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La parabola di Santoro e il benvenuto di Fazio

Un rito iniziatico. Un’affiliazione. C’era qualcosa che strideva l’altra sera nell’ospitata di Michele Santoro chez Fabio Fazio. Qualcosa che non tornava dal punto di vista estetico e dei linguaggi. Il tribuno arruffato nel salotto pettinato dei «ceti medi riflessivi» (Edmondo Berselli); il conduttore più controverso e osteggiato della tv italiana nel tempio del telepoliticamente corretto (gli altri ospiti, per dire, erano Roberto Vecchioni, Claudio Bisio e Serena Dandini). Tutto vero e incredibile: fino a qualche settimana fa. Perché oggi le cose non stanno più così. Santoro è cambiato o perlomeno sta di molto cambiando, abbandonando le vestigia di combattente d’opposizione per iscriversi al Partito della nazione. Nessuno meglio di Fazio poteva dargli il benvenuto nella nuova famiglia. Poteva registrare l’accredito a Palazzo. È questo il valore simbolico della puntata di Michelone a Che tempo che fa dell’altra sera, naturale conclusione di un periodo di impegno per il Sì al referendum di domenica. Santoro è in prima linea, schieratissimo. Lettere su Facebook sulla riforma costituzionale; mega interviste a raffica su come deve e può essere la nuova Rai, autopromozioni televisive. Il Venerdì di Repubblica, Libero, Il Foglio, il talk della domenica, insomma tutta la filiera editoriale governativa dalla quale distribuire giudizi, dare pagelle, infilzare i nuovi avversari. Che, questa è la faccenda più clamorosa, sono i sodali di ieri. Soci di nome e di Fatto (quotidiano).

Michele Santoro ospite di «Che tempo che fa» il 27/11/2016

Michele Santoro ospite di «Che tempo che fa»

Per spiegare tanto attivismo si possono tentare tre ipotesi. Ipotesi anagrafico-egocentrica: passano gli anni e, non più strategico come un tempo, mal sopporta la marginalizzazione. Ipotesi psicologica: per mascherare l’imbarazzo del cambio di squadra e mimetizzare il senso di colpa, spara sugli amici. Ipotesi professional-opportunistica: hai visto mai che ci scappi un ruolo nella Rai post 4 dicembre quando, con la vittoria del Sì, si preannunciano revisioni di organigrammi e rimescolamenti di poltrone?

La vicenda che più stupisce è l’eccesso di livore della campagna con morti e feriti lasciati a terra sulla strada della conversione renziana. Compari di battaglie politiche e mediatiche, partner rumorosamente scaricati. Marco Travaglio in primis: un tipo un filo limitato e schematico a sentire Michelone, invece problematico e dubbioso: «Ho sempre considerato Marco più contemporaneo di me. Più in sintonia col mondo del “mi piace” – “non mi piace”, che è la grammatica di Internet e di Facebook». Ancora: «Travaglio, nella mia televisione, è stato un confine che mi sono dato per essere sicuro che il programma non rinunciasse a una posizione scomoda nei confronti del potere». Sarà. Ma oltre a marcare il carattere antipotere, di certo con Travaglio la sua televisione ha scalato pure l’Auditel, visto che i picchi d’ascolto arrivavano durante l’intervento del direttore del Fatto quotidiano. Un giornale – altra vittima della giravolta – «fin dentro ai necrologi schierato per il No. In ogni sua riga. È ridicolo. Trovo imbarazzante possedere delle quote di un giornale senza sfumature, che non ha dubbi», ha chiosato Santoro, preconizzando un divorzio societario complicato e doloroso. Quanto a Beppe Grillo «l’ho riportato io in tivù, è un fenomeno che ho certamente enfatizzato, e quando era proibito farlo, perché immaginavo una rigenerazione della classe dirigente…». Dopo l’abbrivio le parole diventano pietre: «Alla fine Grillo è potere, è partito, è politica. Solo che finge di non esserlo, nasconde la sua natura, vuole apparire diverso. Ipocrita. Come quando si presenta con i jeans lisi, ma ha la Ferrari in garage». E il suo «Movimento Cinque Stelle è destra. Destra pura»: è la sentenza che rispolvera categorie novecentesche. In coda ce n’è anche per Carlo Freccero, suo storico direttore di rete, difensore e pusher ideologico, colpevole della scarsità di talenti giovani in tv, che sarebbero di più se «smettesse di fare politica con Grillo e tornasse a creare la seconda serata in Rai». A sinistra D’Alema e Bersani sono «patetici quando dicono che se cade Renzi non succede nulla». Perché invece, «se cade Renzi cade la sinistra in questo Paese», sostiene il filogovernativo Santoro.

Quando Michele Santoro e Marco Travaglio andavano d'amore e d'accordo

Quando Michele Santoro e Marco Travaglio andavano d’amore e d’accordo

Nello storytelling della conversione, la poltroncina del salotto faziesco era l’approdo naturale, la vetrina col logo giusto, il posto dove riposarsi e ritemprarsi prima dell’ultima settimana di campagna. «Questa sera non parliamo di referendum», ha premesso Fazio a inizio intervista. C’è la par condicio e tutto il resto. Siamo qui solo per spingere il documentario Robinù, sulla rampa di lancio delle sale cinematografiche.

Uno dei protagonisti di «Robinù», il documentario sui giovani camorristi di Santoro

Uno dei protagonisti di «Robinù», il documentario sui giovani camorristi di Santoro

Una scena via l’altra, i ragazzi della camorra, il welfare della criminalità e la mitologia del kalashnikov. Un documentario forte, il 6 e il 7 dicembre nei cinema: «Vorrei che andaste a vederlo in tanti» e poi «che si vedesse anche in televisione, sarebbe necessario», ha caldeggiato il padrone di casa congedando l’ospite al termine dell’intervista. Tranquilli, ragazzi, è tutto a posto. Siamo qui per registrare l’arrivo di un nuovo amico, l’ex conduttore più controverso della televisione italiana.

 

La Verità, 29 novembre 2016

 

 

Quel «Rischiatutto» che poteva essere un grande show

Riecco Rischiatutto, dopo le puntate spot di aprile su Rai 1. Rieccolo su Rai 3, nonostante i messaggi subliminali di Fabio Fazio che avrebbe preferito la rete ammiraglia. Ma Campo Dall’Orto l’ha promesso a Daria Bignardi e difficilmente tornerà sulla sua decisione. Però, questo è il punto. Rischiatutto ci può stare, come si dice, su Rai 3, ma probabilmente è troppo e tende a debordare perché è alieno rispetto alla cornice che lo ospita. Ha una ritualità, un linguaggio, una grammatica istituzionale che travalica la scrittura informale della terza rete (giovedì, ore 21.15, share del 13,8 per cento). Anche Fazio in doppiopetto – pazienza per la cravatta marrone – ci mette del suo. Rai 3 è informazione, inchieste, cronaca, talk show. Quiz no, varietà ancora meno. Messo così, è una citazione, tv vintage con qualche piccolo aggiornamento e l’invenzione nazionalpopolare della materia vivente, che l’altra sera era Carlo Verdone, pretesto per tuffarsi nella storia del cinema e nella carriera dell’attore-regista. Dell’annunciata versione 2.0 non s’è vista traccia se si eccettua una domanda dal web, cui si può rispondere tramite pc. Per il resto, ciò che manca davvero è il contorno, il contesto, decisivo affinché un programma si trasformi in evento. Non si può certo pretendere che quarant’anni dopo la stagione d’oro di Mike Bongiorno l’Italia si fermi come allora. Però un pizzico di pathos e di show in più: questo sì. Doppiopetto a parte, si capisce che Fazio gioca anche lui, pur mantenendo un aplomb formale. Si capisce la sua scelta di restare fedele al format originale, una scelta filologica, con le frasi di Mike («faccia bene i suoi conti», «faccio partire il tempo e le leggo le domande una alla volta», «ci pensi bene»), la stessa tendenza a stuzzicare i concorrenti, il distacco professionale, il ruolo del Signor No, il mitico Ludovico Peregrini, che Fazio vuol trasformare in personaggio. Ma forse proprio questa è, oltre che la forza, la debolezza dell’impostazione. Fazio è troppo «dentro» il progetto. E, alla fine, la cornice trasmette all’operazione un’aria dimessa e malinconicheggiante. Come se la Rai non ci avesse creduto fino in fondo per farne un grande appuntamento. La lettura dei quiz dal tabellone delle materie che all’epoca era un macchinario di meraviglie, oggi appare pedissequa. Oltre alla suspense manca lo show. Bastava sceneggiare qualche quesito, oppure renderlo più social, più tecnologico, e tutto sarebbe risultato più attuale. Per proclamarsi fedeli all’origine, c’è già Rischiatutto storia, l’appendice con i concorrenti di allora, gli aneddoti sentimentali di Peregrini («dopo la serata andavamo a cena al Santa Lucia») e, tra le cose migliori, Fiorello che legge brani da La versione di Mike (Mondadori).

La Verità, 29 ottobre 2016

«Rischiatutto» al posto di «Dieci cose», perché no?

Domenica pomeriggio Fabio Fazio è stato ospite dell’Arena di Massimo Giletti su Rai 1 per promuovere Rischiatutto e un paio d’ore più tardi si è autopromosso insieme con il Signor No nel suo Che fuori tempo che fa (dove ha lanciato anche il programma di Mika, dal 15 novembre su Rai 2 e Le parole della settimana di Massimo Gramellini, da sabato su Rai 3: en plein di promozioni aziendali dopo le accuse di tirare la volata ai programmi di Sky). Da Giletti Fazio ha detto che Rischiatutto andrà in onda nella rete dove lavora dal 1985 per «una decisione presa dalla direzione generale in accordo con la direttrice di Rai 3, Daria Bignardi». Infatti, la Bignardi aveva voluto garanzie da Campo Dall’Orto al momento della nomina. Però, visto come stanno andando le cose, sarebbe sbagliato cambiare idea? E posto che il giovedì di Rai 1 è bello solido, perché non piazzare Rischiatutto 2.0 al sabato sera spostando Dieci cose al giovedì su Rai 3? Fazzismo per veltronismo…

SkyTg24 monitora l’Italia sismica. È partita ieri «Italia trema», l’inchiesta di SkyTg24 voluta dalla direttrice Sarah Varetto a due mesi dalla catastrofe in Abruzzo per sottolineare che ci ricordiamo del rischio sismico puntualmente dopo le tragedie. Gli inviati del canale all news sono andati nei luoghi colpiti da terremoti, cominciando da Reggio Calabria (devastata nel 1908), per poi passare a Napoli, «zona rossa» tra due vulcani attivi, fino all’esempio virtuoso di Norcia. Sei reportage in onda alle 20.20 e in replica alle 23.20.

Rai ente pubblico con lo zampino di… Non si è saputo più niente dell’inquadramento della Rai nella Pubblica amministrazione ipotizzato dall’Istat che ha improvvisamente recepito una direttiva europea allarmando giustamente i vertici di Viale Mazzini. Il Cda ha rimandato la palla al governo perché eviti l’equiparazione ai Comuni e alle Asl imponendo alla Rai di assumere dopo pubblici concorsi e di assegnare appalti dopo gare, anch’esse pubbliche. Non si è saputo più nulla: solo ci si ricorda che Valerio Fiorespino, già responsabile risorse umane licenziato dalla Rai, da settembre è capo del Dirm, dipartimento Istat dalla dicitura interminabile.

Chi interpreterà Berlusconi per Sorrentino. Venerdì l’ospite di Edicola Fiore era Paolo Sorrentino, reduce dalla «State dinner» alla Casa Bianca e Fiorello non ha perso l’occasione per sfruculiarlo. «È stata una cosa molto divertente, che non farò mai più», ha sintetizzato il premio Oscar citando David Foster Wallace. Altrettanto fulminante la gag di Fiore: «Sapete, Sorrentino sta pensando di girare un film su Berlusconi. Per interpretarlo, sul set si è presentato Silvio, ma dopo il casting la parte è andata a Renzi». Applausi.

 

La Verità, 25 ottobre 2016

 

Veltroni copia Fazio che vent’anni fa s’ispirava a Veltroni

Il fazzismo è il proseguimento del veltronismo con un altro mezzo, su questo siamo tutti d’accordo. Ma se ora Veltroni sbarca in tv e, copiando, vuole prolungare nel tempo il fazzismo, il corto circuito è inevitabile. Anzi, è un corto circuito a doppio senso di marcia perché, nel frattempo, lo stesso Fazio ha mollato il fazzismo e si è dato all’arborismo, che è la sua seconda anima. Fermiamoci un attimo per evitare le vertigini e ricominciamo da capo. Con la messa in onda di Dieci cose, nuovo – come definirlo, varietà? talk show? gioco di società? – programma tratto «da un’idea di Walter Veltroni», la nostra macchina del tempo è andata in tilt. Se ne parla da due giorni per i costi alti (un milione a serata) e gli ascolti bassi (10,89 per cento). E perché non era il caso di «mettergli nelle mani (a Veltroni ndr.) quattro milioni per organizzare una specie di fallimento» (Vittorio Feltri). In realtà, il budget è andato ai produttori di Magnolia e chissà se e quanto ne è arrivato all’ideatore. Caso mai, una volta ascoltata l’idea, la Rai avrebbe fatto bene a stringergli la mano: già vista, caro Veltroni.

Il programma di Rai 1 consiste nella partecipazione di due ospiti che compilano una lista di dieci preferenze (persone film libri luoghi e cibi che vengono evocati, illustrati e commentati con esibizioni). Sabato sera erano Alessandro Cattelan e Gianluigi Buffon, il portiere della Juventus che, in contemporanea, stava giocando cotro l’Udinese. E già questo è uno strafalcione gigantesco. La contemporaneità non è l’ubiquità degli ospiti, ma è proprio su questa che Dieci cose cade rovinosamente. Per dire: c’era anche la campionessa paralimpica Bebe Vio alla vigilia della partenza per partecipare allo «State dinner» di Obama, ma al momento della registrazione, non se ne sapeva nulla.

La moda delle liste iniziò vent’anni fa con i libri di Nick Hornby e ebbe diverse applicazioni prima nella Rai 2 di Carlo Freccero (Anima mia di Fazio e Baglioni, 1997), poi sempre con Fazio, stavolta spalleggiato da Saviano, in Vieniviaconme (Rai 3, 2010) e Quello che (non) ho (La7, 2012). Soprattutto quella firmata con Saviano era tv pedagogica, fortunatamente tramontata. Anche Fazio ne ha preso le distanze, rinnovando il suo format con il «bar show» di Che fuori tempo che fa, un gruppo di ospiti che cazzeggia attorno a un tavolo parlando di libri, film, tv, umanità varia. Per questo un anno fa ha riscoperto Nino Frassica, il più arboriano dei comici, e ora ha sostituito autori storici come Duccio Forzano e Pietro Galeotti. Che ora, invece, firmano Dieci cose. Dove c’era il tavolo con gli ospiti, ancora in versione pedagogico-moraleggiante, ed è comparso pure Frassica. Che la Rai sta, colpevolmente, spalmando ovunque. Dieci cose, ritorno al passato.

Fazio ha due anime, la migliore ha inventato il bar show

Fabio Fazio, prendi due e paghi uno (verosimilmente salato). C’era una certa attesa per l’esordio stagionale del programma di Rai 3 nella versione lunga con l’abbinamento dei due formati: il tradizionale Che tempo che fa e il più innovativo Che fuori tempo che fa (Rai 3, domenica, ore 20). Il risultato è discreto anche se non folgorante, dopo una sola serata un po’ di rodaggio va concesso. L’inizio alle 20 con l’anteprima (share del 7,22 per cento), poi il prologo di Fazio, le interviste e il monologo di Luciana Littizzetto (12,07 per cento) e, a seguire, il talk con più ospiti allo stesso tavolo (9,7) creano un primetime insolito e una certa eterogeneità di clima e di linguaggi. Prima c’è quello dell’informazione e delle interviste, poi quello del cazzeggio tra amici. Per provare a fondere i due formati, il conduttore ha introdotto alcune novità nella squadra degli autori, nella regia, nello studio, ora sui toni del blu, e anche nel coinvolgimento delle partner abituali, la Littizzetto che ricompare a fine serata e Filippa Lagerback, promossa al tavolo degli ospiti con diritto di parola. Massimo Gramellini avrà invece un suo programma al sabato sera.

Fabio Fazio con Nino Frassica, punto di forza di «Che fuori tempo che fa»

Fabio Fazio con Nino Frassica, punto di forza di «Che fuori tempo che fa»

Michael Phelps e Lucia Pergolizzi, in arte LP, erano gli ospiti della prima parte e bisogna riconoscere che solo Fazio riesce ad avere personalità e artisti di questo livello internazionale. Al più grande nuotatore di tutti i tempi ha chiesto: «Che piacere c’è a ripetere lo stesso gesto all’infinito?». «È stato calcolato che la perfezione si raggiunge ripetendo lo stesso gesto fino a 10.000 volte», è stata la risposta. Tra ovazioni e filmati di trionfi, «lo squalo di Baltimora» si è persino commosso, e anche questo è un piccolo scoop. All’insegna della leggerezza la seconda parte della serata, felice intuizione della scorsa stagione. In pratica, Fazio ha inventato il bar show o, se si preferisce, il bar spettacolo. Nel quale lui è il barman, l’impagabile Nino Frassica, Fabio Volo e il filosofo della situazione Gigi Marzullo sono gli habitué, e gli ospiti della singola serata – domenica Lino Banfi, Paolo Rossi, J-Ax (tutti con libro in promozione), Fedez e la campionessa di scherma Rossella Fiamingo – sono i clienti di passaggio. Come detto, si tratta di due programmi con toni e linguaggi differenti. Del resto, lo documentano anche il nome e cognome, in Fabio Fazio convivono due anime, quella goliardico-arboriana di Fabio e quella moralistico-savianesca di Fazio: basta cambiare una consonante e cambia tutto. Per fortuna, come dimostra anche il ritorno di alcune imitazioni, ha vinto la prima delle due componenti, più morbida e affabile, mentre quella più ideologica si sta stemperando anche nelle interviste agli ospiti. Andando avanti, i due programmi dovranno e potranno fondersi. Intanto, prendi due e paghi uno.

La Verità, 27 settembre 2016

Conti, lo showman renziano incassa 4,5 milioni in 3 anni

Se c’è un volto che identifica e riassume il renzismo televisivo è quello abbronzato del fiorentino Carlo Conti. Un brand, un marchio. Una presenza e un attivismo che hanno molto di simbolico. Certo, dirà qualcuno in vena di distinguo, Conti lavora in Rai da ben prima che Matteo Renzi assurgesse al ruolo di premier megagalattico 2.0. Vero. Ma altrettanto vero che, come che sia, da un paio d’anni a questa parte il peso del conduttore di Tale e Quale Show è andato crescendo in maniera esponenziale. E ora il cumulo di ruoli e cariche fa sospettare anche un discreto cumulo di euro. L’altro giorno sul Giornale Giancarlo Mazzuca, consigliere di amministrazione della tv pubblica, si è chiesto quanto Conti «riesca a incamerare tra radio, tv e pure Sanremo dove è, ormai, intoccabile». Alla domanda, finora caduta nel vuoto, La Verità è in grado di rispondere: stando all’ultimo contratto da poco rinnovato, pare senza eccessivi ritocchi, Conti guadagna 4,5 milioni in tre anni. Una cifra che sembra iperbolica. Ma, tutto considerato, fino a un certo punto.

Matteo Renzi, ospite del programma di Maria De Filippi, «Amici»

Matteo Renzi, ospite del programma di Maria De Filippi, «Amici»

Conti Carlo, nato a Firenze il 13 marzo 1961, sposato e padre di Matteo – di cui, secondo le cronache, il premier avrebbe dovuto essere padrino di battesimo ma, per sopraggiunti impegni, venne rimpiazzato all’ultimo momento da Leonardo Pieraccioni – Conti, dicevo, è il conduttore principe di Rai 1 avendo presentato nella scorsa stagione ben dieci programmi, tra i quali il fortunato I migliori anni, nonché alcuni eventi estivi. I suoi ruoli più prestigiosi tuttavia sono altri: la direzione artistica e la conduzione del Festival di Sanremo, dal 2015, la direzione artistica di RadioRai, da giugno di quest’anno, data in cui ha lasciato la guida dell’Eredità, altro successo consolidato. Per far intendere quanto sia potente, l’altro giorno uno come Albano Carrisi ha annunciato in un’intervista a un importante settimanale di avere tre canzoni pronte, «in cui credo molto… Spero che piacciano a Carlo Conti perché voglio tornare a Sanremo», ha auspicato ossequioso Albano. Ora, a rigor di logica, con un artista che vanta un blasone festivaliero di una vittoria due secondi e tre terzi posti, la prospettiva dovrebbe essere rovesciata. Cioè: dovrebbe essere Conti a sperare in Albano e non viceversa. Ma tant’è.

Dunque, l’altro giorno, Mazzuca rigirarava il quesito nel 730 del conduttore-autore-direttore artistico eccetera: «Visto che gli altri non parlano, vorrei che facesse lui outing sui suoi compensi… Chiedo troppo?». Trascorsi alcuni giorni bisogna rispondere affermativamente. A differenza di quelli di dirigenti e giornalisti, i contratti delle star sono protetti dal segreto aziendale per non favorire aste e andirivieni da un’emittente all’altra. Detto che Conti è un fedelissimo Rai con il dna della tv pubblica nel midollo, ecco accontentato Mazzuca e altri curiosi come lui. Oltre alle varie cariche, bisogna considerare che in Rai c’è chi, avendone meno, guadagna altrettanto o più di Conti. E non va dimenticato che gli artisiti producono valore aggiunto per tutta l’azienda. Puntualizza Franco Siddi, anche lui consigliere d’amministrazione Rai: «Conti ha una professionalità acclarata e il suo compenso non è tra i più elevati. Tuttavia, è ora di calmierare certi cachet e smettere di pagare le star come calciatori. E se, abbassando i compensi», continua il consigliere in quota Pd, «rischiamo di perdere qualche talento, pazienza. La Rai ha una missione pubblica. Anziché preoccuparci solo di duecento volti noti, dovremmo iniziare a pensare agli altri dodicimila dipendenti che hanno stipendi a livelli minimi».

Giorgio Panariello, Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni durante lo show «Aria Fresca»

Giorgio Panariello, Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni durante lo show «Aria Fresca»

Per tornare a Conti, forse sarebbe convenuto non caricarlo di troppe responsabilità. Ma non è facile come dirlo. Oltre al successo dei primi due Festival, il conduttore può vantare una vicinanza con il premier che non è solo nelle origini geografiche. Più che lo snobismo salottiero di Daria Bignardi o l’arborismo goliardico di Fabio Fazio, l’ex sindaco di Firenze si specchia nella cultura dell’intrattenimento pop che è la stessa di Conti. Non a caso da ragazzo partecipò alla Ruota della Fortuna e tuttora preferisce andare ospite di Maria De Filippi piuttosto che di Michele Santoro. Una sintonia a prova di reciproci endorsement. Dopo l’ultimo Festival il premier esternò: «So che forse non gli faccio un favore. Ma posso dire che Carlo Conti è stato come sempre impeccabile nel gestire Sanremo?». Parole che finirono dritte al Tg1 della sera. Dal canto suo, il conduttore si era più volte sbilanciato. Alle primarie del Partito Democratico: «Sarebbe una bella ventata. Speriamo ce la faccia. Il voto è segreto. Ci tengo molto a questa cosa. Se per caso dovessi andare a votare, però, voterò Renzi». Al momento della conquista di Palazzo Chigi: «È giovane e pieno di energia, capace di rendere la politica non meno seria, ma meno seriosa». E avanti così, fin da quando Renzi aveva 18 anni e «veniva a vedere Aria Fresca, il programma che facevo con Giorgio Panariello e Leonardo Pieraccioni in Toscana». Il programma che, attualizzato, i tre amiconi stanno portando in tour in questi giorni. Chissà se il premier tornerà a vederli.

La Verità, 23 settembre 2016

I cinque motivi del boom di Rischiatutto (2.0)

Non c’erano dubbi che Rischiatutto avrebbe fatto il botto (oltre 30 per cento di share e 7,5 milioni di telespettatori). Bastava non inventare troppo, non stravolgere il format originale di Mike Bongiorno aggiornandolo solo un po’, con un tocco d’ironia e di scanzonatura, la sfumatura che Fabio Fazio indossa meglio di questi tempi. Fatta questa premessa, i motivi del successo della serata d’esordio del Rischiatutto 2.0 sono molteplici.

  1. La forza del format. Intanto: del 2.0, inteso come aggiornato ai tempi del web, non c’è traccia. Niente televoto, niente social network e cinguettii vari in tempo reale. Il quiz classico, tradizionale, senza spezie virtuali e internettose, il padre di tutti i telequiz è più che sufficiente ad attrarre il grande pubblico.
  2. Il retrogusto vintage. Indovinata l’idea di mantenere studio, cabine, tabellone, grafica e musiche originali, e tutti i piccoli riti inventati da Mike, la prova pulsante, le buste, la chiusura delle cabine, le gag con il Signor No, Ludovico Peregrini, soddisfacendo il feticismo dei cultori. Indovinata anche l’idea di partire con il bianco e nero per poi colorare l’ambiente. Nostalgia stuzzicata nelle giuste dosi, senza eccessi e indugi compiaciuti. Il vintage funziona, come insegna la Tipo di Montalbano. Fazio sa come surfare su queste onde, Anima mia docet.
  3. Il format largoRischiatutto fu campione di ascolti nei primi anni ’70, quando Christian De Sica era giovane, Fabrizio Frizzi adolescente, Lorella Cuccarini, Fabio De Luigi e Maria De Filippi bambini. I ragazzi di adesso, invece, ne hanno sentito parlare da genitori e nonni e un pizzico di curiosità ce l’hanno. Mike riusciva a trasformare i concorrenti in caratteristi e a imprimerli così nell’immaginario, motivo per cui i telespettatori dell’epoca erano curiosi di rivedere la mitica signora Longari e il bizzarro Andrea Fabbricatore cinquant’anni dopo. La traversalità generazionale era uno degli obiettivi di Fazio. Missione compiuta.
  4. Il generalismo della Rai. La televisione cresce e si impone sfruttando la televisione. Il tuffo nel passato è stato un tuffo in un’epoca in cui la Rai rappresentava tutto il Paese. La scelta di ospiti-concorrenti molto generalista paga. Christian De Sica e i volti rappresentativi della storia e del presente della Rai come Frizzi e Cuccarini avevano voglia di giocare. Importante anche la presenza di Maria De Filippi. Rischiatutto e quella Rai sono come la Nazionale e quando gioca la Nazionale tutti remano nella stessa direzione. Anche le materie dei concorrenti di stasera (musica sinfonica, storia della Juventus e Marylin Monroe) sono passioni di massa.
  5. Le novità riuscite. La materia vivente interpretata da Alberto Tomba (stasera toccherà a Fiorello), scelto con il criterio di cui sopra, la massima popolarità, funziona. Come funziona l’innesto di Nino Frassica, già collaudato a Che fuori tempo che fa. Matilde Gioli ha gli occhi e il sorriso giusti per interpretare il ruolo di valletta, ironica e dolce ad un tempo.

Stasera si bissa. Resta da vedere se la gara con i concorrenti sconosciuti avrà la stessa presa di quella con i volti noti. E in autunno si vedrà se il Rischiatutto (2.0) resterà su Raitre o verrà promosso sulla prima rete, Daria Bignardi permettendo.

I tempi supplementari di Che tempo che fa

Dopo la puntata dell’infelice intervista a Belén Rodriguez con gaffe collaterale nei confronti di Filippa Lagerback (“guardate chi ci siamo persi… io non ero presente al provino…”, mostrando quello alla showgirl argentina), domani sera Fabio Fazio torna con Che fuori tempo che fa (ospiti Claudia Gerini, Stefano Accorsi, Margherita Buy e Max Pezzali oltre  a Nino Frassica, Fabio Volo e Gigi Marzullo) e domenica con Che tempo che fa (Charlize Theron). Ormai i due programmi seguono registri diversi con gruppi di lavoro distinti. Solo Marco Posani e Massimo Martelli sono presenti in entrambi. Da quest’anno Michele Serra non fa più parte della squadra, mentre le altre firme storiche come Pietro Galeotti e Luca Bottura si dedicano all’edizione domenicale, con le interviste classiche. Nella versione rinnovata del “talk al tavolo”, che ha avuto anche l’apprezzamento di Campo Dall’Orto, cresce il ruolo di Veronica Oliva, mentre entrambi le edizioni (che fanno buoni ascolti) sono curate da Anna Lisa Guglielmi, figlia dello storico direttore di Raitre.

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Mediaset stringe sulla Raffaele prima che su Giletti Massimo Giletti non è una priorità di Mediaset. Lo stimato conduttore dell’Arena ha un contratto con la Rai che scade nel giugno 2017 ed è più che probabile che rinnovi. Il cruccio di Giletti è che vorrebbe essere considerato una firma di Raiuno, intestandosi qualche speciale, qualche approfondimento come in passato gli ha concesso Giancarlo Leone. Ma non sembra sia aria. Così si sta guardando intorno e non gli dispiace se lo si viene a sapere. Dalle parti del Biscione però, è più stringente la situazione di Virginia Raffaele, il cui contratto termina nel giugno prossimo, e per la quale si stanno mettendo a punto alcuni progetti. Attorno alla bella imitatrice, rivelazione dell’ultimo Sanremo, si alza il canto delle sirene, più ancora che per Maurizio Crozza. Lo sa bene Beppe Caschetto, agente di entrambi.

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Si sono dimenticati il direttore di Raiuno Lancio in grande stile un paio di giorni fa in Viale Mazzini per Laura & Paola, lo show di Raiuno che schiera Paola Cortellesi e Laura Pausini. Per la prima volta era sceso nella Sala degli Arazzi anche il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto. Il varietà era stato ideato durante la gestione di Giancarlo Leone, ma la conferenza stampa di presentazione è stata la prima uscita pubblica di Andrea Fabiano. Tuttavia, sulle grandi testate, dal Corriere della Sera a Repubblica, dalla Stampa al Giornale, da Libero ad Avvenire, il nome del nuovo direttore di Raiuno non è comparso. Svista collettiva, accordo censorio o semplice latitanza dell’ufficio stampa della rete?

Povero Pierino Stroncatura sul Fatto quotidiano del Grand Hotel Chiambretti su Canale 5. “Se i naufraghi si giudicano dal mare in cui sono finiti, allora non c’è dubbio, il peggior naufragio dell’anno è quello del Grand Hotel Chiambretti – ha scritto Nanni Delbecchi -. Che uno dei personaggi un tempo più geniali della nostra tv… si sia ridotto a fare il Biscardi dell’Honduras in una specie di processo del martedì con tanto di fasi salienti della puntata, è una cosa che prima fa tristezza e poi nient’altro, si è già cambiato canale”. Potrebbe essere Chiambretti il misterioso e “irriverente conduttore che ama la radio a cui verrà affidata nella prossima stagione televisiva una nuova striscia quotidiana su Raidue diretta da Ilaria Dallatana”, come scritto da Dagospia? Potrebbe: Chiambretti e Dallatana si conoscono fin dai tempi di Markette, prodotto da Magnolia per La7.

Quel duro di Mihajlovic Andrà in onda stasera alle 23 su SkySport1 e SkyCalcio1 (ma poi sarà disponibile on demand) una sorprendente intervista a Sinisa Mihajlovic, terza dopo quelle a Mancini e Donadoni, all’interno di Mister Condò – Gli allenatori si raccontano. Un dialogo oltre schemi e tattiche sul campo nel quale il tecnico serbo del Milan ha rivelato un inedito tratto umano: “Io un duro? Sono nato in un Paese dove bisogna essere duri non per scelta, ma per necessità di sopravvivere… Spesso dico che quando uno ha fatto due guerre non può avere paura di una partita di calcio. Sono pressioni che a me piacciono e io riesco a dare il meglio di me quando ci sono pressioni, perché per me il calcio è importante, ma è pur sempre un gioco, non è la vita”. Meno male…

 

Il caso Fabio Volo: (Italia) Uno e (Rai)Trino

Vogliamo dire due parole sul caso Fabio Volo? Lo avete presente, no? Fabio Volo, nome d’arte di Fabio Bonetti, attore, scrittore, conduttore televisivo… Ma lasciamo perdere Wikipedia… Volo è un caso eccellente (parolona). Un fenomeno di complessa decrittazione. I suoi romanzi vendono slavine di copie (de gustibus). L’ultimo, per dire, È tutta vita, storia di una coppia in crisi che cerca di tenersi in piedi, è appena uscito dalla top ten, ma fino a qualche settimana contendeva il primato in classifica al libro del Papa (intervistato da Andrea Tornielli), così va il mondo. Poi Volo conduce da una dozzina d’anni una popolare trasmissione su Radio Deejay. Fa cinema, anche se non più con l’originalità dei primi lavori diretti da Alessandro D’Alatri (Casomai e La febbre). Vengo al dunque perché mi rendo conto di averla presa un po’ larga. Tutti i sabati lo vediamo seduto al tavolo di Che fuori tempo che fa, ospite fisso ma un tantino pleonastico di Fabio Fazio. Sta lì, ride, annuisce con sagacia, dice qualcosa se riesce a trovare una battuta brillante, solitamente surclassato, come tutti, dal funambolismo di Nino Frassica.

Bene, da qualche settimana c’è una novità. La domenica Volo co-conduce su Italia Uno Le Iene che, da gennaio, l’autore e deus ex-machina Davide Parenti ha voluto doppiare anche il martedì. La faccenda suona strana. Il sabato su Raitre e la domenica su Italia Uno, peraltro per mezz’ora in sovrapposizione con il programma del conduttore che lo ospita gentilmente la sera prima. Una regola di policy aziendale vigente in Rai prescrive ai suoi artisti (altra parolona) l’impegno di non lavorare per la concorrenza, né come conduttori né in qualità di ospiti, almeno nelle 24 ore successive alla partecipazione ad un programma Rai. È un invito, una forma di tutela e di difesa della tv pubblica per non svalutare le partecipazioni ai suoi show. Come mai Volo fa eccezione, non solo come conduttore di un programma Mediaset, ma anche nello stesso orario di quello di cui è ospite la sera precedente? Pare che l’ex direttore di Raitre Andrea Vianello abbia fatto il diavolo a quattro per opporsi a questa situazione, scontrandosi anche con i massimi vertici aziendali. Invano, come si vede. Le Iene hanno due edizioni guidate da due terzetti: la domenica Geppi Cucciari, Miriam Leone e Fabio Volo; il martedì sempre Geppi, Pif e Nadia Toffa. Tutti, eccetto quest’ultima, appartenenti alla scuderia di Beppe Caschetto. Il quale, peraltro, è l’agente anche di Fazio. Chissà perché e chissà come ha fatto digerire alla Rai di non mettere Volo nel terzetto di conduttori del martedì…

 

 

Fazio e Gramellini anticipano L’Ultima parola

Niente più leggio, niente più la rubrica separata a chiudere in modo un po’ forzato come una parentesi spegnendo il fermento del cazzeggio tra amici, come avevo scritto una settimana fa su Cavevisioni.it. Fabio Fazio e Massimo Gramellini hanno modificato la scaletta di Che fuori tempo che fa, anticipando l’Ultima parola all’interno del talk ( http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3299b40c-7c23-4684-8f07-71b8256c93a8.html ), e collegandola all’argomento della serata: i segreti nascosti nei cellulari, sulla scorta dell’uscita del film Perfetti sconosciuti con Giuseppe Battiston e Valerio Mastandrea, presenti in studio.

Questo blog ha suggerito una correzione a un programma di  Raitre ed è stato ascoltato.