Perché il presenzialismo televisivo di Renzi è un autogol
Se un confronto tv tra due politici può esser preso come test, per Matteo Renzi «la situazione non è buona» (Celentano). Se poi colui che lo batte negli ascolti è il probabile principale competitor alle prossime elezioni, quando saranno, allora son proprio dolori. È andata così, l’altra sera (perdonate qualche cifra). Il premier, ospite su Rai 3 di Politics – Tutto è politica, ha raccolto tra le 21.22 e le 21.41 il 5,78 per cento di share e tra le 21.52 e le 22.15 il 5,72. Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle, invitato da La7 a DiMartedì, ha ottenuto il 6,19 nel primo blocco e il 7,12 nel secondo. In sostanza, l’esponente grillino e La7 hanno prevalso durante tutta la sovrapposizione, al netto della copertina di Maurizio Crozza, inserita come intervallo tra il faccia a faccia Floris-Di Maio e la conversazione allargata a Massimo Giannini e Maria Latella. Se si considera anche l’innesto comico, invece, la forbice è superiore a un punto percentuale.
Per il presidente del Consiglio lo smacco è doppio. La settimana dopo la puntata di DiMartedì che non aveva generato «una corrispondenza d’amorosi sensi» (Mentana) col premier, la sua decisione di partecipare al talk concorrente poteva suonare come un dispetto collaterale, oltre che un favore alla coppia Bignardi-Semprini. Invece, audience non mente e il piano si è rivelato un autogol. È vero che Politics è cresciuto dal 2,5 per cento di settimana scorsa al 6,4, risultando vincente su DiMartedì (6,1). In sostanza: il programma di La 7 ha mantenuto il proprio pubblico e, con la presenza di Renzi su Rai 3, si è allargata la platea dei talk show. Ma è ancor più vero che il sorpasso tra i due si è registrato soprattutto perché Floris s’indebolisce nella seconda parte, mentre nella prima, clamorosamente, Di Maio batte Renzi.
Smacco politico e smacco mediatico, dunque. Eppure, come avviene per ogni presenza tv dall’inizio della campagna referendaria, il disegno era stato studiato nei minimi particolari dallo staff del premier. Anche la Rai ci aveva investito parecchio, mandando Semprini ad annunciare la prestigiosa ospitata a Che fuori tempo che fa appena due ore dopo la lunga intervista concessa da Renzi all’Arena di Massimo Giletti. Si era messa al lavoro pure la direttrice di Raitre per studiare la scaletta e chiamare i giornalisti giusti: l’agguerrita Bianca Berlinguer, Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto quotidiano, e l’habitué della casa Claudio Cerasa, numero uno del Foglio. Infine, c’era l’asso nella manica: le leggendarie domande di Facebook, alle quali il presidente del Consiglio avrebbe risposto in tempo reale. Tanta carne al fuoco, dunque, forse troppa. Che lo chef Semprini non è stato in grado di cuocere adeguatamente.
Tanto per cominciare, Renzi troneggiava su uno sgabello davanti al pc, rubando al conduttore il controllo del verbo dei social. Poi, sopraffatto dalla reciproca ostilità tra la Berlinguer e il premier, il giornalista non è mai riuscito a dare un filo logico alla serata. Quanto all’ospite, ci ha messo del suo per complicarsi la vita. Prima rivolgendosi alla giornalista con un «direttore Berlinguer» che, considerate le motivazioni del recente siluramento, è suonato strano. Poi replicandole sul caso Marino che l’ex sindaco di Roma «si è dimesso lui, poi ha ritirato le dimissioni… Il suo tg ne ha dato ampia informazione con due o tre servizi in apertura…». «Dovevamo ignorare la notizia?», ha provocato l’ex direttrice del Tg3. «Ha mai ricevuto una telefonata da me su come fare il tg?», è stata la replica del premier. «No. Da lei personalmente no», ha chiuso la Berlinguer lasciando chiaramente intendere di averne ricevute da qualcuno a lui vicino. Un’allusione chiara, pur nel bailamme di voci che si sovrapponevano. Ma un’allusione complicata da gestire e subito sopita da Semprini che ha dirottato la discussione su temi economici. Nel frattempo, delle imprescindibili domande di Facebook si erano completamente perse le tracce.
Insomma, complessivamente una serata storta. Ancora più storta dev’essere stata la mattinata post televisiva, per il premier, una volta appreso il responso dell’Auditel: battuto da Di Maio, probabile candidato dei pentastellati. Già finora tutti i sondaggi dicevano che a un eventuale ballottaggio i grillini potrebbero prevalere. Ora, questo risultato è un’altra, piccolissima, ma fastidiosissima conferma. Avrà di che riflettere la task force della comunicazione composta da Jim Messina, Filippo Sensi e Simona Ercolani che analizza tutto, comportamento dei giornalisti, linguaggio, situazioni, programmi e curve di ascolto per definire ogni presenza televisiva. Chissà, forse tra le variabili da inserire nell’algoritmo c’è anche quello riguardante la sovraesposizione mediatica e il suo, indesiderato, effetto collaterale. Chiamasi saturazione. Anche perché una parte di pubblico può cominciare a chiedersi: ma è giusto che il premier sia sempre in tv per la campagna referendaria, con tutto quello di cui ha bisogno questo Paese? Non dovrebbe pensare a governare più che a promuovere le ragioni dell’«abolizione» del Senato?