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Il Tg1 spinge Fiorello su Rai 2. Ma è vera vittoria?

Mentre ci si chiede se sia prevalente la responsabilità aziendale di Fiorello e dell’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes che, dopo la vibrata protesta dei giornalisti del Tg1 capeggiati dall’iperpresenzialista Monica Maggioni, hanno deciso di traslocare il nuovo programma su Rai 2 o se, piuttosto, in questa scelta covi un sanissimo istinto di vendetta sul telegiornalone che ha opposto resistenza, una cosa è certa: i vertici Rai hanno dimostrato la solita mancanza di visione e, soprattutto, di polso. Come si fa a trasmettere un programma di punta affidato all’artista italiano più popolare in una rete secondaria? Come si fa a cedere alle rimostranze miopi e corporative dei sindacalisti del tg? Trovare una risposta minimamente soddisfacente è davvero difficile. Sta di fatto che, nello scontro tra la Maggioni e Fiorello, ha vinto la signora. Tuttavia, sarà il tempo a dire se di vera vittoria si tratta.

Dopo l’inusitato braccio di ferro innescato dal Cdr del Tg1 contro la rassegna stampa comica condotta dall’artista siciliano, ieri l’ad di Viale Mazzini ha annunciato al Consiglio d’amministrazione che il programma andrà in onda su Rai 2 nella fascia tra le 7 e le 8,30 e s’intitolerà, appunto, Viva Rai2. L’esordio avverrà il 7 novembre su RaiPlay, il 5 dicembre sbarcherà sulla seconda rete e proseguirà fino a giugno per un totale di 135 puntate. «Ringrazio la Rai, soprattutto l’amministratore delegato Carlo Fuortes e Stefano Coletta (direttore dell’Intrattenimento del prime time ndr), per avermi dato la possibilità di tornare in Rai e di farlo su Rai 2», ha affermato lo showman. «È una scelta che mi rende felice, io amo le prime volte, anche se in realtà si tratta di un ritorno. Approdo al mattino presto di Rai 2 con un progetto a cui tengo molto, e che come fu con Viva Radio 2 e Viva RaiPlay, ha quel sapore gioioso di un nuovo inizio».

Anche se chi gli sta vicino lo dava dispiaciuto e contrariato, Fiorello, uno che andrebbe tutelato come patrimonio del divertimento, non si è perso d’animo per l’ostracismo architettato dalla signora del tg, preoccupata che l’avvento del nuovo programma palesasse la differenza di audience con la sua creatura. Dovunque era stato accolto con stupore il comunicato vergato dai membri del Cdr Roberto Chinzari, Leonardo Metalli e Virginia Lozito (uno dei quali fino a poco prima corteggiava lo showman perché lo facesse collaborare) in cui si lamentava «lo sfregio al nostro impegno quotidiano». Il varo della rassegna stampa rompeva il giocattolo: «Noi come Cdr della redazione del Tg1 sottolineiamo la battaglia fatta per ottenere quegli spazi e lo sforzo enorme compiuto da tutti noi sul mattino, impegnandoci su un lavoro di ripensamento e valorizzazione di quella fascia», si leggeva nel comunicato. Peccato che lo «sforzo enorme» e il «lavoro di ripensamento» non stavano portando i risultati sperati, tanto che, proprio in quella fascia oraria, la concorrenza di Canale 5 si aggiudicava regolarmente la gara dell’audience. Chissà, dev’esser stato per questo che i vertici aziendali avevano pensato alla striscia quotidiana affidata alla verve del comico siciliano. Ma nella ridotta di Saxa Rubra i giornalisti del Tg1 reagivano come i cittadini di Piombino davanti al rigassificatore.

«Come si può pensare di interrompere il flusso informativo con un programma satirico, generando confusione nel pubblico a casa?». Già, visto comparire Fiorello al posto dei mezzibusti del Tg1-Mattina, i telespettatori si sarebbero subito lamentati per l’interruzione del «flusso informativo» e la «confusione» ingenerata. Dopo l’esecrazione universale prodotta dalle loro stesse parole, i sindacalisti avevano tentato un’imbarazzante retromarcia con una lettera all’artista autore dello «sfregio» nella quale, dopo un untuoso «Caro Fiore», assicuravano che il Tg1 «nutre grande stima per il tuo lavoro e si diverte come tutti, da sempre, con le tue invenzioni televisive». La colpa dello scontro, ovviamente, era di chi aveva riportato la notizia. «Il Tg1 non è in guerra con nessuno, come scrivono i giornali, tantomeno con un artista del quale continuamente racconta le mirabili imprese televisive». Insomma, tutto falso, tutto inventato. A sorpresa, dimostrando poca compattezza e molto autolesionismo, i vertici aziendali – non si afferra bene perché comprendano in questa vicenda anche il direttore dell’Intrattenimento prime time – avevano nel frattempo già deciso lo spostamento su Rai 2. E così, tutti contenti per la vittoria, i sindacalisti del tg ammiraglio avevano rinfoderato la protesta e cancellato l’assemblea di redazione. «Ringrazio i giornalisti del Tg1 per le parole di stima nei miei confronti, contenute nella lettera pubblicata ieri, e auguro loro di trovare le risposte e le soluzioni per lavorare al meglio», ha concluso Fiorello spruzzando un po’ di veleno nella coda.

Ora non resta che attendere la partenza della sua rassegna stampa. A quell’ora Rai 2 fa ascolti da monoscopio, mentre Rai 1 galleggia tra il 10 e il 13% di share, sempre inferiore a quella di Canale 5. Chissà se quando debutterà Viva Rai2, al Tg1 resterà ancora il buon umore.

 

La Verità, 21 ottobre 2022

E l’overdose di Telecorona finì per cancellare il Tg

Improvvisamente, tutti sudditi di Sua Maestà. Era dall’8 settembre, giorno della morte della regina Elisabetta II d’Inghilterra, che il Tg1 si preparava. Ma quello a cui abbiamo assistito ieri è stato un piccolo contrappasso: lo speciale Elisabetta II, l’addio, immancabilmente condotto da Monica Maggioni, ha fagocitato il Tg1, ridotto a tre minuti di titoli telegrafici con i quali la povera Laura Chimenti ha sintetizzato i fatti di giornata. È stata la prevedibile conclusione di un martellamento di dieci giorni di tg della sera e di mezzodì farciti di servizi di corrispondenti e inviati, con le altre notizie ridotte in pillole. Per non essere fraintesi va detto che ieri l’evento c’era tutto. Alle solenni esequie della regina del Commonwealth partecipavano oltre 200 presidenti (esclusi i rappresentanti della Federazione russa, non invitati) e 500 dignitari provenienti da tutto il mondo. La tradizione, la solennità, la scenografia trasudavano di un’austerità e di un rispetto dell’autorità di altri tempi. E difatti, oltre allo Speciale Tg1, anche il TgLa7 con Enrico Mentana (Dario Fabbri ed Enrica Roddolo del Corriere della Sera) e Canale 5 con Silvia Toffanin (Cesara Buonamici e Francesco Rutelli) hanno trasmesso in diretta il lungo addio. Quelli che stonano sono l’enfasi, la retorica e l’afflato condito da centinaia di aggettivi. Alle 14 Mentana ha ceduto la linea al telegiornale per dare le notizie di giornata, mentre sulla Rai 1 del presunto servizio pubblico si è andati avanti imperterriti con Telecorona. Bisognava seguire la cerimonia minuto per minuto senza perdere un battito di ciglia di Carlo III di Windsor e della consorte Camilla Shand, di Harry e William e delle loro mogli. O privarsi di un’inquadratura del percorso del feretro dopo la liturgia nell’Abbazia di Westminster, prima a piedi per le vie di Londra e poi in auto fino al Castello di Windsor, illustrato persino su Google maps. Così la cronaca in stile Downton Abbey si è dipanata per tutto il giorno. «In un’epoca in cui succedono milioni di cose in un istante», si è accorata Maggioni, «ci sono 4,5 miliardi di persone a guardare il rito lento e solenne di saluto alla regina». A sostenere l’imperversante direttrice c’erano i corrispondenti Marco Varvello e Natalia Augias, la scrittrice Simonetta Agnello Hornby, il docente di Letteratura inglese alla Sapienza Andrea Peghinelli. Tutti hanno sottolineato le ali di folla sul percorso del corteo funebre perché «il popolo era affezionato alla regina, la narrazione dei populisti che divide il popolo dall’élite è sbagliata». Siamo tutti sudditi di Sua Maestà.

 

La Verità, 20 settembre 2022

Maggioni trasforma il Tg1 in Telecorona d’Inghilterra

Una classe di liceali romani ospiti del Tg1. È successo lunedì sera per la prima volta nella storia di un tiggì nazionale. Gli studenti, una trentina quasi tutti in camicia bianca, erano schierati al centro dello studio fresco di restyling e implementazione tecnologica. L’ospitata era la degna conclusione del pomeriggio del primo giorno di scuola trascorso nella redazione del notiziario. Abbandonato il tavolone per spostarsi tra i ragazzi, la conduttrice dell’edizione serale Elisa Anzaldo – quella che di peccati la Meloni «ne ha tanti altri» – li intratteneva sul ritorno tra i banchi senza mascherine e distanziamenti dopo due anni di restrizioni e, perché no, sull’impressione avuta dalla visita alla macchina così complessa ma ben oliata del telegiornalone.

Le novità della metamorfosi del Tg1 by Monica Maggioni sono parecchie, ma si può partire da questo episodio per raccontarne l’evoluzione. Il primo tg nazionale non è più solo un notiziario che punta a informare i telespettatori su ciò che è accaduto nella giornata. Vuole fare di più, accompagnare il pubblico che dev’essere per forza smarrito e stressato, diventando un contenitore, uno strumento, un vademecum per orientarsi nella giungla quotidiana. Insomma, un tg pedagogico. C’è all’ordine del giorno il tetto al prezzo del gas per contenere i costi delle bollette ma la Germania non ne vuole sapere? Si coinvolge il capo della redazione economia per illustrare la faccenda. L’Ucraina contrattacca sul fronte orientale e inizia a riconquistare i territori presi dai russi? Si chiama l’esperto di strategie militari per tratteggiare gli scenari futuri del conflitto. Il pubblico deve essere aiutato a capire e, dunque, si va di spiegoni. Uno dopo l’altro. Il tg pedagogico deve istruire i cittadini e renderli edotti, come se fossero candide vergini prive di fonti alternative.

L’eccesso di paternalismo, anzi di maternalismo dell’iperpresenzialista Maggioni è stato chiaro fin dall’insediamento. Le elezioni per il Quirinale, lo scoppio della guerra in Ucraina, la crisi di governo in luglio: ogni occasione è buona per allestire edizioni straordinarie inevitabilmente condotte da lei medesima. Perché raccontare la quotidianità dal punto di vista dei cittadini che pagano il canone e vorrebbero ascoltare le notizie di giornata, possibilmente in modo attendibile? Molto meglio prendere un fatto dell’agenda politica o economica o diplomatica e gonfiarlo fino a farne il perno della narrazione. La chiamano eventizzazione del tg. L’esempio più eclatante lo abbiamo avuto nelle prime settimane dell’invasione dell’Ucraina: aboliti i titoli e cancellata la scaletta, il Tg1 era diventato monografico, le altre notizie rase al suolo come l’ospedale di Mariupol.

Venerdì 8 settembre era stato programmato il varo della nuova grafica, loghi e sigla, e del nuovo studio multiplayer. Unendo quello degli speciali a quello delle edizioni quotidiane la scenografia è raddoppiata ed è attrezzata da nuovi ledwall touch screen, due tavoli, uno per il conduttore, e un altro dove possono accomodarsi altri colleghi. Costo dell’operazione, sembra solo 200.000 euro. L’8 settembre però è stato anche il giorno della morte di Elisabetta II regina d’Inghilterra. L’inaugurazione del nuovo studio poteva avvenire in un giorno migliore? Abito nero e braccia a compasso sul tavolone scintillante, Monica Maggioni era la regina dello Speciale. Collegata da Londra c’era Natalia Augias che, sorprendentemente, dal marzo scorso affianca il corrispondente Marco Varvello, nell’occasione presente in studio. Sempre un filo sopra le righe, Maggioni sollecitava gli interventi, chiamava in causa gli esperti, tra i quali il giornalista William Ward, peraltro protagonista di una gaffe che ha raggelato tutti, quando, pensando di non essere sentito, si è rivolto a qualcuno chiedendo: «Ma chi è la presentatrice?». Alla fine, tanto sforzo è valso un’audience di 2,3 milioni di telespettatori per un normalissimo 13,7% di share (senza tutta questa enfasi lo Speciale Tg5 si è difeso conquistando 1,8 milioni di spettatori con oltre il 10,7% di share). Ma il fatto andava cavalcato lo stesso. Oltre a rispedire all’istante Varvello a Buckingham Palace per seguire l’insediamento di Carlo III, Maggioni ha inviato Perla Dipoppa, Giuseppe Rizzo e la prediletta Giorgia Cardinaletti a coprire l’evento. Ora, sebbene in questi giorni succeda anche qualcos’altro, i notiziari traboccano dei servizi dei due corrispondenti, più quelli dei tre inviati. Sui costi di tanto spiegamento di forze finora nessuno è riuscito a eccepire. Ma alla vigilia delle elezioni chi può mettere dei paletti a una direttrice che vanta un filo diretto con Palazzo Chigi ed è stata presidente della Rai? L’interrogativo tratteggia scenari vagamente distopici. Ma tant’è, da qui al 19 settembre, giorno dei funerali di Stato di Elisabetta II, i tg e il daytime di Rai 1 saranno monarchici che neanche la Bbc. Resta da vedere se almeno i riscontri Auditel saranno di conforto.

Nel frattempo il valzer degli anchorman delle edizioni principali prosegue. Rimossi Francesco Giorgino (passato alla struttura della Direzione informativa), Emma D’Aquino (ora conduce Ribelli su Rai 3) e Laura Chimenti che si sono rifiutati di condurre la Rassegna stampa delle 6,30 del mattino, all’edizione delle 20 sono rimasti in tre: Alessio Zucchini, la Anzaldo e l’emergente Cardinaletti. Alle 13,30 invece sono in cinque: Roberto Chinzari, Sonia Sarno, Maria Soave, Valentina Bisti e la retrocessa Chimenti. In totale, nelle due edizioni principali, sei donne e due uomini.

 

La Verità, 14 settembre 2022

Notizie alla rinfusa nel tg emozionale ma in trincea

I titoli sono scomparsi. Al loro posto c’è la copertina. Un fotoreporter che si aggira tra le macerie, una colonna di fumo che esce da un palazzo, i vigili del fuoco che intervengono… Non si capisce dove siamo, né chi sia l’autore del servizio, che però vediamo in faccia mentre si autoinquadra col telefonino. Benvenuti al Tg1, la testata più emozionale del bigoncio atlantista. Tocca al conduttore in studio rendere edotti i telespettatori del contesto delle immagini di apertura. Ma ora via alla sequenza delle notizie: una frase motivazionale del presidente Sergio Mattarella, l’uccisione dei cameraman di Fox News, Volodymir Zelensky che ammette che l’Ucraina non può entrare nella Nato, l’annuncio da Bruxelles del prossimo vertice dei capi di Stato occidentali, la repressione della giornalista che ha contestato l’informazione del telegiornale russo con relativo commento in studio del corrispondente da Mosca Sergio Paini (a proposito, news sul titolare dell’ufficio Marc Innaro, mentre tutte le altre testate hanno ripreso a trasmettere dalla capitale russa?).

È l’inizio di un’edizione delle 20,30 del telegiornale diretto da Monica Maggioni. Non c’è gerarchia delle notizie, non c’è ordine; come quello che per esempio darebbe la lettura dei titoli. Dopo dieci minuti di notizie alla rinfusa, tra servizi «dal fronte» di inviati-corrispondenti-fotoreporter-giornalisti arruolati per l’occasione, collegamenti dalle capitali europee o con qualche esperto al quale fare una sbrigativa e generica domanda, nonostante il conduttore si affanni a dare una logica alla «narrazione», il telespettatore disorientato ha pure bisogno di sedare il capogiro. Fortuna che si chiude soavemente, con una poesia o un brano musicale… È il tg con l’elmetto nella variante sentimentale del coro. Problemi non ce ne sono, la linea va seguita senza tentennamenti anche se rispetto alle idi di marzo del 2021, gli ascolti dell’edizione serale calano di 600.000 unità. La neodirettrice ha deciso di talkizzare il tg con l’atlantismo più agguerrito (rinforzando sorprendentemente l’ufficio londinese con Natalia Augias). Lo riprovano gli speciali Tg1 che occupano lo spazio di Unomattina. Nel talk, Maggioni anima lo show contornata da schermi, grafici e ospiti ai quali, con gestualità magniloquente e indaffarata dà alternativamente la parola. «Vediamo la linea ferroviaria che è stata bombardata e che rappresenta un po’ la via di comunicazione in Ucraina, non è vero Sergio?». Chissà, alla fine, forse la faccenda è tutta qui. Nella differenza tra la rappresentazione e l’essere.

 

La Verità, 17 marzo 2021

Gaffe e conformismo del palinsesto bellico unico

La copertina del Time con Vladimir Putin ritratto con baffetti alla Adolf Hitler sopra il titolo «The return of history» era perfetta per imbastire un dibattito con il corrispondente da Berlino, Rino Pellino. Figuratevi se Monica Maggioni se la faceva sfuggire. Peccato che si trattasse di un falso, l’ennesimo. Dopo rapide e concitate verifiche la direttrice del Tg1 ha dovuto chiedere scusa ai telespettatori dello Speciale di lunedì. Anch’esso, l’ennesimo. Per la Rai i primi giorni d’informazione sul conflitto russo-ucraino sono stati una débâcle. Esagerazioni, svarioni, gaffe clamorose. E ancora scuse. Come quelle di Lucia Annunziata e Antonio Di Bella, che han dovuto fare ammenda dopo il fuori onda che li ha beccati mentre descrivevano le ucraine residenti in Italia come «cameriere, badanti e amanti».
La fake war in onda su tutte le reti è frutto di diverse variabili. L’ideologia del pensiero unico democratico, innanzitutto. C’è una nuova bandiera sotto la quale schierarsi, una nuova emergenza planetaria, una nuova frontiera dove distillare parole d’ordine e dispiegare milizie. I tg sono monografici. Nei talk show il Covid è improvvisamente dimenticato e i virologi sono una categoria vintage, sostituiti dai consulenti diplomatici, gli analisti militari, gli esperti di geopolitica. Al posto dei bollettini sanitari imperversano le cartine dei Paesi baltici con i carri armati schierati. Invece dei servizi dalle terapie intensive vediamo aeroplani sfrecciare in formazione. C’è anche chi sdrammatizza, con effetti discutibili. Qualche sera fa ospite di Rete 4, si è visto l’ex generale e attuale presidente della Fondazione Icsa, Leonardo Tricarico, collegato dal salotto di casa con cagnolino in braccio. Ma generalmente, l’informazione televisiva è scesa in guerra, e l’Ucraina è il nuovo territorio di conquista di inviati e reporter. Ce ne sono sette del Tg1, quattro del Tg2 e uno del Tg3, e altri stanno arrivando in pullman da Roma al seguito di qualche cittadino ucraino che torna in patria. Nessuno però, nonostante il finanziamento del canone, è a Kiev e i collegamenti dalla capitale li fa Valerio Nicolosi, un giornalista di Micromega.

Insomma, ci si arrangia e il racconto è spesso approssimativo. Se la fonte principale è il web c’è poco da star tranquilli. In pochi giorni abbiamo visto videogiochi spacciati per combattimenti a Kiev, parate militari di due anni fa scambiate per minacciosi sorvoli russi nel cielo dell’Ucraina, esplosioni in Cina del 2015 presentate come bombardamenti notturni dell’aviazione di Putin. Come in una guerra di trincea, sminare le bufale è rischioso. Ne sa qualcosa la task force anti fake news della Rai, non a caso rimasta inoperosa per evitare un clamoroso autodafé. La seconda cattiva consigliera è la fretta che, come abbiamo visto, fa trascurare le verifiche. Altre cattive compagnie sono l’eccesso di enfasi e il protagonismo ipertrofico. Un giubbetto antiproiettile non si nega a nessuno. Ma alla drammatizzazione dei reporter non corrisponde ciò che mostrano le immagini. In assetto bellico per il Tg1 Emma Farnè racconta le code al bancomat a Severodonetsk, mentre Stefania Battistini, con un «Press» cubitale sull’elmetto, si sbraccia a pochi metri dai cittadini di Slovjansk che conversano tranquillamente. Al Tg2 si vedono militari con teleoperatori al seguito aggirarsi in mezzo alla folla che li ignora e continua a farsi i fatti propri. Il primato di enfasi è del telegiornale guidato da Maggioni, affetta da maratonite acuta. Già durante le elezioni per il Quirinale, la neo direttrice aveva manifestato sintomi di astinenza da video. Con l’esplosione della crisi ucraina e la deplorevole azione militare dell’autocrate russo, nulla l’ha frenata. Il palinsesto è liquido e Maggioni non perde occasione per protendersi a spiegare maternamente al telespettatore quello che, secondo lei, sta accadendo. Salvo perdersi il discorso di Joe Biden, il leader dello schieramento occidentale, che invece sarebbe stato utile ascoltare, se non altro  per confutarne le tesi.

Esercizio che, però, non sarebbe stato gradito. Mentre lo è il rimanere «allineati e coperti», come s’intimava durante il servizio di leva, appunto. L’altro giorno a Stasera Italia si son visti ospiti in contemporanea Giovanna Melandri, Marco Tronchetti Provera, Ferruccio De Bortoli e Giampiero Mughini. Se si alza il dito per eccepire si è annoverati come filoputiniani, antioccidentali. Anche i distinguo sono banditi. Un tempo erano i gauchiste i campioni del dubbio, del però e del nella misura in cui. Sulla guerra russo-ucraina di misura ce n’è solo una. Lo schema è lo stesso visto durante la pandemia. Porre domande significava essere no-vax. Ora condannare l’invasione dicendo al contempo che l’Occidente ha qualche responsabilità sulla situazione creatasi nello scacchiere est-europeo equivale a intendersela con il nemico. Ne sa qualcosa Marc Innaro, corrispondente Rai da Mosca da 15 anni, reo di aver citato l’allargamento della Nato verso i Paesi baltici come uno dei motivi della strategia di Putin. Una tesi che al Pd non sta bene. Della posizione di Innaro si discuterà in Commissione di vigilanza.

 

La Verità, 2 marzo 2022

Milena chiede la striscia dopo il Tg1. Orfeo che fa?

Il tempo stringe e il caso Gabanelli diventa ogni giorno più complicato. Secondo fonti ben informate la giornalista ed ex conduttrice di Report ha chiesto di tornare in video. Non un «video qualsiasi», bensì una striscia quotidiana dopo il Tg1. Alla maniera del Fatto di Enzo Biagi, per intenderci. Oppure di Pigi Battista e poi di Giuliano Ferrara con Radio Londra. L’idea sarebbe quella di portare su Rai 1 la politica, l’economia e l’attualità con lo stile asciutto e documentato degli articoli che scrive per il Corriere della Sera. Si attende la risposta del direttore generale Mario Orfeo e della presidente Monica Maggioni.

Manca una settimana alla fine del periodo di aspettativa senza stipendio, deciso da Milena Gabanelli contestualmente al rifiuto della condirezione di Rainews24 con delega all’informazione online. Ma del famigerato Piano per l’informazione, all’interno del quale la giornalista dovrebbe trovare la sua collocazione, non si hanno notizie. Con l’avvicinarsi delle elezioni tutto fa pensare che telegiornali e programmi di approfondimento siano intoccabili. L’imminente campagna elettorale, con inevitabile par condicio, sconsiglia innovazioni. Sotto i diktat renziani, non s’è fatto nulla prima perché c’era il referendum costituzionale, figurarsi ora.

In fondo, non c’è da meravigliarsi: il Piano per le news ha provocato una morìa in Viale Mazzini. Sia Carlo Verdelli che lo stesso Campo Dall’Orto sono caduti su questo. Pietra d’inciampo proprio la nomina a direttore di Gabanelli con l’assegnazione una testata autonoma per rifondare l’informazione online sulla quale il servizio pubblico è in pesante ritardo. A fine agosto Carlo Freccero aveva tentato una mediazione proponendo la condirezione di Rainews24. Ma, dopo che il Cda e il dg l’avevano fatta propria, Gabanelli aveva declinato: «Non metto la faccia su un progetto che non firmo. Mi autosospendo». Ora ecco la richiesta di «venire dopo il tg». Del resto, sia Mediaset con Dalla vostra parte su Rete 4, sia La7 con Otto e mezzo, hanno la striscia di approfondimento dopo i telegiornali. La Rai no. Ma, considerato lo zelo di certi vigilanti renziani, c’è da scommettere che continuerà a esserne priva. Con il rischio di vedere un’altra grande giornalista accasarsi altrove.

La Verità, 24 ottobre 2017

I 4 motivi del declino di Campo Dall’Orto

L‘ennesimo tentativo di mettere «i partiti fuori dalla Rai» è finito nel solito modo. Stavolta la resa è ancora più clamorosa perché, per riformarla, proprio la politica nella persona dell’ex premier Matteo Renzi, aveva, con un’apposita legge, trasformato il direttore generale in amministratore delegato. Salvo poi pentirsene, appena constatato che l’uomo incaricato voleva davvero lasciare i partiti fuori dalla porta. È la prima volta che un leader politico silura il manager prescelto. Tanto più in un momento in cui i numeri dell’azienda, ascolti e introiti pubblicitari, risultano positivi. Teoricamente tutto potrebbe raddrizzarsi dopo l’incontro di Antonio Campo Dall’Orto e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Ma la sensazione è che i margini di manovra del Superdirettore resterebbero minimi. Difficile che lo spirito zen basti a resistere.

Ecco una breve lista dei motivi che, dopo la resa di Carlo Verdelli, hanno determinato anche il tramonto di CDO. Con relativa percentuale.

Michele Anzaldi, portavoce di Matteo Renzi

Michele Anzaldi, portavoce di Matteo Renzi

  • Arroganza della politica. Cioè, nella fattispecie, dei renziani. Lo si è già detto e scritto a ripetizione: la maggiore indipendenza della Rai equivale al suicidio dei politici. Gli uomini del Palazzo sono abituati a spadroneggiare, decidere nomine, fare e disfare direttori e conduttori. Nel caso specifico, Michele Anzaldi e i suoi soci in Vigilanza e nel Cda non hanno tollerato soprattutto la gestione di Rai 3. Lo spazio conquistato da Bianca Berlinguer dopo il flop di Gianluca Semprini a Politics; l’autonomia di Report, libero di fare giornalismo d’inchiesta senza riverenze; il progetto di affidare a Milena Gabanelli la direzione della nuova testata d’informazione sul web. Indipendenza? Autonomia? Non scherziamo. È un caso che il capolinea arrivi quando si deve votare sulle news e alla vigilia di elezioni molto incerte? La verità è che Campo Dall’Orto non era abbastanza asservito. Oltre l’ultima spiaggia. 50%
  • Ambizioni del presidente. Dopo aver determinato l’isolamento di Carlo Verdelli, costretto alle dimissioni in seguito alla bocciatura del suo piano dell’informazione (che non ha potuto illustrare in Cda), Monica Maggioni ha votato contro anche la versione prodotta da Campo Dall’Orto. Bocciata anche la scelta di Milena Gabanelli alla direzione della testata web. La presidente-giornalista voleva farlo lei il piano per le news? Dark lady. 20%
Monica Maggioni, presidente della Rai

Monica Maggioni, presidente della Rai

  • Gestione confusa e ostacolata. Probabilmente, al di là dei suoi interessi di portafoglio, ha ragione Fabio Fazio a lamentare che mai come in questo periodo l’attacco della politica è stato pesante. Prima la bomba dei compensi per dirigenti e artisti (nemmeno alla Bbc le star hanno il tetto), poi quella delle troppe assunzioni esterne, infine quella della pubblicità contingentata per fasce orarie. Non era facile sciogliere tutti questi nodi. Groviglio inestricabile. 15%
  • Ingenuità di Campo Dall’Orto. In questa situazione serviva fare squadra, tessere alleanze interne, soprattutto nel Cda. Non averlo fatto per un difetto di sagacia è stato il principale errore del dg. Troppo educato, troppo per bene, per resistere e governare la nave nella tempesta, in mezzo a troppi giochi di potere. Campo Dall’Orto parlava di media company, i pasdaran renziani controllavano i troppi ospiti non allineati dei talk show. Tecnico, non politico. 15%

Campo Dall’Orto e Maggioni vincono il Million Dollar Rai

Gol in contropiede e pronostico ribaltato. Sembrava che i dirigenti della Rai fossero attanagliati dall’incombere del Piano per la Trasparenza voluto dalla nuova legge di riforma della tv pubblica (e sollecitata da alcuni politici) Continua a leggere