Benigni dà la password biblica per l’amore gay
Roberto Benigni biblista. Esegeta di sacri testi. Teologo. Tra i tanti cadeaux che il 70° Festival di Sanremo ci ha fatto c’è anche questa scoperta. Abbiamo un nuovo interprete della dottrina cristiana. Non lo sapevamo, ma è così. Dopo Eugenio Scalfari, aduso a sussurrare a papa Francesco, ora abbiamo anche il regista e attore premio Oscar a spiegare le scritture. I cattolici dovrebbero esultare. Rai 1, la rete che fa il pieno di ascolti e con il più importante evento tv nazionale si rivolge alla maggioranza del popolo italiano, dopo un rapper in body di strass che asserisce di citare Francesco d’Assisi, ci ha proposto un novello teologo. Un dottore, un padre della Chiesa. L’altra sera, tra una canzonetta e un tango argentino, è riuscito a dire che tutte le coppie che si amano, senza distinzione tra eterosessuali e omosessuali, sono ben viste e, anzi, favorite, dai testi biblici. Fortuna che il suo Cantico dei cantici a luci rosse ha lasciato freddino il pubblico dell’Ariston che lo ha ricambiato con applausi appena decorosi. Un velo di delusione ha attraversato il volto sudato dell’inatteso esegeta, esausto per i 40 minuti di monologo. Un sermone abborracciato, ambiguo, ammantato di accademia, sostenuta da ben sette consulenti, tra i quali il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura. Una lezione con evidenti forzature che emergono alla prima, elementare, verifica, tradendo l’impianto ideologico di un’operazione esaltata a sinistra, a partire da un tweet di Matteo Renzi (guarda caso della stessa «scuderia» di Benigni, quella di Lucio Presta), e avversata già in tempo reale da Maurizio Gasparri. No, quest’ultima lectio benignesca non entrerà nella storia. Nemmeno in quella sanremese, già lastricata dai precedenti passaggi del comico toscano (nel 2002 con Pippo Baudo declamò il XXXIII° canto del Paradiso dantesco, nel 2009 con Paolo Bonolis una lettera di Oscar Wilde all’amato, nel 2011 con Gianni Morandi Fratelli d’Italia).
Mentre recitava i versi estrapolati dalla sua personalissima versione dell’Antico testamento, nella testa perplessa degli spettatori in platea e dei telespettatori a casa passava il pensiero dei 300.000 euro di compenso per l’esibizione pagati dalla Rai, prima azienda culturale del Paese. Ieri, sui social network le opposte fazioni si sono scagliate una contro l’altra attaccando o difendendo il più divisivo tra i nostri attori. Qualcuno si è rammaricato, rimpiangendo il Benignaccio dell’Inno del corpo sciolto. Qualcun altro si è improvvisamente accorto che «non fa più ridere». Da anni il regista della Vita è bella si è convertito a una ricerca sui testi fondanti della storia italica e non solo: dalla Divina commedia alla Costituzione, dai Vangeli ai Dieci comandamenti. È un errore impiccare un artista al suo sulfureo passato; settant’anni si appropinquano e il trascorrere del tempo qualche conseguenza la porta. Le malelingue dicono: la fissazione per il sesso, per esempio. Ma non è questo il grave. Il peggio è se la personale ricerca di un talentuoso attore si trasforma in un’enorme opera di mistificazione, divulgata nel momento di massima esposizione dal più potente mezzo di comunicazione nazionale e in cambio di un lauto cachet pagato con denaro pubblico.
Per fare ritorno all’Ariston, introdotto dalla sua musichetta strapaesana, il biblista canterino voleva scovare un testo particolare, la canzone delle canzoni. Nulla di più opportuno del Cantico dei cantici, libro di sole 15 pagine, rarissimamente letto durante le celebrazioni liturgiche, eppure presentato come «il più santo, più bello, più importante della Bibbia… un libro dedicato alla femminilità e forse, pensate, scritto 2400 anni fa da una donna», ha ipotizzato il novello padre della Chiesa. Che voleva anche che la canzone non fosse mai stata eseguita, forse perché colpevolmente censurata dai potenti. Anche qui, però, l’iperbole ha finito per far dimenticare al nostro teologo che, nel 2006, proprio un suo spettacolo al teatro Verdi di Terni su questo «libro erotico santissimo» era stato trasmesso da Sat2000, la tv dei vescovi.
Stavolta, però, aveva deciso di fare le cose in grande, ripescando le versioni originali «che non troverete andando a leggere la Bibbia», ha messo le mani avanti. Orbene, questo libro, si è infervorato, «narra di un uomo e una donna che si amano, che rappresentano tutte le coppie in tutte le parti del mondo e in ogni epoca, e che ripetono il miracolo dell’amore. Tutte le coppie: la donna col suo uomo, la donna con la sua donna, l’uomo con il suo uomo. Tutte le coppie che si amano, rappresenta», si è placato per un momento Benigni. Ovviamente, di tutto questo nel Cantico dei cantici non c’è traccia. Ma dev’essere perché la Chiesa ha paura dell’amore e dell’erotismo più che delle guerre, ha assicurato il teologo di Sanremo. Che, mentre assicurava di restituire le scritture alla loro verità, in realtà le stava brutalmente piegando all’ideologia Lgbt e alla filosofia gender. Un Cantico dei cantici inesistente. Nel quale la donna esalta anche il sesso orale, «il frutto suo dolce nella mia bocca», e invoca il diletto di penetrarla con il suo «stendardo». Ipse dixit, Roberto Benigni. Anno domini 2020, 70° Festival della canzone italiana.
La Verità, 8 febbraio 2020