«Il patriarcato? Esiste nelle comunità islamiche chiuse»
Ex maestra di tennis, ex deputata Pd, femminista, in prima linea sui diritti civili e sui temi dell’educazione con Didacta Italia, pochi giorni fa Anna Paola Concia ha firmato con Simone Lenzi e Ivano Scalfarotto un decalogo su «Destra, sinistra e l’alternativa che vorremmo». Dal 5 agosto 2011 è unita civilmente con la psicologa Ricarda Trautmann che ha assunto il suo cognome. Vive a Francoforte.
In occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne ha postato su X: «Mi scuserete se non partecipo alla saga delle banalità che oggi si ripetono urbi et orbi». Reazioni?
«Alcune donne si sono offese, molte hanno capito e concordato, gli odiatori che insultano non li considero. Alle donne che si sono offese ho spiegato che, siccome per me la violenza di genere è una cosa seria, rifuggo gli appuntamenti di circostanza perché, sempre secondo me, servono atti legislativi e processi culturali graduali e profondi».
Ci si aspettava che partecipasse alla manifestazione del 25 novembre che avveniva a ridosso dell’anniversario dell’uccisione di Giulia Cecchettin e dell’intervento del ministro Giuseppe Valditara?
«A parte il fatto che vivo in Germania, penso che bruciare la fotografia di un ministro com’è stato fatto non sia il modo migliore per rispondere alla violenza che si voleva condannare con quella manifestazione».
Il cui slogan era «Disarmiamo il patriarcato»: bersaglio corretto?
«Su questa parola c’è la solita polarizzazione. Chi lo nomina è di sinistra, chi non lo nomina è di destra. Trovo che il manicheismo non aiuti a capire. In 40 anni di lotte, noi femministe al patriarcato abbiamo dato una bella botta. Ora è tramortito, rimangono gli strascichi di una cultura che ancora non si rassegna. Femminicidi e violenza di genere sono azioni di uomini che non accettano la libertà femminile».
Come definisce il patriarcato?
«Le società patriarcali erano quelle in cui l’uomo era padre padrone».
Ovvero il patriarca: in quali ambienti c’è ancora?
«Nelle società occidentali grazie alle battaglie femministe è tramortito. Ma la cultura patriarcale si esprime soprattutto nelle relazioni affettive. Sono state fatte delle leggi, si son fatti passi avanti sul piano culturale. Oggi noi donne oggettivamente non viviamo più con il patriarca sopra la testa, sebbene resistano disuguaglianze tra uomini e donne, come il gender gap. Il patriarca sopravvive nei Paesi dell’integralismo islamico. E in quelle comunità insediate nei Paesi occidentali che non si sono integrate».
L’integrazione è una sfida possibile?
«Io vivo in un Paese dove gli immigrati sono il 20%. Sebbene la Germania investa molto sull’integrazione, in alcune aree non è compiuta. Non volerlo vedere è un errore madornale».
Qualche giorno fa sul sito FeministPost Marina Terragni ci ha ricordato il Capodanno 2016 a Colonia quando decine di donne furono violentate da arabi e nordafricani.
«Fu una pagina molto buia che aprì gli occhi sulla necessità di maggior integrazione di uomini e ragazzi provenienti dai Paesi musulmani. Ci furono denunce e accuse di razzismo, ma i fatti erano inequivocabili».
Che cosa disapprova del neofemminismo?
«Il suo integralismo e la sua matrice profondamente anti occidentale. È una frangia coccolata dai media che tende a cancellare la differenza sessuale».
È anche incline al vittimismo?
«Purtroppo sì. L’identificazione tra l’essere donna e l’essere vittima è una trappola mortale che rischia di consolidare il patriarcato».
Appurato che giuristi e sociologi affermano che non c’è più, che cosa sopravvive del patriarcato?
«Il machismo e il maschilismo. Per sconfiggerli non bastano le leggi, serve un processo culturale che ci impegni tutti».
Intervistata dalla Verità Giorgia Meloni ha detto che le violenze e gli stupri sono favoriti dall’immigrazione irregolare: è razzista o fattuale?
«Nella marginalità c’è prevaricazione e quindi anche violenza sessuale. È un elemento di disagio sociale che vale sia per gli immigrati irregolari sia per i cittadini italiani».
Intanto i dati dicono che l’incidenza sui reati di violenza e stupro è superiore alla percentuale di immigrati nel nostro Paese.
«Questo problema non può essere affrontato dicendo se sono peggio gli immigrati o gli italiani. Sappiamo tutti che se la violenza è esercitata da un amico le donne tendono a denunciare meno. L’Istat ci dice che esiste una violenza sommersa che deve essere indagata e contrastata».
I femminicidi perpetrati sono espressione di mascolinità tossica o sintomo di debolezza?
«Un uomo che risponde con l’assassinio di una donna che gli ha detto no è sicuramente espressione di mascolinità tossica».
L’incapacità di accettare un abbandono è sintomo di debolezza?
«Certo che lo è. Purtroppo, stiamo educando generazioni incapaci di accettare le sconfitte. Che, invece, nella vita esistono. Siamo cresciuti anche attraverso le sconfitte, accettandole ci siamo rinforzati. Bisogna imparare a farci i conti».
Chi erano i suoi genitori?
«Due dirigenti dell’Azione cattolica. Mio padre è stato formatore di Gianni Letta, erano entrambi di Avezzano».
Era un padre autoritario o amico?
«Era un padre severo. Un democristiano puro. Si è confrontato con quattro figli impegnativi, io sono l’ultima. Negli anni delle contestazioni a casa mia c’era tutto l’arco parlamentare. Mia sorella era del Pdup, mio fratello radicale, un altro del Msi, io comunista. Facevamo discussioni feroci, ma i miei genitori erano democratici e noi abbiamo vissuto ognuno la propria vita».
Perché oggi tanti cosiddetti maschi bianchi non accettano l’abbandono di una donna?
«Qui ci vorrebbe una psicologa… Se vuole giro la domanda a mia moglie che lo è».
Prego.
Risponde Ricarda Concia, criminologa: «La causa è la mancanza di autostima. Oggi si è creato uno squilibrio, gli uomini non sono cresciuti quanto le donne e hanno perso il privilegio del capo. Inoltre, se le cose vanno bene, l’uomo medio attribuisce il merito a sé stesso, se vanno male dà la colpa agli altri, nel caso specifico alla donna».
Perché secondo lei in questi anni si è parlato di mamme elicottero e mamme spazzaneve e mai di padri?
«Infatti, i padri non esistono e non hanno mai responsabilità… Mi sembra una follia».
Le mamme delle chat di Whatsapp fanno di tutto perché i figli non trovino ostacoli?
«Tutto questo sindacalismo protettivo dei figli non li aiuta a crescere. Quando andavo a scuola l’insegnante aveva sempre ragione. Andavo malissimo in matematica, avevo un professore complicato, ma nonostante questo i miei genitori non mettevano mai in discussione l’autorità dell’insegnante. Lo scardinamento dell’autorevolezza dell’insegnante rende più fragile il percorso educativo. Non si può ricorrere al Tar perché tuo figlio ha preso sette anziché otto. Tu sei un genitore e fai il genitore, l’insegnante fa l’insegnante».
Deriva da questi atteggiamenti l’incapacità di metabolizzare un’opposizione femminile?
«Filippo Turetta è l’esempio eclatante di questo».
Mamme spazzaneve e padri amici educano figli fragili?
«Io non sono una tradizionalista. Con i miei genitori era difficile parlare, oggi si parla di più e questo per me è un fatto positivo. Farsi raccontare, parlare e confrontarsi non vuol dire essere genitori amici».
Può essere la scomparsa del padre la malattia della società contemporanea?
«No. Sono d’accordo che c’è la morte del padre, ma è un fatto storico. Oggi dobbiamo costruire insieme un tempo nuovo, ma non a colpi di machete».
Il gender può essere un’espressione perversa del patriarcato?
«Oggi la fluidità sessuale è un dato di realtà. Penso che tutti debbano avere diritto di cittadinanza. Acquisita questa fluidità, rifiuto la cancellazione delle donne. Sono per riconoscere gli uomini, le donne, le persone fluide, le persone transgender e chi più ne ha più ne metta, ma senza cancellare nessuno».
Il ricorso alla maternità surrogata e alla Gpa è una forma di sfruttamento del corpo della donna?
«Sì. Durante la manifestazione dell’altro giorno un cartello recitava: “Non siamo macchine per la riproduzione, ma donne pronte alla rivoluzione”. Apprendo con piacere che anche le donne di Non una di meno sono contro la Gpa».
L’ammissione di persone trans o iper-androgine alle competizioni femminili come alle ultime Olimpiadi può essere espressione di una cultura patriarcale?
«Sono una donna di sport e sono una che non esclude ma allo stesso tempo non impone: penso che se oggi molte persone trans atlete vogliono gareggiare è arrivato il momento di creare una terza categoria».
Mah…
«Lo sport deve avere condizioni paritarie di partenza: tra una persona trans e una donna non lo sono. È un dato scientifico. Chiediamoci perché le donne trans che diventano uomini non chiedono mai di competere nelle gare maschili. La biologia esiste e ha la sua incidenza».
Lo sfruttamento commerciale del corpo femminile nelle piattaforme, nei social, nella promozione pubblicitaria è un’espressione del maschilismo o del patriarcato?
«Del maschilismo, del racconto maschile sul corpo delle donne».
Le neofemministe vorrebbero legalizzare la prostituzione.
«Sono favorevoli al sex worker, io sono contraria. La prostituzione femminile risponde a una domanda di sesso a pagamento di uomini. Il 90% di questa risposta comporta la tratta delle donne. E sono donne giovani. Poi c’è un 10% di donne che decidono di vendere il proprio corpo. In Italia, grazie alla legge Merlin, se una donna vuole prostituirsi può farlo, ma promuoverlo a emblema della libertà femminile è imbarazzante. Il 90% sono donne sfruttate».
Le piaceva lo spot per la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne che recitava: «Se io non voglio, tu non puoi»?
«Francesca Capelli, una giornalista che vive in Argentina, ha suggerito che era meglio scrivere: “Se io non voglio, tu non devi” anziché tu non puoi. Perché potere, può eccome, purtroppo».
Che cosa pensa del fatto che l’8 marzo scorso Non una di meno ha impedito la partecipazione alle manifestazioni di donne che volevano ricordare le vittime del massacro del 7 ottobre?
«La fobia antioccidentalista di Non una di meno è così forte da negare gli stupri del 7 ottobre. Questo è contro il femminismo. Per quanto mi riguarda, loro possono chiamarsi come vogliono, ma non sono un movimento femminista».
È favorevole alla creazione di un’associazione Saman Abbas come proposto dal professor Ricolfi?
«Totalmente. Anzi, sono disponibile a dare una mano. Bisogna occuparsi anche di queste ragazze che sono più esposte al patriarcato».
La Verità, 30 novembre 2024