Riusciranno mai i politici a riformare la Rai?

Eh sì, bisognerebbe riformare la Rai. Mettere fine allo scempio, allo spreco. Bisognerebbe modernizzare la tv di Stato, residuato della Prima Repubblica, pagata con i nostri soldi che finiscono nelle tasche delle star viziate che hanno bottega su Rai 1 e Rai 3, 4 e 5. Bisognerebbe farlo, una volta per tutte. Per sanare l’anomalia di un servizio pubblico che vive per un terzo di pubblicità. Per risolvere la contraddizione della «prima azienda culturale italiana» che compete sul mercato. Ovvero nella gara degli ascolti e, di conseguenza, nella contesa a suon di milioni degli artisti più popolari. Bisognerebbe riformarla questa Rai. Per sanare il vulnus di un’azienda il cui non più direttore generale ma amministratore delegato, alla maniera delle grandi imprese private, è nominato dal ministero dell’Economia, cioè dal governo. Il quale, amministratore delegato, nomina a sua volta i direttori delle reti e dei telegiornali, della fiction, del cinema, della radio, dello sport e della pubblicità-tà-tà-tà. Indi per cui si sospetta, ma è solo un sospetto, che anche l’informazione, i mezzibusti, i conduttori dei talk show, le ospitate nei salotti di approfondimento (o sprofondamento?), i tenutari di rubriche di viaggi e salute, i metereologi e i presentatori e direttori artistici dei Festival della canzone siano, come dire, determinati dalla politica.

Detto banalmente, da buon ligure Fabio Fazio se n’è accorto ora che il tetto di 240.000 euro l’anno ha rischiato di planare anche sulla sua dichiarazione dei redditi. Non fosse stato per il parere dell’Avvocatura di Stato… Anzi, la Rai bisognerebbe riformarla per passare la spugna pure sui pareri degli avvocati dello Stato, che poi devono tornare in Cda, per poi essere rilanciati in Parlamento, per poi… Già che ci siamo la spugna andrebbe passata sui contratti di convenzione di servizio pubblico, da rinnovare ogni tot anni, previo psicodramma nelle aule di Palazzo San Macuto. E ancora, per abolire il canone di abbonamento e la sua evasione, nonostante il pagamento nella bolletta elettrica.

Riformerò la Rai, aveva annunciato Matteo Renzi contestualmente alla salita a Palazzo Chigi. S’è visto com’è andata. Non è detto sia cattiveria, ma un fatto strutturale, di com’è fatto il nostro sistema istituzionale e di divisione dei poteri. La riprova: l’avevano promesso i governi di tutte le repubbliche, seconda, prima e prima della prima. Risultato identico. Il fatto è che la Rai è la riserva di caccia della politica, la prateria dove far pascolare portaborse, onorevoli, gregari di palazzo, ministri e sottosegretari mancanti, garantendo loro un po’ del potere che non riescono a esercitare in prima linea. Per tenerli buoni. Privatizzarla sarebbe come segare il ramo su cui la politica sta seduta. Ricordate Francesco Storace, Michele Bonatesta, e venendo più vicini al presente, Maurizio Gasparri e Renato Brunetta? Ministri delle Telecomunicazioni, riformatori, vigilanti di Stato. Privatizzare la Rai servirebbe pure a spianare la Commissione di Vigilanza. Basterebbe da solo, come motivo. Pensate che vita, senza le invettive quotidiane di Michele Anzaldi. Solo che a lui e a quelli come lui bisognerebbe trovare un altro lavoro.