I social network, padri putativi del futuro
Il dominio delle nuove tecnologie, di Internet e dei social network, è contro la famiglia. C’è un disegno preciso. Una logica economica scientificamente costruita e perseguita. Lo afferma Massimo Gandolfini, medico chirurgo specialista in neurochirurgia e psichiatria, consultore vaticano per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II nonché leader del Family Day. Nel libro-intervista realizzato con Stefano Lorenzetto (L’Italia del Family Day, 234 pagine, 15,5 euro, appena uscito da Marsilio editore) afferma che non è assolutamente un caso se “le grandi lobby economiche sostengono tutte, indistintamente, l’ideologia gay e gender”. Non è una questione di omofobia o di tabù per certi orientamenti sessuali. No. Per Gandolfini è vero il contrario: la famiglia è un ostacolo al potere sugli individui dei grandi marchi della new economy. Perché i potenti dell’economia digitale preferiscono parlare di individui piuttosto che di persone. “Si dà il caso – dice Gandolfini a Lorenzetto – che nel febbraio 2013 le 200 più importanti aziende americane, tutte insieme, abbiano chiesto e ottenuto da Obama e dalla Corte suprema l’abrogazione del marriage act, la legge federale che definisce il matrimonio esclusivamente come unione tra uomo e donna. Tra questi colossi c’erano Google, Apple, Microsoft, Facebook, Amazon, Ebay… Multinazionali in grado di orientare l’opinione pubblica e determinare le sorti dei governi”. Una visione maliziosa o apocalittica? Un’interpretazione antimoderna e oscurantista del progresso? Certamente, una bella sassata contro il vetro levigato e luccicante della Rete nuovo paradiso terrestre. Chissà se Carlo Freccero, che tra qualche giorno al Festival della Comunicazione di Camogli dedicato al tema Pro e contro il web terrà una lezione su “Media apocalittici e integrati”, prenderà in considerazione questa analisi di Gandolfini.
Da qualche tempo la critica contro la Rete ha iniziato ad allargarsi a macchia d’olio. Ho scritto critica, ma in qualche caso si potrebbe cominciare a parlare di rifiuto, di ribellione. Se ne evidenziano sempre più i lati oscuri, le ambiguità. Internet, e tutto ciò che ne consegue, social network e connessione h24, non è più l’eden della comunicazione. L’eldorado della democrazia. Ci si accorge che il web inevitabilmente riproduce e amplifica i limiti e le ossessioni di chi la usa. E si cominciano a mettere dei paletti per frenare l’ondata invasiva della new technology. È di oggi la notizia proveniente dalla Francia che annuncia i primi accordi tra aziende e sindacati per tutelare “il diritto alla disconnessione“. Niente mail, niente messaggini di emergenza, niente più reperibilità costante fuori dall’orario di lavoro per i dipendenti di aziende con più di 50 persone, come consente la Loi Travail. Si è scoperto che la connessione abbassa la qualità del lavoro, aumenta lo stress, toglie quella lucidità che proviene dal distacco, dal recupero di una distanza psicologica di sicurezza. Troppe sollecitazioni fanno sì che, come ha sintetizzato il sindacalista Jérome Chemin, “non agiamo più, siamo costretti a reagire di continuo”.
Nel nostro circo mediatico, dopo l’invenzione del neologismo webete, Enrico Mentana è diventato il guru dell’anti-Rete. Un ruolo consolidato dai successivi post su Facebook, sempre conditi di fulminanti giochi linguistici come l’ultimo riguardante “i Bufala Bill del Far Web“, i quali, senza darsi troppa pena a documentarsi, discettano contro il giornalismo fazioso che non darebbe certe notizie per amplificarne altre. Storia vecchia come la stilografica. Che, tuttavia, “i Bufala Bill” suffragano con il 77esimo posto assegnato da Reporters sans frontières all’Italia nella classifica della libertà di stampa. In realtà, scrive Mentana, quella posizione così bassa non ci è affibbiata “per la scarsa qualità o indipendenza dei nostri giornalisti, ma per l’esatto contrario”, ovvero a causa delle loro coraggiose inchieste che li espongono alle minacce della criminalità o a imputazioni giudiziarie. Come si vede la critica al web di Mentana non nasce da un neoluddismo del Terzo millennio, tant’è vero che la confeziona su Facebook. Ma riguarda l’uso che alcuni – molti, troppi – fanno dei social (Twitter in particolare). In sostanza, non c’è una sorta di stupidità da like, quanto una stupidità di persone che fanno uso di strumenti digitali. C’è una presunzione diffusa nella società contemporanea, una megalomania mediatica per la quale chiunque, avendo a disposizione una tastiera o uno smartphone, si sente in diritto di mettersi sul pulpito a pontificare e impartire lezioni all’universo mondo. Nessuno darebbe mai un mitra a uno psicolabile che si aggira in una piazza affollata. Salvo il fatto che il web non uccide (ma bisognerebbe riflettere anche su certi fenomeni di cyber-bullismo) la questione è la stessa. Ecco perché si comincia a riflettere sul fatto che la Rete è uno strumento incontrollato, nel quale ognuno senza autorevolezza alcuna può dar libero sfogo alla parte peggiore di sé.
Qualche giorno fa anche Alessandro Sallusti in un editoriale intitolato “Tenete i cretini fuori da Internet” ha proposto una sorta di moratoria digitale. “Non so se da qualche parte esista un interruttore di Internet. Se esistesse il mio sogno sarebbe di spegnerlo e vedere l’effetto che fa – ha scritto il direttore del Giornale -. Che diavolo ce ne facciamo di tutta questa presunta democrazia, di questa libertà senza regole e confini? A mio modesto avviso nulla, se non illudersi di esistere postando nel mondo stupide fotografie”.
Chissà che cosa ne pensano le multinazionali citate da Gandolfini nell’intervista con Lorenzetto. A differenza di quella di Mentana e di Sallusti, o anche della scelta introdotta dalla legge francese, quella del leader del Family Day non è una critica all’uso soggettivo dell’economia digitale, quanto alla cultura che la alimenta e la sta trasformando in un nuovo potere dominante. Al quale, per dispiegarsi senza freni, serve una società debole. “Perché le grandi lobby economiche sostengono tutte, indistintamente, l’ideologia gay o gender? – si chiede Gandolfini -. Perché una società debole, formata da figli con orientamenti sessuali incerti e mutevoli, è altissimamente condizionabile da qualsiasi input proveniente dall’esterno. Non esiste più il contraltare rappresentato dai valori della famiglia tradizionale. Anzi, a dirla tutta, – scherza ma non tanto Gandolfini – non esiste più nemmeno l’altare”. In questo modo le persone vivono “in uno stato di anomia. La relazione diventa esclusivamente individuale. Avremo un mondo di figli che non hanno più genitori, nel senso che ne avranno cinque o sei, e che cercheranno le ragioni della loro esistenza nella cultura corrente, nel consumismo, nei prodotti, basti vedere che cosa già rappresentano per loro oggetti come l’Iphone o l’Ipad… E con chi puoi instaurare una relazione forte, significativa, realmente accudente, se non esiste più la famiglia? Con Facebook, con Twitter, con Google+, con Instagram…”. Sono questi, i social network, i nostri nuovi genitori putativi.