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«Ddl Zan scritto male: i desideri non sono diritti»

Dirigente del Pd, valdostano, formato nelle comunità di base, militante dei diritti delle persone omosessuali, presidente dell’Arcigay dal 2007 al 2010 e ora di Equality Italia, Aurelio Mancuso è l’estensore dell’appello per la modifica del disegno di legge Zan sull’omotransfobia firmato da oltre 450 personalità dell’area del Partito democratico e di Italia viva, dalla regista Cristina Comencini all’ex presidente dell’Istituto Gramsci Beppe Vacca, dalla filosofa Francesca Izzo all’ex sindacalista Giorgio Benvenuto.

Perché il vostro appello è rivolto al presidente della commissione Giustizia del Senato, Andrea Ostellari?

«Chiediamo di essere auditi almeno al Senato, visto che alla Camera non è avvenuto».

Risposte?

«So che la nostra richiesta verrà presa in esame».

C’è un comitato promotore?

«Il soggetto propulsore è una chat su whatsapp di persone di centrosinistra nata sul tema della maternità surrogata. Il lavoro su questo tema è sfociato nell’appello per la modifica del ddl Zan».

Perché la definite «una legge pasticciata»?

«Perché era nata per estendere le aggravanti previste dalla legge Reale-Mancino alle persone gay, lesbiche e trans».

Invece?

«Invece dall’iter della Camera si è via via trasformata in una legge che interviene sul sesso, sulle persone disabili e l’identità di genere. Si è appesantita a causa delle spinte nel Pd e nei 5 stelle».

Il punto che più disapprovate è il ricorso all’identità di genere?

«I punti di dissenso sono due: il modo di intendere il sesso e l’uso dell’espressione “identità di genere”. Sul primo punto è incredibile che le donne siano trattate come una minoranza. Qualche giorno fa in una videoconferenza sul Corriere.it Alessandro Zan ha detto che la legge può combattere anche la misandria».

L’ha evocata per stabilire una sorta di par condicio delle discriminazioni?

«Ma così ha equiparato la misoginia, che è un crimine, con la misandria, che ha rarissimi riscontri nella realtà».

Per i sostenitori del ddl il sesso va messo in relazione ai diritti, cioè a un’ideologia?

«È una componente della condizione umana sottoposta all’autodeterminazione da mettere in relazione alla sfera dei diritti. Noi firmatari dell’appello siamo convinti che questa visione, di derivazione anglosassone, non possa trasformarsi in una legge dello Stato».

Veniamo al secondo punto, l’identità di genere.

«Fino a qualche anno fa questa espressione riguardava i transessuali, persone che intraprendevano dolorosi percorsi di transizione, normati anche dalla legislazione italiana. Oggi sulla spinta dei movimenti Lgbt si sta affermando il concetto di genere percepito».

Semplificando, in base a come mi sento in un determinato momento decido se entrare in un bagno o in uno spogliatoio maschile o femminile?

«Ognuno è libero di sentirsi come gli pare, ma l’autopercezione non può diventare legge. Un conto è cambiare le norme sulla transizione che sono del 1982, un altro è dare dignità legislativa alla fluidità a seconda di come ci si alza al mattino. Le faccio un esempio…».

Prego.

«In Messico, siccome la percentuale minima di candidature femminili alle elezioni non era stata rispettata, una lista di soli uomini si è autoproclamata composta di tutte donne. Ripeto: ognuno può percepirsi come vuole, ma lo Stato ha le sue regole».

Diversamente dovrebbe fare una legge per ognuno dei numerosi generi ipotizzati dai movimenti Lgbt.

«Tutti siamo liberi di sentirci secondo i nostri desideri, ma i desideri non sono automaticamente diritti».

Un altro elemento controverso riguarda il linguaggio che potrebbe favorire atti discriminatori.

«In Europa e in America si è deciso di estendere le aggravanti che riguardavano le persone discriminate dalle dittature nazifasciste e comuniste alle persone gay, lesbiche e trans. Questo è l’alveo culturale».

Perché in Italia non basta integrare la legge esistente con le aggressioni a sfondo sessuale?

«Le varie maggioranze di destra e di sinistra che si sono susseguite non hanno mai voluto o avuto la forza di approvare le estensioni alla legge Mancino. Io resto dell’idea che la legge contro l’omotransfobia serva. Il problema è che questa è scritta male».

Scritta male o maliziosamente? Non crede che la tutela delle minoranze nasconda una minaccia alla libera espressione?

«Anche qui c’è da correggere un errore madornale. Tutto ciò che si dice contro gli omosessuali viene tacciato di omofobia. Invece, se dico che sono contro il matrimonio gay o che i gay non dovrebbero poter adottare dei bambini non uso espressioni omofobe, ma omonegative. Invece dire “i gay devono essere tutti bruciati” è istigazione all’odio».

Parlare di padre e madre è discriminatorio verso i bambini di persone omogenitoriali?

«Capisco alcune preoccupazioni però penso che il buon senso e i limiti garantisti del ddl eviteranno degenerazioni giuridiche. Dire che la famiglia è composta da padre e madre appartiene all’espressione del libero pensiero».

Non è troppo ottimista considerando che in tanti documenti al posto della desinenza che indica il sesso si inizia a usare l’asterisco?

«Io non lo uso e sono convinto che chi intenterà cause su questi temi le perderà. Insisto: se la legge l’avessi scritta io avrei puntato sulla prevenzione più che sulle sanzioni. Ricordiamoci che le vere vittime dell’omotransfobia sono le persone trans, uccise per strada perché obbligate a prostituirsi».

Lei parla di prevenzione, ma all’articolo 7 il ddl prevede l’istituzione della Giornata contro l’omotransfobia: lo scopo è l’indottrinamento gender dei bambini nelle scuole?

«La Giornata internazionale contro l’omofobia c’è già dal 2004. Quello che mi preoccupa degli articoli 7 e 8 è che nelle scuole si vada a propagandare la maternità surrogata e il self-identity. Siccome sappiamo che nel movimento Lgbt ci sono associazioni che propugnano la maternità surrogata, nell’appello chiediamo che questa propaganda sia vietata. Come, per esempio, ha fatto la regione Emilia Romagna governata dal centrosinistra, che in un comma ha precisato di non concedere contributi alle associazioni che promuovono la gestazione per altri».

Qualche giorno fa Marilena Grassadonia, esponente di Sinistra italiana e presidente delle Famiglie arcobaleno, ha detto che la legge Zan è solo il primo passo e che i successivi sono l’autocertificazione di genere e l’utero in affitto.

«Rispondo con una provocazione: se Arcigay e le altre associazioni Lgbt approvassero questo programma io riproporrei il matrimonio egualitario e la riforma della legge sulle adozioni. Purtroppo oggi, a causa della polarizzazione che spacca il fronte politico, è impossibile costruire percorsi riformisti. Anziché parlare dei diritti dei bambini, i veri soggetti deboli, si parla della gestazione per altri perché si privilegiano i desideri degli adulti».

Non si fa prima a rimettere al centro la famiglia?

«Con attenzione. La famiglia è anche una grande questione sociale. Io mi sono battuto per aiutare quelle numerose proponendo di aumentare gli assegni. Perché il centrodestra quando ha governato non ha approvato il quoziente famigliare? Oggi si fanno pochi bambini non per motivi ideologici, ma per motivi economici».

Con la Giornata contro l’omotransfobia arriveremo all’indottrinamento gender dei paesi anglosassoni?

«Sono stato in centinaia di scuole e ho constatato che pongono giustamente dei paletti. Nel nostro appello c’è scritto che bisogna promuovere l’educazione sessuale e alla salute all’interno di un lavoro curriculare sistematico. Non si deve fare propaganda. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti ci si sta accorgendo dei danni causati dall’uso dei bloccanti della pubertà e si comincia a fare marcia indietro».

Perché ha sottoscritto un appello all’Onu contro l’utero in affitto?

«Perché ritengo che comprare, vendere, o anche donare un bambino, come ipocritamente qualcuno dice, leda il diritto proprio del bambino. Se viene abbandonato lo aiutiamo. Ma decidere per contratto che vada a una coppia, etero o omo non m’importa, è una violazione del suo diritto a conoscere la madre che l’ha tenuto in grembo nove mesi. Il secondo aspetto criminale è che ci sono donne obbligate dai mariti e dalla condizione sociale, per esempio nell’Est europeo e nel Sud del mondo, usate come contenitore per fabbricare i figli dei ricchi».

La nostra società decide che si può sopprimere un embrione nel grembo materno e allo stesso tempo che lo si può impiantare a pagamento.

«Io difendo la legge 194, se mai andrebbe pienamente applicata. Ma il discorso ci porterebbe lontano. Sebbene creda che il desiderio di essere genitore vada rispettato, non è un diritto riconosciuto. Altrimenti le costituzioni lo prevederebbero. Se c’è questo desiderio diffuso di genitorialità, perché nel nostro Paese, dove ci sono bambini ancora negli istituti, non si mette mano alla legge sulle adozioni?».

Come spiega il fatto che Enrico Letta ha fatto del ddl Zan una delle battaglie prioritarie del Pd?

«Capisco che Letta sia arrivato quando il treno della legge era già partito, ma quando uno diventa segretario del più grande partito del centrosinistra avrebbe il dovere di ascoltare chi da più di un anno studia e lavora su questi temi».

Nel Pd non c’è confronto sull’argomento?

«Non c’è stato un vero dibattito, decidono gli eletti senza un’adeguata discussione. Per altro in un partito che è nato da culture diverse. È molto difficile riconoscersi su questi temi nel Pd».

Sono credbili coloro che dicono di approvare il ddl per poi migliorarlo? Questa legge comporta un salto di paradigma?

«Se la legge sarà approvata così vedremo come si comporterà il Pd negli step successivi. Quando, cioè, si comincerà a discutere di utero in affitto e di autocertificazione di genere. Vedremo se è già diventato un partito radicale di massa».

La discussione del primo maggio, giorno dei lavoratori, sul ddl Zan non è la prova che è già così?

«Diciamo che lo sta diventando. Ma anche questo è frutto di una tendenza sovranazionale. Da una parte c’è il sovranismo, dall’altra una serie di visioni minoritarie. In mezzo sono rimasti i riformisti e i liberali, schiacciati dalla polarizzazione dei rispettivi campi. Difendo Fedez che si è esposto, ma non può essere il santone del Pd. Lui fa il cantante e promuove le sue attività commerciali. Magari ce lo troveremo in politica. Se ci è arrivato Grillo…».

 

 

La Verità, 15 maggio 2021 (versione integrale)