«Mattarella si è schierato dalla parte di Letta»
Sinistra radicale. Sinistra storica. Storico di sinistra. Biografo di Antonio Gramsci. Uomo intransigente. Candidato sindaco di Torino con liste di sinistra sinistra (2,5% di consensi). Ispiratore della petizione contro lo schwa, la vocale inclusiva. Pronto a interrompere la collaborazione con La Stampa per le posizioni assunte sul Donbass dal quotidiano diretto da Massimo Giannini. È Angelo D’Orsi, salernitano, torinese d’adozione, frequente ospite di Giovanni Floris a DiMartedì, su La7.
Professore, cosa la fanno pensare le prime elezioni settembrine della storia repubblicana?
«Sono un modo di forzare la situazione da parte del presidente della Repubblica, inducendo a votare in una certa direzione».
In che senso?
«Si vuole affermare che dopo Mario Draghi c’è il diluvio. Una certa fretta ha impedito di esperire la possibilità di formare un nuovo governo».
Sergio Mattarella aveva questa alternativa?
«In teoria, sì. Poteva verificare l’esistenza di una maggioranza diversa o chiedere delle modifiche».
Con un Parlamento logorato e scosso, le critiche sarebbero state ancora più violente.
«Un tentativo avrebbe costretto le forze politiche a responsabilità più esplicite».
E l’incombenza della legge finanziaria e degli impegni per il Pnrr?
«Sono giustificazioni oggettive, mi rendo conto. Ma vedo anche il tentativo di enfatizzare il ruolo simbolico di Draghi».
Come definirebbe questa crisi?
«È una crisi organica, nessuna delle forze in campo riesce a sconfiggere l’altra. Sono le crisi più pericolose nelle quali spunta l’uomo della Provvidenza».
Chi ne esce peggio?
«Ne escono tutti piuttosto male. Soprattutto il presidente del Consiglio che ha detto più o meno: “O me, o morte”. La risposta della destra lo ha spiazzato. Il primo sconfitto è Draghi perché al Senato ha sottolineato che era lì perché gli italiani lo chiamavano».
Più di Mattarella?
«Da qualche tempo Mattarella ha dimenticato il ruolo di supremo arbitro della Costituzione. Agisce da attore a tutto campo, che porta avanti la linea del Pd di Enrico Letta».
Critica durissima.
«È ciò che vediamo. Draghi oblitera il Parlamento e Mattarella lo lascia fare».
Però adesso si parla di Draghicidio.
«In realtà, Draghi stesso si era reso conto di non riuscire e non volere gestire il rapporto con i partiti. La sua replica era un invito a togliergli la fiducia. Un presidente del Consiglio che avesse voluto ottenerla non avrebbe usato quell’aggressività».
Guidato da Conte il M5s da movimento anticasta è diventato un laboratorio di bizantinismi?
«I 5 stelle sono un grande mistero. Hanno il record di tradimenti della storia repubblicana. Parlo di tradimenti della loro natura e dell’identità. Se Conte facesse un suo partito non avrebbe nulla a che vedere con i 5 stelle dell’origine».
Di Letta che cosa si può dire?
«È la tragedia di un uomo ridicolo. Diventando più bellicista del più bellicista dei leader europei, ha dimenticato la tradizione del partito. Nei giorni della crisi i tratti ridicoli sono riemersi quando ha continuato a dire che si lavorava alla stessa maggioranza, mentre era evidente a tutti che non si poteva. Letta difetta di capacità di lettura degli eventi e non è bastato a dargliela l’insegnamento all’Ecole Sciences-Po, che è il meno qualificato tra gli istituti di Scienze politiche parigini».
Il centrodestra si è ricompattato sulla linea di Giorgia Meloni?
«Restando all’opposizione ha calamitato tutta la limatura di ferro della sua area».
Ma i moderati come Mariastella Gelmini e Renato Brunetta se ne vanno.
«È un’evoluzione chiarificatrice. Personalmente non approvo le espressioni centrodestra e centrosinistra. Questa finta fusione di centro e destra o di centro e sinistra intorbida le acque e produce scissioni. Il centro tende a fagocitare le ali estreme che estreme non sono. Il mio maestro Norberto Bobbio mi ha insegnato che la vera libertà democratica è dalle coercizioni esterne e anche la possibilità positiva di scegliere tra opzioni diverse e divergenti».
In questa crisi c’è chi intravede la mano di una Russian connection: cosa ne pensa?
«Che sia una fantozziana boiata pazzesca».
Gli italiani come escono da questa crisi?
«Sono disinteressati a ciò che avviene nel palazzo. Non dobbiamo rallegrarcene, ma dobbiamo preoccuparci del fatto che le istituzioni non fanno nulla per avvicinarsi alle loro esigenze».
Su quali temi potrebbero farlo?
«Sul fatto che questa guerra non ci riguarda. Sul rifiuto da parte della maggioranza dei cittadini dell’aumento delle spese militari, soprattutto dopo una pandemia che, per altro, non è finita. In questa situazione aumentare le spese per le armi vuol dire togliere denaro ad altre necessità. Oggi nel servizio sanitario nazionale i tempi di attesa sono biblici, per un’ecografia si aspettano dai 300 ai 900 giorni. Questo dovrebbe essere in cima all’attenzione dei nostri governanti. Il Parlamento deve tornare a essere il cuore pulsante della democrazia».
A proposito di Parlamento, anche a lei, storico del fascismo, nei giorni scorsi pareva di trovarsi al cospetto di un uomo della Provvidenza?
«È l’impressione che abbiamo avuto in tanti. Lo schema dell’intervento di Draghi ha ricordato il discorso del “bivacco di manipoli” di Benito Mussolini. È passato un secolo ma, volgarità a parte, lo schema è lo stesso: o mi date tutto il potere oppure è la catastrofe. Un secolo fa era il caos. Mussolini insulta il Parlamento che non solo lo applaude, ma gli vota la fiducia. Draghi ha ottenuto 18 interruzioni per applausi da un Parlamento che ha regolarmente bypassato».
Adesso si parla dell’agenda Draghi: l’ex governatore della Bce potrà rispuntare?
«Sarebbe il draghismo senza Draghi. L’Italia è un paese pieno di sorprese, Draghi ha mostrato un’ambizione personale che non sospettavo ed è un uomo dei poteri forti. Questi elementi portano a non escludere di vederlo coinvolto in altri progetti. Anche se oggi la sconfitta è totale».
Gli appelli delle categorie, di una fetta di sindaci, dell’associazionismo e persino dei clochard di che cosa sono sintomo?
«Sono la dimostrazione del passaggio dalla post-democrazia al totalitarismo morbido, al neo-leaderismo plebiscitario. Mi ha turbato che quasi 2000 tra sindaci e presidenti di Regioni abbiano firmato un appello pro Draghi. Anche questo è stato un vulnus alle istituzioni. Aveva ragione la Meloni, sono state trasformate in succursali di partito».
Draghi ne è stato sedotto?
«Ha detto che era lì perché il popolo italiano lo aveva chiamato. Invece, i sindaci e le Regioni non sono il popolo italiano, ma rappresentanze istituzionali che non avrebbero dovuto entrare a piedi uniti nel piatto di una crisi. Ha cavalcato questo movimento eterodiretto, mentre avrebbe dovuto ignorarlo non solo per dimostrarsi più signore, ma più corretto istituzionalmente».
Qual è la sua opinione sul governo Draghi?
«Ha fatto politiche antipopolari, favorendo piccoli gruppi di privilegio, un 5% del totale della popolazione. Il restante 95, non parlo solo degli operai o dei rider ma della massa di impiegati, insegnanti, artigiani, piccoli imprenditori, patisce le conseguenze della crisi economica potenziata dalle problematiche della pandemia. La quale ha aumentato la distanza tra ricchi e poveri non solo in termini economici, ma anche di status sociale e di possibilità di reagire ai colpi della sorte. Ora, con la guerra, su questa situazione si aggiungono gli effetti delle sanzioni alla Russia che sono, di fatto, sanzioni alla popolazione italiana».
Viviamo in una bolla mediatica fatta di appelli, narrazione univoca, tg monoliticamente schierati?
«Siamo in una situazione inedita, mai visto un tale unanimismo. Ti consentono di parlare e dissentire, ma poi le minoranze vengono sbeffeggiate, irrise, messe all’angolo. Nel suo La democrazia in America Alexis de Tocqueville scrive che le minoranze devono avere la possibilità di diventare maggioranze. Oggi siamo al paradosso che la maggioranza della cittadinanza è contraria all’impegno militare, ma questa maggioranza non ha rappresentanza da nessuna parte».
Che giornali legge al mattino?
«Benedetto Croce diceva che comprava i giornali al mattino e gli passa la voglia di leggere perché erano tutti ugualmente instupiditi. La Stampa, La Repubblica e Il Corriere sembrano un unico giornale. Anche Il Manifesto mi ha deluso. Dovrei smettere come dice Croce. O cercare alcune cose interessanti sul Fatto quotidiano, su Avvenire, Domani e anche La Verità benché lo consideri un giornale di destra. Quotidiani minori, fuori dal coro».
L’insistenza sulle varie emergenze come la crisi finanziaria, la pandemia, la guerra, il clima, serve a giustificare il ricorso a premier tecnici anziché a governi politici?
«Se la politica si rivela inutile c’è sempre un banchiere a cui ricorrere. Ma non tutti i banchieri sono uguali. Anche Luigi Einaudi era un banchiere, ma aveva una cultura politica di primissimo livello».
Adesso però si va a votare, chi arriva meglio al 25 settembre?
«La Meloni, anche se non credo che vincerà. Perché nascerà un raggruppamento in cui il Pd catalizzerà le forze minori per sconfiggerla. Però chi parte meglio è lei perché è stata coerente rimanendo fuori dal governo».
Quindi concorda con osservatori come Luca Ricolfi, Paolo Mieli e Alessandra Ghisleri che dicono che non è scontata la vittoria del centrodestra?
«La maggioranza è un centro mobile che si sposta verso sinistra o verso destra a seconda delle circostanze. Un grande polipo che acchiappa quello che può all’insegna dell’opportunismo. Questo perché le forze politiche non hanno un’ideologia forte, ma prevale la fluidità. O la liquidità di cui parla Zygmunt Bauman».
Dopo la tumulazione del campo largo ora Letta si appella agli «occhi della tigre» di Rocky.
«Cosa non si fa per guadagnare attenzione, dietro la seriosità del personaggio emerge la cialtroneria».
Se la destra vincesse saprà governare fronteggiando i poteri forti interni e internazionali?
«La risposta è no. Qualunque risultato ci sia prevedo che anche la prossima legislatura non arriverà al termine naturale».
Non resta che emigrare?
«Temo di sì. Mi sento straniero in patria».
La Verità, 23 luglio 2022