«Vedo troppo draghismo, non solo sulla guerra»
Troppa continuità con l’agenda Draghi e troppa cedevolezza verso l’establishment europeo. Ma soprattutto: troppo allineamento all’America sulla guerra in Ucraina. Così, Gianni Alemanno, già ministro nei governi Berlusconi e sindaco di Roma, ha animato pochi giorni fa a Orvieto la convention del Forum dell’indipendenza italiana alla quale hanno partecipato il filosofo Diego Fusaro, il giurista Ugo Mattei e il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi.
Gianni Alemanno, come si sta giù dal carro del vincitore?
«Non è una situazione comoda, ma si sta bene con la propria coscienza e la propria storia».
Qual è stata la goccia che l’ha fatta scendere?
«La posizione del governo sulla guerra in Ucraina. Ho provato all’inizio del conflitto a collaborare con la Fondazione An per portare in Italia profughi ucraini… Ma poi, con la propaganda di guerra montante non ce l’ho più fatta».
Ritiene che il governo sia troppo allineato alle posizioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti?
«Sì, perché questa guerra è contraria al nostro interesse nazionale. In realtà, è contraria anche all’interesse di tutta l’Europa. L’Italia dovrebbe avere un’influenza di pace. Se riuscisse a esprimere un punto di vista diverso potrebbe mobilitare certe sensibilità della Francia e della Germania ponendo le premesse per una posizione critica dell’Europa che conta».
La storia insegna che i discostamenti dall’Alleanza atlantica vanno dosati e spesso si pagano.
«Nessuno chiede che l’Italia esca dalla Nato, ma che richiami il suo scopo di alleanza difensiva e non ne assecondi la tentazione di essere il poliziotto del mondo. Anche a Berlusconi si fece questo ricatto per costringerlo a intervenire in Libia, eppure un anno dopo fu deposto con un colpo di Stato finanziario partito da Bruxelles».
Come valuta l’accoglienza della Casa Bianca a Giorgia Meloni?
«Non dobbiamo confondere l’orientamento dell’amministrazione Biden con gli interessi permanenti del popolo americano, il quale contesta certe scelte dell’agenda globale come possiamo fare noi. In altre parole, se fosse stato presidente Donald Trump la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata. Detto ciò, è ovvio che il premier italiano debba tenere buoni rapporti con il presidente americano. Poi bisogna capire quanto ci costa perché, ribadisco, la guerra in Ucraina ha effetti devastanti per l’Italia».
Come giudica l’iter per le rate del Pnrr?
«Positivamente. Il ministro Raffaele Fitto e il governo sono riusciti a raddrizzare la barca che sia Giuseppe Conte che Mario Draghi avevano messo su una rotta sbagliata».
Cosa pensa della sospensione e revisione del reddito di cittadinanza?
«Il reddito di cittadinanza era una misura sbagliata, questo non si discute. Ma non andava abrogato dall’oggi al domani, senza costruire un’alternativa credibile».
Era una riforma annunciata da tempo.
«I contratti hanno una durata di 18 mesi. Mi sarei aspettato che non se ne stipulassero di nuovi ma che fossero portati a termine quelli in itinere. È stato un errore sospenderli ad agosto, un mese di tregua nel rapporto tra cittadino e Stato. In ogni caso, bisogna sostituire il reddito con lavori socialmente utili».
Per esempio?
«C’è enorme bisogno di lavori sul territorio, per contrastare il dissesto idrogeologico e per manutenere le città. Ci sono aree del Paese e fasce anagrafiche in cui, anche con i migliori centri dell’impiego e i migliori percorsi formativi, che per altro non ci sono, il lavoro non si trova».
I percettori di Rdc accetteranno questi lavori?
«Se rifiutassero sarebbe giusto sospendere il sussidio. Ma bisogna verificare che questo accada e non sopprimerlo in base a un processo alle intenzioni».
I manifestanti di Napoli scandivano «Meloni a testa in giù, senza reddito mai più», ma La Verità ha rivelato la presenza in Campania di molti lavoratori in nero anche percettori di Rdc.
«Per questo bisogna collegarlo ai lavori socialmente utili che impediscono di fare lavoro nero».
La riduzione del cuneo fiscale e la detassazione per chi assume sono la strada giusta?
«Certamente, il governo Meloni sta facendo anche cose giuste. Il vero problema non è tanto la disoccupazione quanto il lavoro povero, una battaglia da non lasciare alla sinistra».
La quale continua a soffiare sul fuoco della «bomba sociale»: è il nuovo allarme dopo quello sul clima?
«Le opposizioni devono essere responsabili e non strumentalizzare i problemi. Però c’è una differenza fondamentale fra la costruzione dell’emergenza climatica voluta dalle multinazionali che puntano sulla transizione green e certi fatti di disperazione molto reali. Il Centro dell’impiego dove siamo andati era chiuso e sul cancello c’era una fotocopia con su scritto: “Noi del reddito di cittadinanza non sappiamo nulla”. Un comportamento da Terzo mondo».
La pandemia, la guerra e il cambiamento climatico favoriscono l’affermarsi di enti come l’Organizzazione mondiale della sanità o l’Organizzazione mondiale della meteorologia: come contrastare la globalizzazione?
«È la globalizzazione a determinare le politiche emergenziali. Fortissimi interessi economici hanno condizionato le scelte politiche di questi anni, cominciando dalla pandemia. È fondamentale recuperare una sovranità nazionale che è anche sovranità popolare, perché è l’unico scudo per difenderci da questi interessi e dagli organismi internazionali a essi soggiogati. Pensiamo all’Oms sempre più in mano a Bill Gates».
Si crede che siccome sono sovranazionali questi organismi siano indipendenti?
«Dall’esperienza come ministro ho tratto la convinzione che più i poteri sono distanti dai popoli e dai territori, più sono infiltrabili dagli interessi privati».
Si procede da un’emergenza all’altra?
«Il governo delle emergenze crea continue fobie nelle persone e cerca di condizionarle nei comportamenti e nei consumi».
Adesso c’è la nuova malattia dell’ecoansia.
«Invece di contrastare il cambiamento climatico facendo la manutenzione del territorio, ci obbligano a comprare le auto elettriche per accontentare le multinazionali. Vale il vecchio detto inglese «follow the money”: segui il denaro e capirai gli interessi in gioco».
Giorgia Meloni punta a durare, perciò cerca legittimazione dall’establishment italiano ed europeo?
«Ogni governo cerca di durare. Meloni pensa che si possa avere più aiuto facendo i primi della classe in Occidente e nell’Ue. L’esperienza dell’ultimo governo Berlusconi ci dimostra che non è così. Henry Kissinger dice che “essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso, essere amici è fatale”».
Governare avendo contro lo Stato profondo, la magistratura, il Quirinale, le agenzie di rating, le burocrazie europee è difficile o impossibile?
«È difficilissimo. Mi rendo conto delle enormi difficoltà che Giorgia Meloni deve affrontare, ma il problema, citando Carl Schmitt, è capire qual è “il nemico principale” per evitare di fare contemporaneamente guerra a tutto e a tutti. Penso che il primo nodo da sciogliere sia il vincolo esterno imposto dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. Sono convinto che percorrendo coerentemente questa strada, con tutta la prudenza del caso, si troverebbero alleanze insospettabili e si spiazzerebbero molti dei nostri cosiddetti nemici interni».
La Rai e le grandi aziende partecipate restano sostanzialmente in mano al Pd?
«Non generalizziamo. In Rai mi sembra si stia tentando un cambiamento serio».
Nel governo c’è un problema di statura di alcuni ministri inclini ad allinearsi alle politiche precedenti o c’è proprio un errore di prospettiva?
«Secondo me si sta continuando troppo sull’agenda Draghi. Le discontinuità per adesso sono settoriali, non strategiche. È normale che in ogni governo ci siano ministri rivelazione e altri deludenti. Pensiamo a quanto è stato deludente il cosiddetto governo dei migliori».
Come vede l’avvicinamento di Renzi alla maggioranza?
«È la dimostrazione che la linea politica di fondo è sbagliata».
Non preferirà un governo a guida Pd e 5 stelle o del Presidente?
«Mai. Ho sempre detto che questo governo è in ogni caso preferibile a quelli imposti dall’alto. Le nostre critiche sono dure, ma sempre fatte con spirito costruttivo».
Qual è l’agenda del Forum dell’indipendenza italiana?
«Dalla nostra convention abbiamo lanciato il Manifesto di Orvieto sul quale raccoglieremo le adesioni per vedere se ci sono i numeri per costituire un movimento politico. Se il riscontro sarà positivo, a ottobre fonderemo questo movimento e vedremo come e quando affrontare le prove elettorali. Intanto continueremo a fare da pungolo al governo, nella speranza di vedere cambiamenti sostanziali che accoglieremmo con grande entusiasmo».
Di che cosa vi accontentereste?
«Il problema di fondo è la coerenza per costruire una vera indipendenza che è l’unico modo di servire l’interesse nazionale. Nei documenti allegati al manifesto ci sono 14 proposte, a partire dalla guerra in Ucraina. Vedremo come si comporterà il governo su questi punti».
Vera indipendenza significa Italexit?
«Non ho fatto mistero di averla votata alle ultime elezioni. Poi però sono rimasto deluso dal settarismo con cui viene gestita. Inoltre, il nome è sbagliato perché Italexit sembra chiedere un’uscita immediata dall’Ue che, messa così, sarebbe una scelta velleitaria».
Destra sociale ed estrema sinistra si alleano, complice il pacifismo e l’antiamericanismo?
«No. La prospettiva è diversa: ci sono problemi reali, trasversali ai vecchi schieramenti politici. Bisogna affrontare questi problemi con un approccio non ideologico, evitando di asserragliarsi nella destra della destra e cercando di parlare a tutti gli italiani».
Pensate davvero di potervi ritagliare una fetta del 10% dei consensi?
«Da questo bacino potenziale alla realtà c’è una bella differenza. Tuttavia, c’è un’onda di persone che chiede il cambiamento. Prima hanno votato Berlusconi e la sua rivoluzione liberale, poi Renzi quando faceva il Rottamatore, poi il M5s, la Lega e adesso Fratelli d’Italia. Se non vedranno il cambiamento, queste persone cercheranno altri sbocchi politici. E lì troveranno noi».
Ma anche voi troverete l’establishment?
«Ho fatto il ministro di due governi Berlusconi e conosco gli ostacoli, ma ne ho tratto due insegnamenti. Primo: bisogna prepararsi molto bene con una classe dirigente adeguata. Secondo: la via del compromesso è solo un modo per autodistruggersi».
La Verità, 5 agosto 2023