«Io poetessa marxista non sopporto i capetti del Pd»

Intervistare Patrizia Valduga, la più grande poetessa italiana vivente, è come dare la caccia a un animale selvatico. Ritroso e inquieto. Trevigiana di nascita, milanese d’adozione, bellunese per diporto, la intercetto alla Libreria delle donne di Padova, dove la presentano come un’artista che «ci porta l’aria di una Milano che non è quella di Salvini». Pubblico adorante. Di nero vestita, come sul frontespizio di Belluno – Andantino e grande fuga (Einaudi), declama versi e riflessioni con voce mielosa. Dopo gli applausi, mi avvicino e ottengo il numero di cellulare. Però risponda, butto lì. «Non sono mica una stronza… Le interviste le faccio solo scritte, soprattutto perché temo ciò che posso dire di getto».

Quello che segue è frutto di uno scambio di mail tra una trasferta a Venezia, invitata dall’università Ca’ Foscari a parlare di Ezra Pound, e un viaggio a Friburgo: «Non mi sono ancora ripresa, sono così stanca…». L’avranno coccolata come una regina… Ha visto che le ho mandato qualche altra domanda? «Ho visto, ma lei non ha nient’altro da fare?». Sì, ma ci ho preso gusto. «Uff…».

Diva della poesia, maggiore poetessa italiana, dark lady della letteratura: in quale definizione si ritrova?

Decrepita come sono, e innamorata dei grandi come sono, mi autodefinisco «un piccolo epigono». Esisterà anche epigona, ma non mi piace.

Perché ritiene che Belluno, come ha scritto nella dedica, sia il suo libro più bello?

Perché è quello che mi ha dato più gioia mentre lo scrivevo.

Io, che sono un profano, ho trovato meravigliosi i versi di Medicamenta e altri medicamenta (Einaudi): «Nel luglio altero, lui tenero audace…»; e ancora: «Vieni, entra e coglimi…». Il medicamento è l’amore, il sesso?

Sì, capisco… Ma a me quel libro non piace più: mi nascondevo troppo dietro le citazioni. No, «medicamentum» è medicina, farmaco, ma anche veleno e filtro d’amore.

Oggi l’amore tra i sessi è ancora un’esperienza viva e vitale o è in declino, mercificata, deturpata, resa artificiale, sempre più schiava di codici, galatei, regole?

Non lo domandi a me, che in vent’anni avrò avuto sì e no sei fidanzati, e non sono durati più di quaranta giorni…

Nella prefazione a Medicamenta Luigi Baldacci scrive che la «capacità di canto e di strazio è solo delle donne, o meglio della poesia femminile (che è una categoria aperta a tutti)». Concorda?

Non ho mai capito bene cosa volesse dire… Io credo, con Jules Michelet, nei «due sessi dello spirito»; e credo che una donna che scrive, dipinge, compone abbia una parte maschile più sviluppata delle altre donne, così come un uomo che scrive, dipinge eccetera, abbia una parte femminile più sviluppata degli altri uomini.

Il #Metoo ha giovato alla passione?

Non credo: ha nuociuto molto, e perlopiù ingiustamente, a molti uomini. Come si fa a denunciare uno perché quarant’anni prima ti ha messo una mano su una chiappa?

Ha mai subito molestie o comportamenti prevaricanti degli uomini?

Temo di sì, ma in un’età così precoce che, nonostante la psicanalisi, non ne ho nessun ricordo. Certo spiegherebbe la mia nevrosi d’ansia.

Le ho sentito dire che Giacomo Leopardi è sopravvalutato. Alla sua donna non è tra le più profonde e strazianti?

È un po’ una provocazione. L’Ottocento non è solo Leopardi: ci sono almeno, oltre ai due giganti (anche rispetto a Leopardi) Porta e Belli, due grandissimi: Giovanni Prati e Niccolò Tommaseo.

In Belluno si intrecciano tre Giovanni: Raboni, Don Giovanni e il Johannes di Carl Theodor Dreyer. Che rapporto c’è tra loro?

Una persona vera, un personaggio letterario e uno cinematografico… Non può essere che il mio amore per tutti e tre.

Cosa la lega a Belluno di cui canta i monti che l’attorniano?

Ho vissuto lì ventotto anni della mia vita. I miei erano di Padova, finiti lassù per sopravvivere.

Perché, a differenza di tutte e tutti, esprime giudizi politici nei suoi componimenti?

Non credo proprio di essere la sola… Forse sono solo più esplicita.

Pubblicata nel 2019, Belluno è attualissima anche nella sua invettiva contro «i capetti del Pd» che si credono intellettuali e scrittori mentre «conoscete solo i cantautori». Giudizio tremendo…

E infatti in pochi anni sono spariti quei «capetti»… Adesso ce n’è solo uno, che farebbe meglio a sparire all’istante.

Posto che detesta i cantautori, che musica ascolta?

Amo tutta la musica classica, dal canto gregoriano fino a Giacomo Manzoni. Naturalmente ho delle preferenze: Schubert e Wagner.

Scrive che di ciò che succede nel mondo ai capi del Pd pare «non importi un fico». A lei interessa quello che succede nel Pd?

Ho votato Pci, Pds, Pd. Solo quest’anno, troppo arrabbiata, ho votato Giuseppe Conte. E continuerò a votarlo, perché mi sembra una persona appassionata e onesta.

Tornando alle donne: perché secondo lei la sinistra si è fatta battere nell’affermazione di una donna al potere?

Per me conta l’intelligenza, l’onestà, la passione. Non m’importa se è uomo, donna, o una delle innumerevoli varianti comprese tra l’uno e l’altra.

Cosa pensa di papa Francesco?

Lo ammiro, gli voglio bene, lo adoro. Sa che per me la prosa più bella è quella dei gesuiti del Seicento? Ho letto tutto Giacomo Lubrano, quasi tutto Daniello Bartoli, oltre a Sant’Ignazio, beninteso. Sono stata spesso all’archivio dei gesuiti a Roma, per la mia rivista Poesia. Sottolineo «mia», perché l’ingrato Nicola Crocetti va dicendo da anni che è sua (sul sito di Crocetti editore si legge che nei primi tre anni la rivista è stata diretta da Patrizia Valduga e da Maurizio Cucchi ndr).

Si professa comunista. Cosa vuol dire, a quale idea di comunismo si rifà?

Io ho Karl Marx in una mano e Sigmund Freud nell’altra. Lo studio dell’economia per capire il mondo, lo studio della mente per capire l’uomo. Sono idealmente comunista… Un ideale bisogna pur averlo! Oggi ci sono paesi che dicono o si dicono comunisti, ma non lo sono. C’è una frase di Kazimier Brandys che porto incisa nella mente: «Il nazismo era il male evidente, il comunismo lo stravolgimento del bene».

Ha di recente tradotto i Canti I-VI Ezra Pound (Mondadori) e prima Carlo Porta, William Shakespeare e altri classici. Come ci si accosta a questi giganti?

Tradurre i grandi mi fa bene: sto con loro, la mia mente pensa con la loro mente, anzi, esco dalla mia mente, mi prendo una vacanza da me. Che sollievo!

Un’altra domanda da profano: la traduzione di un’opera classica non dovrebbe rimanere sostanzialmente invariata? O la loro lingua è aggiornabile con il nostro linguaggio?

Ci sono traduzioni che durano, ad esempio quella di Raboni della Recherche, altre che muoiono subito. E perché durano? Perché sono belle, in una lingua bella: ci vogliono secoli perché una lingua diventi incomprensibile.

Che cos’è lo snobismo?

Voler essere quello che non si è, mostrarsi come si vorrebbe essere, copiare chi si è preso come modello da raggiungere.  In una parola: non avere una personalità forte, non essere nessuno.

La nostalgia è un sentimento ispiratore o qualcosa di incolmabile?
Cosa vuole dire per lei «incolmabile»? La nostalgia è un sentimento con cui si convive: a volte fa bene, ci spinge a dare il meglio di noi; a volte fa male, ed è quando siamo senza energia, senza elettricità vitale.

Immagino sia «incolmabile» la nostalgia di Giovanni Raboni.
Ma se sto sempre con lui! Lo conosco meglio adesso di quando ci vivevo insieme…
Ripubblicato da De Piante, ho riletto di recente il suo libriccino: I grandi scrittori? Tutti di destra. Ne condivide la tesi o era solo una provocazione?
Raboni separava nettamente l’opera dall’autore. Sì, quasi tutti i grandi scrittori sono uomini di destra, ma le loro opere non sono per niente di destra.

Perciò non va considerata vera letteratura quella militante, dalla quale, tuttavia, siamo circondati?
Sta scherzando? Ci sono anche grandi scrittori di sinistra. Un nome per tutti: Paolo Volponi.
Crede in Dio?
Credo in Dio, Allah, Jahweh, Izanagi, Tao, Brahma, Buddah, le anime degli animisti, e il Grande Spirito degli Indiani d’America.

Tra tutte queste divinità, solo il Dio cristiano cancella la distanza dall’uomo, incarnandosi.
La teologia non è alla mia portata.

Come ha vissuto il tempo della pandemia? A quali «medicamenta» ha fatto ricorso durante le quarantene?

Ho lavorato tantissimo. La mia medicina è stata il lavoro: il libro di Raboni Baudelaire e Flaubert (Einaudi) e la traduzione di Pound.

Come lenisce il pensiero della morte?

Cerco di pensarci il meno possibile. È un pensiero troppo angoscioso. E quando mi si installa dentro, penso alle tre persone care che mi accoglieranno, che ritroverò…

 

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