«La strada per il Colle passa dal centrodestra»
Patti chiari e intervista lunga, Bruno Vespa è un maestro di ospitalità che sa mettere a proprio agio l’interlocutore invitato nell’accogliente casa di Cortina d’Ampezzo dove, come tutti gli anni ad agosto, l’ex direttore del Tg1 e conduttore di Porta a porta, la Terza camera del Paese, trascorre un paio di settimane di vacanza. I patti sono che non si parla di televisione e di Rai, ma di politica e del suo Quirinale – Dodici presidenti tra pubblico e privato (Rai Libri), ora che è iniziato il semestre bianco che porterà alla scelta del successore di Sergio Mattarella (sé medesimo?) nel prossimo mese di febbraio.
A tutte le elezioni del presidente della Repubblica il candidato più accreditato viene giubilato. È successo a Giovanni Spadolini, Giuliano Amato, Franco Marini, Massimo D’Alema, Romano Prodi…
«Tranne che a Francesco Cossiga, sul quale funzionò il patto di ferro stabilito in precedenza tra Democrazia cristiana e Partito comunista».
Stavolta a chi toccherà?
«A nessuno perché ancora non c’è un candidato esplicito. Ci sono tanti aspiranti coperti, ma nessuno si scopre per non esser costretto a dire di esser stato giubilato».
Parlando di candidati coperti, anche lei, come si legge nel libro, ha rischiato di correre a sua insaputa.
«Quello è un fatto divertente. Silvio Berlusconi disse a Matteo Renzi che siccome, a suo avviso, conosco bene l’Italia… “perché non eleggiamo lui?”. Era solo una battuta, che fu Renzi a riferirmi».
Anche il patto del Nazareno fu tradito quando Renzi estrasse dal cilindro Sergio Mattarella. Come giudica il suo settennato?
«Mattarella è uno dei presidenti più amati, forse il più silenzioso di tutti. Ha incaricato tre maggioranze diverse in tre anni, muovendosi bene in momenti delicati. Soprattutto in occasione della formazione del primo governo Conte e in quella della mancata nascita del Conte ter».
Anche la crisi dell’agosto 2019 non è stata uno scherzo.
«No. Ma la maggioranza imperniata su M5s e Pd è stata una scelta più facile, tant’è vero che se n’era già parlato dopo il voto del marzo 2018».
Quando non diede l’incarico a Matteo Salvini nonostante il centrodestra avesse la maggioranza relativa?
«Non era sufficiente. È vero che il mandato a Roberto Fico fu molto più lungo di quello concesso a Elisabetta Alberti Casellati. Ma Salvini avrebbe dovuto cercarsi 50 parlamentari e sarebbe stato un governo fragilissimo. Poi fu Renzi a mandare all’aria l’ipotesi Pd-M5s in televisione. Mentre fece nascere il secondo governo Conte e ha impedito la nascita del terzo».
È il king maker dei governi pur con un partito infinitesimale.
«I sondaggi lo penalizzano, ma ha 47 parlamentari e conta di farli pesare anche nell’elezione del prossimo capo dello Stato».
Un po’ come faceva Bettino Craxi?
«Craxi aveva il 13%, Renzi era più forte nel Pd».
Con poco determina molto?
«Come Ghino di Tacco: bisogna passare per Radicofani».
Mattarella si è opposto anche alla scelta di Paolo Savona ministro dell’Economia.
«Quasi tutti i presidenti hanno imposto dei ministri, ma l’hanno fatto con il consenso del premier incaricato. Il veto su Savona è l’unico caso in cui un governo non è nato perché il capo dello Stato ha respinto un ministro».
Com’è cambiata la figura del presidente nella Seconda repubblica?
«È cambiata con l’avvento di Berlusconi. Mai Oscar Luigi Scalfaro si sarebbe comportato come fece se non fosse stato Berlusconi capo del governo. Scrivergli una lettera di galateo istituzionale alla quale Giuliano Ferrara, ministro per i rapporti con il Parlamento, rispose giustamente per le rime, fu un comportamento inedito nei rapporti tra Quirinale e Palazzo Chigi».
Con l’avvento di Berlusconi i presidenti sono diventati più interventisti?
«Sì, certo. Lo hanno tenuto sotto tutela. Che lui sia propenso alle scappatelle è evidente, ma loro lo hanno ripetutamente messo in collegio».
Nel caso della nomina di Mario Monti seguita all’invito a dimettersi a Berlusconi di Giorgio Napolitano si è parlato di «dolce colpo di Stato».
«L’ha scritto il sociologo vicino alla sinistra tedesca, Jurgen Habermas. Sicuramente fu un comportamento anomalo, tutto documentato. E emerso a posteriori fa una certa impressione. Tuttavia, dopo la guerra che gli fece Fini, Berlusconi aveva una maggioranza risicatissima, puntellata dai cosiddetti responsabili».
La lievitazione dei poteri del capo dello Stato è conseguenza dell’indebolimento della classe dirigente attuale?
«Non c’è dubbio. È una supplenza di debolezze crescenti. E meno male che Mattarella si è comportato con equilibrio in situazioni che stavano scappando di mano. Direi che Draghi è stato il suo capolavoro».
Dipende anche dal fatto che i presidenti si sono assunti il compito di ridimensionare il centrodestra, dopo Berlusconi anche Salvini?
«Per Scalfaro, Berlusconi era un marziano. E non c’è dubbio che Salvini al governo sia vissuto come un’anomalia legittima».
Anomalia legittima… vengono in mente le convergenze parallele.
«È legittimo che Salvini sia al governo, ne ha tutto il diritto. Anche Mattarella ha chiesto la partecipazione di tutti. Ma non c’è dubbio che sia vissuto come un’anomalia, basta vedere i frequenti scontri con il Pd. Il fatto che due partiti come Lega e Pd approvino insieme riforme importanti è un miracolo congiunto di Mattarella e di Draghi».
L’anomalia è dovuta al fatto che Salvini è cresciuto nella Lega, partito dell’antipolitica come lo era Forza Italia?
«La Ztl della società italiana non si rassegna all’idea che ci sia la destra al governo. È un percorso lungo, vedremo come andranno le prossime elezioni. Il Pd è il legittimo punto di riferimento della classe dirigente e delle élites culturale, burocratica e, in parte, anche imprenditoriale italiana. Anche quando ha il consenso della maggioranza degli italiani, il centrodestra ha la vita più difficile…».
In questi anni Mattarella avrebbe potuto pronunciarsi a proposito delle varie crisi che hanno attraversato la magistratura?
«È una domanda alla quale preferisco non rispondere, per un riguardo al capo dello Stato. Posso solo dire che la magistratura sta vivendo la crisi più grave della storia repubblicana , ancora non si è capito come possa superarla e il Presidente della Repubblica lo è anche del Consiglio superiore della magistratura».
Scalfaro è quello che esce peggio nella galleria dei suoi ritratti?
«Sì, lo metterei in coda alla lista».
Mattarella rimarrà contrario all’idea di prolungare il mandato fino al 2023?
«Credo che il libro dimostri l’assoluta fragilità delle previsioni sul Quirinale. Nel merito ci sono due scuole di pensiero. Una per la quale Mattarella resterà fino a fine legislatura. L’altra, come lui ripete, che non accetterà prolungamenti. Secondo me la prima ipotesi è irrispettosa e con qualche elemento di debolezza. Si rieleggerebbe Mattarella, ma non per sette anni. Credo non si possa fare un contratto con il capo dello Stato in cui si dice: va bene, grazie, adesso ci porti a elezioni e poi te ne vai. Se si elegge Mattarella, lo si elegge per l’intero settennato».
Con Napolitano andò più o meno così.
«Ma decise lui di andarsene dopo due anni. Non si può fotocopiare Napolitano in una situazione diversa».
Oggi la situazione è ancora più complessa per l’emergenza sanitaria e il ruolo internazionale di Draghi.
«Non c’è dubbio che togliere Draghi da Palazzo Chigi sarebbe un peccato, ma il Paese potrebbe essere accompagnato a elezioni dal suo ministro dell’Economia, Daniele Franco. È sicuro anche che dal Quirinale Draghi potrebbe rivestire un ruolo superiore in campo internazionale. Ma parlarne ora è fantascienza. Tutto si deciderà tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio».
Una volta Napolitano le disse che erano maturi i tempi in cui il Quirinale avrebbe potuto essere occupato da un uomo proveniente dalla destra. Previsione realistica, profezia precoce o fantapolitica?
«Servono particolari condizioni politiche e sociali perché un uomo di destra vada al Quirinale. Oggi per la prima volta il centrodestra è decisivo per eleggere il capo dello Stato. Naturalmente conviene che sia una scelta condivisa».
Il Corriere della Sera è già sceso in campagna per il Quirinale?
«L’elezione del presidente della Repubblica è il gioco politico più appassionante dei prossimi sei mesi. È normale che i giornali ci costruiscano un giallo a puntate».
Sperando di piazzare il loro investigatore?
«E chi sarebbe?».
Walter Veltroni è un’importante editorialista del Corriere.
«Walter ha grandi capacità negoziali. Sta a lui convincere il centrodestra a votarlo».
Il giudizio generale sul governo Draghi è positivo: poteva segnare maggiore discontinuità nella lotta al Covid?
«La discontinuità è rappresentata dalla scelta del generale Figliuolo. Siamo passati dalle primule alla rinascita della Protezione civile che era stata lasciata morire».
Vera discontinuità sarebbe stata cambiare Roberto Speranza?
«Difficile cambiare il ministro della Sanità in piena emergenza».
Quanto crede al partito unico del centrodestra?
«In astratto, tra Lega e Forza Italia è possibile, anche se non si fa dalla sera alla mattina. Con la Meloni serve ancora più tempo».
Sul piano dei numeri sarebbe conveniente?
«La storia dice di no. Tutti i partiti che si fondono riducono i loro consensi. Ma le circostanze attuali potrebbero essere più favorevoli all’unificazione».
Come valuta la strategia di Enrico Letta di puntare sull’alleanza con Conte?
«È un esperimento interessante. Vedremo come finirà».
Chi è messo meglio in vista delle amministrative del 3 ottobre?
«E chi lo sa? I sondaggi agostani sono un non senso, quelli affidabili arrivano a tre settimane dal voto. Sono chiamati alle urne venti milioni d’italiani in mille comuni…».
Anche in Italia avremo una grossa coalizione?
«Qualcuno poteva immaginare Letta e Salvini insieme al governo in una situazione come questa? La grossa coalizione c’è già, ed è stata una fortuna. Per la sua collocazione internazionale, Salvini ha fatto bene a entrarci. Come la Meloni a starne fuori, perché avrebbe contato molto poco».
La Verità, 14 agosto 2021