Retelit rilasciato al finanziere Raffaele Mincione pochi giorni prima di diventare premier del governo che si comportò come suggerito dal suo parere?
«Se avete avuto la bontà di seguire i chiarimenti forniti l’altro ieri alla Camera potrete convenire che non c’è stato conflitto d’interessi. Tutte le decisioni e le valutazioni sul punto sono state affidate al vicepremier Matteo Salvini che ha presieduto il Consiglio dei ministri in mia vece. Lo chieda a Salvini quale indirizzo aveva il Cdm».
Mi riferivo al fatto che aveva detto che quando ha redatto il parere pro veritate non immaginava di diventare premier. La sera prima di firmarlo ha incontrato Salvini e Di Maio in un hotel di Milano, non credo per parlare di calcio.
«E secondo lei una consulenza si redige in una notte? Io facevo l’avvocato, mi è stato chiesto un parere, non ho neanche incontrato la persona che me l’ha chiesto. Era un parere di natura esclusivamente formale. Infine, al Consiglio dei ministri non ero presente. Mi spiace che continuiate ad attaccarmi senza documentarvi a sufficienza. Io sono per la libertà di espressione, ho detto che fin quando sarò presidente del Consiglio non querelerò nessuno per diffamazione, perché sarebbe antipatico oltre che asimmetrico. Però potrò farlo come Giuseppe Conte, da semplice cittadino».
Mi spiace, sa di minaccia.
«È solo un invito a lavorare con senso di responsabilità».
Avete ammortizzato la scossa del voto in Umbria, quella dell’Emilia Romagna potrà essere più forte?
«Aspettiamo prima di valutare i risultati».
Parteciperà alla campagna elettorale o basta foto di gruppo?
«Non ho partecipato nemmeno in Umbria. Non sono nelle condizioni di fare campagne elettorali, dato l’assorbente impegno governativo. Se avessi il tempo, mi piacerebbe farle casa per casa, parlando con le persone e guardandole negli occhi».
Quanto potrà pesare lo scandalo di Bibbiano nel voto in Emilia?
«C’è un’inchiesta giudiziaria in corso. Stanno facendo tutte le verifiche del caso e valuteremo gli esiti che ne conseguiranno».
Dopo l’Emilia e la Calabria ci saranno la Puglia, il Veneto… Quella del suo governo rischia di essere una lenta agonia?
«Lei sta parlando di competizioni elettorali territoriali non di un voto dato al governo. In ogni caso valuteremo complessivamente i risultati, sono competizioni che potranno consentirci sicuramente di misurare lo stato di salute dei singoli partiti che compongono la maggioranza».
Perché in entrambi i suoi governi ha voluto mantenere la delega sui servizi segreti?
«Né prima né adesso è stata mai posta in discussione la delega sui servizi segreti. Evidentemente le forze politiche che hanno sostenuto il precedente esecutivo e che ora stanno sostenendo l’attuale mi hanno riconosciuto una funzione di garanzia nell’esplicare il delicato compito di sovrintendere al comparto di intelligence».
Come si spiega il misterioso apprezzamento del presidente americano per un politico che stava dando vita al governo più a sinistra dell’Occidente?
«Il più a sinistra? E il Portogallo? E la Spagna?».
Tra i più a sinistra: Pd, Leu, M5s.
«I 5 stelle non sono di sinistra. E poi c’è anche Italia viva». (ride)
Allora non c’era. Quali meriti aveva acquisito agli occhi di Trump?
«Sin dal G7 del Canada è scattata una simpatia personale con il presidente Trump e questa amicizia e questo rapporto personale si sono sempre mantenuti nel tempo, nel corso dei vari incontri internazionali».
Come spiega il fatto che dopo la sua audizione al Copasir nella quale ha detto di aver chiarito tutto il presidente Trump ha deciso di aprire un’inchiesta penale sul ruolo di Mifsud e dei servizi italiani nel tentativo di screditare la sua stessa elezione?
«Non mi risulta che l’inchiesta aperta riguardi i servizi italiani. In ogni caso non vedo nessun collegamento tra la vicenda interna della mia audizione al Copasir e quella tutta americana di aprire un’inchiesta giudiziaria relativa a disturbi recati all’elezione di Trump».
I suoi rapporti con Salvini sono irrecuperabili? I toni dei vostri scambi autorizzano a pensare che ci sia qualcosa di personale tra voi.
«Con Salvini io non ho nulla di personale. Le poche volte che ho parlato di lui l’ho fatto sollevando questioni politiche o istituzionali di una certa rilevanza. Vedo che lui invece si diletta ad attaccarmi sul piano personale anche più volte a giorno. Ma le polemiche personali non mi appassionano. Sono concentrato a rilanciare il “sistema-Italia”».
Il fatto di non essere espressione di un partito non le fa a volte avvertire un carico eccessivo sulle spalle?
«Sulle spalle avverto già forte la responsabilità di guidare un grande Paese, un membro del G7, come l’Italia. La questione non è tanto essere espressione o meno di un partito, ma progettare la modernizzazione del Paese lavorando con spirito costruttivo insieme alle varie forze politiche che sostengono la maggioranza».
Alcuni osservatori la danno più vicino al Pd che ai 5 stelle, cosa c’è di vero? E cosa c’è di vero nell’ipotesi che in un prossimo futuro potrebbe contendere a Di Maio la leadership del M5s?
«Sono vicino in eguale misura a tutti i partiti che hanno deciso di condividere questo progetto di governo per il Paese. È fisiologico che, rispetto alle singole riforme, possa essere accostato ora all’una ora all’altra forza politica. La verità è che per me non esistono misure di questo o quel partito, ma buone o cattive misure. Quanto al mio futuro, ormai costantemente i retroscenisti si divertono nell’attribuirmi vari percorsi politici. Ma l’unico futuro a cui penso è quello dei nostri giovani, delle famiglie, dei lavoratori, delle nostre imprese».
Disse che terminata l’esperienza del governo gialloblù sarebbe tornato alla sua professione. Che cosa le ha fatto cambiare idea?
«Gli stessi principi che hanno ispirato la mia prima esperienza di governo, la consapevolezza di voler operare sempre nell’interesse degli italiani, senza escludere nessuno. Ed è ancora così. Abbiamo una grande opportunità davanti a noi».
Si considera un politico affidabile? Non si è mai sentito in imbarazzo durante la copernicana transizione di mezza estate?
«La mia affidabilità va valutata sulla base dei principi costituzionali a cui ispiro la mia azione, non sulla base della fedeltà alla volontà di un singolo leader o di una singola forza politica, che mai ho dichiarato. Lo scorso agosto il Paese ha affrontato una delle più acute crisi politiche della sua storia. Ho accettato di presiedere il nuovo esecutivo per senso di responsabilità: andare alle elezioni avrebbe comportato una grave crisi economica, con possibile incremento generalizzato dell’Iva, esercizio finanziario provvisorio, rischio concreto di portare il Paese in procedura di infrazione. Data questa premessa, nel corso della formazione del governo, è emerso un disegno programmatico ben definito che può contribuire a modernizzare il Paese, riducendo la burocrazia, a migliorare le infrastrutture materiali e immateriali, indirizzandolo verso la transizione energetica e l’economi circolare».
Che cos’è il nuovo umanesimo a cui si ispira e dove ne vede le tracce nella marcia della sua coalizione?
«L’orizzonte ideale per un intero Paese. Un sistema di valori in cui agiscono principi condivisi e non negoziabili: il primato della persona, il lavoro inteso nella sua centrale dimensione sociale, ma anche l’uguaglianza, il rispetto e il senso delle Istituzioni, la preminenza della laicità. Non l’ho mai inteso come uno slogan politico ma come un patrimonio collettivo a cui l’intera comunità nazionale deve contribuire».
Diciotto mesi fa si presentò come «avvocato del popolo», oggi come riformulerebbe questa definizione?
«Al di là delle formule o delle etichette, posso dire che in tutti questi mesi alla guida del Paese per me nulla è cambiato. Lavorare per il bene comune, in maniera trasparente, facendo prevalere lo spirito di squadra a meri personalismi e calcoli individuali: è su queste basi che ancora oggi poggia la mia azione da massima autorità di governo».
Dovesse cadere questo governo secondo lei bisognerebbe indire nuove elezioni? Le chiedo un’opinione non di rubare il mestiere a Mattarella.
«L’orizzonte di questo esecutivo è la fine della legislatura. E fino ad allora lavoreremo incessantemente per migliorare la vita degli italiani. Non sarà facile nell’immediato. Ma ce la metteremo tutta».
La Verità, 7 novembre 2019