«Bollettini e decreti hanno trasmesso insicurezza»
Di Luciano Gattinoni, professore emerito dell’università di Gottinga in Germania, ex direttore scientifico del Policlinico di Milano, già presidente della Società mondiale di Terapia intensiva, si legge online che è stato lo scopritore dei benefici dell’ossigenazione in posizione prona in alcune patologie polmonari. Se in tanti servizi televisivi nei reparti Covid-19 si vedono i pazienti distesi a pancia in giù lo dobbiamo a questo medico rianimatore di fama internazionale, un signore milanese di 75 anni che si esprime con una modica quantità d’ironia. Quello che invece nelle bio spunta appena è che è anche un «pianista di talento».
Che musica suona, professore?
«Suono in un quartetto che si chiama Mnogaya Leta, che in russo bizantino vuol dire tanti auguri o anni felici. Siamo quattro voci, due tenori e due bassi, più pianoforte, chitarra, contrabbasso e batteria. Il nostro genere è il negro spiritual, il gospel, che è alla base del blues e del jazz».
Mnogaya Leta… Suona il pianoforte e anche canta?
«Esatto, sono il secondo tenore. Cantiamo insieme dal 1961, eravamo al liceo, tre al classico e uno allo scientifico. Poi due abbiamo fatto medicina, uno agraria e il quarto economia».
Mnogaya Leta… Fate concerti, tournée?
«Tournée è parola grossa. Concerti sì, ne abbiamo all’attivo un migliaio, quasi tutti in Italia».
Ci sono; ne faceste uno anche a una festa dei Cattolici popolari, preistoria del 1980, Old time religion, Go down Moses…
«Sì, sono brani nostri. Eravamo noi».
Risolta la reminiscenza, veniamo al presente, professore: possiamo dire che l’Europa sta uscendo dal tunnel del coronavirus?
«Sicuramente l’invasività dell’epidemia sta diminuendo, ma se siamo fuori lo sa solo il Padreterno. La Sars scomparve spontaneamente, speriamo succeda anche stavolta. Le previsioni si basano su modelli matematici, ma se si avesse la pazienza di metterle in fila, si constaterebbe la modesta validità delle previsioni degli esperti. E si concluderebbe che nessuno lo è».
Esperto deriva da esperienza, ma…
«Nessuno l’ha già vissuta. Ognuno cerca di incasellare ciò che vede nelle proprie conoscenze. Ma se ciò che succede è inedito, l’incastro perfetto non riesce».
Stiamo imparando a contrastare meglio il Covid-19?
«Fino a qualche settimana fa parlavamo tutti di polmonite. Ora si è scoperto che il polmone è una delle vittime del virus. L’aumento della coagulabilità del sangue causata dal virus produce trombi che possono interessare vari organi. Ma se chiede perché in alcuni pazienti il virus è stato quasi innocuo, in altri ha causato la morte o una patologia mediamente grave, non lo sappiamo. Perché non sappiamo come si muove nell’organismo».
Per il Covid-19 non c’è vaccino e la Sars è scomparsa spontaneamente: la scienza mal sopporta l’imprevisto?
«No. La scienza si occupa di ricerca che riguarda ciò che è inatteso. Nel rapporto con l’imprevisto si misura la genialità dell’uomo, l’azione su ciò che già si conosce è normale lavoro».
Il filosofo Alain Finkielkraut parla dell’imprevisto «come supremo metodo di conoscenza».
«Sottoscrivo».
Se non si è trovata la cura, a cosa dobbiamo il calo di contagi e decessi?
«A una serie di fattori. Alcuni studiosi sostengono che il virus sia mutato, altri dicono che il merito è del lockdown. Personalmente, nutro qualche dubbio perché anche ora che si è riaperto da due settimane la diminuzione continua. Ci sono meno ricoveri perché stiamo cominciando a capire cos’è questa malattia e a curare meglio i pazienti».
Il calo dipende da una modificazione del virus, dal cambiamento del clima, dalle nostre contromisure?
«Non c’è una sola ragione che spiega tutto. Dipende da una combinazione di elementi, ma in quale proporzione non sappiamo».
Parliamo del «prima»: cosa pensa delle voci che ipotizzano la creazione del virus in laboratorio, del fatto che l’epidemia fosse iniziata già nel 2019, che varie fonti l’avevano prevista in anticipo, che la Cina abbia nascosto il contagio?
«Per evidenti ragioni culturali e politiche ci sono obiettive difficoltà a sapere che cosa sia davvero successo in Cina. Non ho la minima idea se la diffusione del Covid-19 sia partita da un laboratorio o sia frutto di spillover, il salto di specie di un germe patogeno. Molti scienziati che hanno lavorato in quel campo sostengono che la creazione in laboratorio sia inverosimile. Invece, l’espansione di un’epidemia dall’Asia ha basi più solide. Dato che ogni otto dieci anni si verifica un’epidemia virale, nel 2018 alcuni studiosi l’avevano prevista, sottolineando la necessità di approvvigionarsi di respiratori. Ma, come sempre dai tempi della guerra di Troia, quando qualcuno predice disavventure preferiamo dargli della Cassandra. Il successo della prevenzione è scongiurare la sciagura. Qual è il politico che investe in qualcosa il cui scopo è un non avvenimento? La prevenzione non porta voti. L’animo umano è fatto così e dopo l’epidemia non cambierà».
Perché in Germania, che è la sua seconda patria…
«Non esageriamo. Prima sono stato negli Stati uniti dove, con un’équipe, abbiamo lavorato alla circolazione extracorporea e all’ossigenazione in terapia intensiva. Poi sono tornato a Milano. Da pensionato ho accettato questa offerta, memore dell’insegnamento del professore di greco Mario Zambarbieri, il quale sosteneva che un uomo di cultura deve poter leggere Goethe in lingua originale».
Quindi Germania patria di affinità elettive: perché lì ci sono stati meno decessi che da noi?
«Qui funziona una collaborazione fra medici di base e ospedali che in Lombardia non esiste. Una legge del 1977 ha stabilito che il medico generalista va da una parte e l’ospedale dall’altra. Questa cultura ha avuto conseguenze pesantissime».
È vero che in Germania c’è stato un lockdown meno rigido?
«È vero. I tedeschi hanno un rispetto per le istituzioni e le regole superiore al nostro. Sono educati così fin da bambini. Provi a contare quante volte ha parlato Angela Merkel. Le sono bastate poche parole. È laureata in fisica, è stata campionessa delle Olimpiadi di matematica, ha un curriculum vero. La credibilità non s’inventa: i nostri governanti, magari bravissimi, dovrebbero tenerne conto».
Il sistema delle terapie intensive lombardo compete con quello tedesco e quello francese, ma la metà dei decessi in Italia è avvenuta in Lombardia: quali errori sono stati commessi?
«Il sistema delle terapie intensive lombardo è tra i migliori al mondo e ovunque, nel settore, questo è noto. Semplicemente, molti decessi sono avvenuti altrove. Se si aumentano i posti letto senza aumentare il personale, l’attenzione al malato ne risulta penalizzata».
Concorda con gli analisti per i quali un ruolo eccessivo dei virologi ha favorito una visione riduttiva dell’epidemia?
«La medicina non è democratica. Se in un paese tutti votano per chiudere una drogheria, magari ha ragione l’unico che vuole tenerla aperta. Io non conosco la composizione del Comitato tecnico scientifico. Dico che, di solito, un’epidemia richiede competenze diverse. Occorre qualcuno che sappia di terapia respiratoria oltre che di moltiplicazione del virus».
A proposito degli scienziati in tv ha parlato di tentazione di narcisismo.
«Riguarda anche me. “Narcis fue molto bellissimo” e si specchiava nell’acqua del pozzo».
Oltre alla visibilità immediata c’è l’indotto.
«Se si riferisce alle ospitate pagate, io non ho visto un euro, né l’avrei voluto. Quando comincia a girare denaro, la quota di libertà diminuisce, vale a tutti i livelli. Vedo che una collega laureata in veterinaria si spinge a dire come sarà il dopo, pronunciandosi sulla convivenza con il virus. Personalmente, sto attento a limitare i miei interventi a ciò che conosco. Le mie valutazioni sul salto di specie del germe dal pollo cinese o dal ratto siberiano valgono quanto quelle del mio panettiere. Ofelè fa el to mesté, si dice a Milano. Qualche volta sono stato ospite a La7, poi ho declinato alcuni inviti perché non vorrei apparire nel vidiwall di Maurizio Crozza».
Qual è la lezione che i nostri governanti dovrebbero trarre riguardo al sistema sanitario?
«Che qualsiasi azione andrebbe meditata e mai presa in base all’emotività. Per esempio, adesso ho sentito parlare di uno stanziamento per realizzare 3500 letti di terapia intensiva. Quando mi sono permesso di osservare che sono troppi, Maurizio Gasparri me ne ha chiesto ragione su whatsapp. Ho risposto che sono stato presidente della Società italiana, poi europea e mondiale di Terapia intensiva e che se avesse voluto delle spiegazioni avrebbe potuto telefonarmi».
In Cina il lockdown rigido è imposto da un regime, in Italia c’è stata un’esasperazione di tipo sanitario?
«Non mi addentro negli altri lockdown. Certo, noi abbiamo chiuso prima e riapriamo più tardi. Se compariamo Stoccolma a Helsinki è un disastro per Stoccolma, ma se la paragoniamo a Milano è un successo. Un giorno si dovrà fare un confronto serio, senza passioni politiche, tra realtà omogenee per dimensioni ed età media. Fornendo numeri certi, non come quelli dei contagi che ci vengono dati ogni sera e di fronte ai quali non si sa ridere o piangere per quanto sono inattendibili».
Una comunicazione di bollettini e decreti ha trasmesso l’idea di uno stato di emergenza?
«A me più che di uno stato di emergenza ha trasmesso uno stato di pochezza».
Di mancanza di preparazione?
«Di mancanza di visione. Si poteva limitarsi a una comunicazione ogni tre giorni, ma con numeri verificati».
C’era il permesso di portare fuori i cani non i bambini, riaprono le palestre non le scuole.
«Questa tragedia offre spunti umoristici per un’enciclopedia. E i congiunti affini? I 21 misteriosi parametri regionali per la riapertura? Che cosa vuol dire “aprire ma con prudenza”? Forniscano dei numeri se vogliamo parlare di fatti. Se vogliamo il rischio zero dobbiamo blindarci in eterno. Qual è il livello di rischio che accettiamo?».
Arriverà una seconda ondata?
«Speriamo che la natura sia madre e non matrigna e faccia spillunder invece di spillover».
La Verità, 30 maggio 2020