Faenza ci accompagna nei tormenti di Alda Merini
È il racconto della solitudine drammatica e incolmata di Alda Merini, il film per la tv andato in onda giovedì su Rai 1 con la direzione di Roberto Faenza e l’interpretazione di Laura Morante, Rosa Diletta Rossi, Federico Cesari, Giorgio Marchesi e Mariano Rigillo (ore 21,30, share del 16,5%, 2,9 milioni di telespettatori). Folle d’amore è un racconto dolente e accidentato, che scorre sui testi della «poetessa dei Navigli», liberamente ispirato a Perché ti ho perduto nel quale la psicanalista Vincenza Alfano ha a sua volta riscritto pagine della biografia della tormentata artista. Dunque, un lavoro che si avvale di fonti plurime, compresa la testimonianza di Arnoldo Mosca Mondadori, visibile nel finale e ringraziato «per l’unicità della collaborazione», amico intimo negli ultimi anni della poetessa e curatore della sua opera mistica (Sei fuoco e amore, Sperling e Kupfer).
Proprio dall’incontro con lui in un caffè dei Navigli parte il viaggio a ritroso, dalla casa di famiglia e dall’insofferenza alle richieste materne, dettata dalla volontà dell’adolescente di seguire il proprio talento letterario. Che ben presto inizia a essere riconosciuto anche dove conta. Ingenua e senza difese, la giovane Alda stimata dai salotti della Milano colta, frequentati da David Maria Turoldo e Maria Corti, si abbandona all’amore per Giorgio Manganelli che, già sposato, non potrà pienamente corrisponderla. Altre relazioni con relative delusioni, come quella con Salvatore Quasimodo, segneranno la sua poetica. Anche da sposata con l’umile Ettore (Luca Cena) il bisogno d’amore la porta, paradossalmente, a trascurare gli obblighi di madre e moglie. E, al colmo del dissidio, il marito opta per l’internamento in manicomio. Dove, finalmente superata l’epoca dell’elettroshock, troverà comprensione in uno psichiatra che ne conosce e apprezza l’opera.
Sorretto da quella fede cui sul finire dell’esistenza sembra avvicinarsi anche la poetessa, Mosca Mondadori raccoglie le confidenze rese da lunghi flashback che ci portano su e giù per il Novecento e dentro l’anima tormentata dell’artista. Non potendo puntare sulla somiglianza fisica con la protagonista, il regista la racconta attraverso l’abbigliamento, il modo di parlare, i tic, il suo essere sempre un po’ strana e straniante, riuscendo a trasmettere al telespettatore il travaglio di un’esistenza sul crinale tra follia e genialità, comune ad altri giganti come Ezra Pound e Dino Campana, anche loro internati e afflitti da quella solitudine che Merini prova a lenire con la compagnia di una buona sigaretta.
La Verità, 16 marzo 2024