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Un «Principe libero» più adatto per il cinema

Operazione riuscita. Va detto, non era facile. Restituire la complessità e la vitalità di Fabrizio De André, probabilmente il più geniale dei cantautori italiani, non era impresa semplice. De André, uno cui stanno strette tutte le definizioni, compresa quella di cantautore, è stato un artista, uno spirito libero che ha vissuto pienamente il suo tempo e la sua condizione. Non era facile rendere tutto questo in tre ore di televisione, ma bisogna dire che, per una volta, con Fabrizio De André – Principe libero Rai fiction e Bibi film di Angelo Barbagallo ci sono riuscite (Rai 1, martedì e mercoledì, ore 21.30, share del 24.3% nel primo episodio). Sceneggiatura (Francesca Serafini e Giordano Meacci) e regia (Luca Facchini) si sono tenute lontane da ambizioni riassuntive e antologiche per privilegiare la storia, la formazione dell’uomo e dell’artista, interpretato da un bravissimo e molto somigliante, anche se in bello, Luca Marinelli, attraverso l’intenso rapporto con il padre (Ennio Fantastichini), le notti nei bordelli del porto di Genova, l’amicizia con Luigi Tenco (Matteo Martari), i primi spettacoli per gli amici nelle bettole e nei teatri. Poi l’incontro con la prima moglie Enrica Rignon, i primi versi scritti senza convinzione, incoraggiato dall’amico Paolo Villaggio (Gianluca Gobbi): «Tu sei un genio»; «Perché ci sia un genio bisogna che ce ne sia un altro che lo riconosce…»; il primo disco, l’interpretazione di Mina della Canzone di Marinella, tratta da una storia di cronaca raccontata dall’amico cronista; l’amore per Dori Ghezzi, la riluttanza ai concerti, il successo, il rapimento dell’Anonima sequestri dalla tenuta dell’Agnata in Sardegna, che apre la narrazione con un lungo flashback. Infine, l’anarchia ponderata e non ideologica («Anarchia è darsi delle regole prima che te le diano gli altri») che attraversa tutto il racconto, restituendo al protagonista il carisma gentile che rifluiva nei testi delle canzoni, sempre imprevedibili e anticipatori, scelti con accurata ricerca filologica e resi dalla voce di Faber.

Operazione riuscita, dunque. Anche se, forse, proprio la difficoltà del personaggio di stare dentro etichette e definizioni statiche, lascia la sensazione che la fruizione cinematografica sia più consona a un prodotto come Principe libero.

La Verità, 15 febbraio 2018

Di seriali ci sono solo i figli extra matrimonio

Ora che su Romanzo famigliare sono sfilati i titoli di coda si possono tirare le somme di una delle serie che ambivano a rinnovare la fiction Rai. Il bilancio è perlomeno controverso. Anche nella società bene, alta borghesia ebraica imprenditorial finanziaria, con tanto di elicottero in giardino, autista e domestici in servizio permanente, esistono le famiglie disfunzionali. Prima di arrendersi alla malattia degenerativa e finire congelato nella cella frigorifera che l’esperta colf non ricorda di aver trovato aperta e sventatamente chiuso allorché tutti ci si interroga su dove sia scomparso, il capostipite (Giancarlo Giannini) aveva già allestito un rosario di invidie e inimicizie tra mogli, amanti, figli e figliastri, alcuni dei quali di origine Est europea. L’unica figlia nata all’interno del matrimonio (Vittoria Puccini) resta precocemente incinta e, maltrattata dall’invadente genitore, fugge con il compagno (Guido Caprino), ufficiale di Marina a Roma. Anche la figlia e nipote (Fotinì Peluso) si trova gravida a sedici anni, ma ci pensa la zelante ostetrica (Anna Galiena), a sua volta madre extra matrimonio in età avanzata di una ragazza down, a guidarla nel mistero di mestruazioni che vanno e vengono, e nella raffica di ecografie, una ogni mezz’ora di trama. Emblematiche un paio di scene degli episodi finali. Ora che il parto si avvicina sarebbe bene che anche il padre della creatura nella pancia della sedicenne si palesasse, e mentre la dottoressa sta scrivendo il nome di quello naturale, si spalanca la porta della sala d’attesa sull’altro amichetto della puerpera: basta accartocciare il modulo con il nome giusto (o sbagliato?) e compilarne un altro per cambiare la paternità del nascituro. Mezz’ora dopo, al nuovo malore, la solita ostetrica accorre con la figlia down, spiegando che quest’ultima è frutto di una relazione con un uomo sposato, che «gli adulti non esistono» e che siccome lei si è «sentita» di tenerla ugualmente nonostante ne conoscesse l’handicap, ritiene che ognuno debba «sentirsi» libero di scegliere. Insomma, meglio premunirsi, perché il romanzo sarà famigliare con la «g», ma tutti i figli vengono concepiti fuori da rapporti coniugali. Per il resto, oltre che sul terreno affettivo, la famiglia inanella una serie di tradimenti e ricatti senza requie e senza uno straccio di giudizio, anche in materia di beni mobili e immobili. Ci penserà il figliastro ucraino, fino a quel momento ritenuto il più bastardo della congrega, a salvare villona e burattini rivelandosi un genio della finanza dal cuore buono.

Se questa è la nuova fiction di Rai 1, quasi quasi conviene tenersi quella vecchia. Romanzo famigliare è una produzione Wildside, con la regia e la sceneggiatura di Francesca Archibugi. La share della puntata finale è stata del 19.8%.

 

La Verità, 31 gennaio 2017

Ballando con… Bolle, la danza diventa evento

D’improvviso, la Rai in una delle sue espressioni migliori da qualche anno a questa parte. C’è la riprova che intrattenimento non significa solo varietà ed evasione, quella prevedibile alternanza di comici e cantanti a cui ci ha tristemente abituati gran parte della programmazione in voga. Roberto Bolle danza con me (Rai 1, lunedì, ore 21.15, share del 21.5%) è stato uno spettacolo vero, capace di coniugare espressione artistica, gusto per il bello, talento, leggerezza, racconto. Chissà che cosa l’avrà partorito: una congiunzione astrale favorevole, la lontananza da pressioni e interferenze dei palazzi romani in queste settimane di vacanza della politica, la scarsa competenza dei dirigenti Rai in materia di danza. O, in positivo, la direzione artistica e la scrittura dello stesso Bolle, la collaborazione del coreografo Michael Cotten, uomo dei grandi eventi televisivi americani, la realizzazione della Ballandi Entertainment. Una serata evento che ha inaugurato nel modo migliore il nuovo anno e ha per una volta dimostrato la capacità del servizio pubblico d’intrattenere con piglio innovativo, dosando racconto biografico, competenza artistica, collaborazioni di alto profilo (Sting, Tiziano Ferro). Uno show con Bolle certamente grande protagonista nel ruolo di «étoile dei due mondi», in grado di alternare danza moderna e balletto classico: su tutti la performance di Luce e ombra, passo a due con Melissa Hamilton, dal balletto «Caravaggio» firmato da Mauro Bigonzetti. Ma anche uno show corale, che ha visto Marco d’Amore liberarsi della cupa maschera del Ciro Di Marzio di Gomorra per indossare i panni del narratore moderno di armonie e leggerezze con una disinvoltura che sorprende solo chi non l’ha visto recitare in American Buffalo (al Franco Parenti di Milano Bolle era in prima fila). Una coralità completata dalla partecipazione di Virginia Raffaele, formidabile il suo numero di danza moderna, Pif, Miriam Leone e Geppi Cucciari, tutti appartenenti alla scuderia di Beppe Caschetto. Sarebbe tuttavia bizzarro prendersela con lui. Più che una colpa forse è un merito avere tra i propri artisti alcuni dei migliori trenta quarantenni in circolazione. Piuttosto, compete alla Rai saperli dosare senza inflazionarli.

La Verità, 3 dicembre 2018

Papà, mamma e Bebe Vio: «Ecco la nostra storia»

«Ricordo che arrivati all’ospedale di Padova, quando il medico ci disse che con quella meningite c’era il 3% di possibilità di sopravvivenza e che, anche il quel caso, mia figlia avrebbe subito danni devastanti agli arti e agli organi interni, non volevamo crederci. Non poteva essere vero, poche ore prima Bebe tirava di scherma. Non è possibile, ci dicevamo, questo medico è delira. Mandatecene un altro, vogliamo il primario». Ruggero Vio, papà di Beatrice Maria Adelaide Marzia (nomi delle nonne), detta Bebe, è seduto al tavolo dell’hotel Metropole di Abano Terme per la cena di gala in occasione dell’ottavo compleanno di Art4sport, la onlus che insieme con la moglie Teresa, ha fondato nel 2009 per aiutare bambini e ragazzi portatori di protesi che vivono lo sport come terapia, trasformando la disabilità in una opportunità di crescita (http://www.art4sport.org/). La maggior parte dei 150 ragazzi dell’associazione sono amputati a causa della meningite, qualcuno è nato così e qualcun altro è stato vittima di un incidente stradale. L’idea di art4sport è nata dalla vicenda di Bebe che nel novembre 2008 fu ricoverata al reparto di Terapia intensiva pediatrica dell’ospedale di Padova diretto da Andrea Pettenazzo e ne uscì 104 giorni dopo, amputata sotto i gomiti e le ginocchia.

La copertina di Panorama con la foto di Stefano Benedusi

La copertina di Panorama con la foto di Settimio Benedusi

Com’è vivere vicino a una ragazza così? Che cosa è successo in quella famiglia? Com’è la loro quotidianità? «All’ospedale di Treviso ci avevano già detto che si trattava di meningite», riprende papà Ruggero, ingegnere nautico. «Però, nel dramma, eravamo stati fortunati. In sala d’attesa era passato un infermiere che aveva seguito un caso simile e adesso riconosceva i sintomi. La dottoressa aveva confermato il sospetto e subito somministrato l’antibiotico che blocca l’infezione (meningococco C). Pensavamo che arrivati in ospedale il problema fosse risolto: non sapevamo niente della meningite. Ma Bebe soffriva molto e noi non ci rassegnavamo: com’è possibile che nel 2008 per guarire da una malattia si debbano amputare gli arti? La necrosi avanzava e i medici ci dissero che dovevano fare un controllo sullo stato delle mani. Ma quando uscì dalla sala operatoria non le aveva più. Era stata un’operazione fatta in tempo reale, perché la situazione non peggiorasse. Adesso chi lo dice a Bebe?».

Nel salone dell’hotel il clima è festoso. I ragazzi dell’associazione, chi con le stampelle chi con le lame tipo quelle di Oscar Pistorius, si mescolano agli ospiti per le cure termali. I tavoli sono divisi per discipline: scherma, calcio, atletica… «Sia Bebe che noi genitori eravamo seguiti dagli psicologi, ma il rapporto con loro era complicato», continua il papà. «Dopo due settimane Bebe ne aveva già eliminati un paio. Una volta una era entrata in camera mentre stava guardando la tv. Lei si era girata di tre quarti: “Ha il tempo della pubblicità per dirmi quello che deve”. Questo era… Alla fine ci siamo fatti forza. Io cercavo le parole giuste, ma lei aveva già intuito: “Cos’hai, papà, devi dirmi qualcosa?”. Poi è venuto il momento delle gambe… Almeno, quella volta l’abbiamo saputo prima… “Ma se mi taglio le gambe, poi guarisco? Sì? Allora, facciamolo subito”, insisteva. Ovviamente, c’erano tempi e protocolli da rispettare. Ricordo che la sera prima dell’intervento gli infermieri misero su una festicciola travestendosi da samurai».

Gente giusta per Bebe. Vedendola qui, alla cena di gala, vien da chiedersi dove attinga tanta energia: «Da questi ragazzi spaziali dell’associazione», assicura. «Sono pieni di energia, non si faccia influenzare dalla serata ufficiale, dovrebbe vederli nella normalità, sono delle bestie che spaccano… L’altro giorno con Ephrem, Emanuele e Pietro ci siamo messi le lame, le nostre gambe da corsa, e siamo andati a correre insieme, con tutta la nostra carica». Chissà se è sempre stata così? «Sempre, anche prima della malattia», risponde mamma Teresa, restauratrice di mobili antichi, ora dedita alla onlus. «Io la chiamo “la rompiballe strozzabile”…». Non male come definizione. «Sì, mi ci riconosco», sorride lei. «Ma la mia è una rottura che ha risvolti positivi. Pretendo molto da me stessa e tendo a farlo anche con gli altri. Abbiamo la possibilità di fare un sacco di cose, perciò mi piace che tutti diamo il massimo». Non dev’essere facile tenere il suo ritmo… «Non lo è», riprende la mamma: «Non saprei dire se ha preso più da me o da mio marito. L’indole competitiva è stata ed è la sua salvezza. Lo scoutismo invece gliel’ho trasmesso io e purtroppo a un certo punto abbiamo dovuto convincerla a sospendere. Gli scout non amano lo sport perché i raduni si fanno nei fine settimana, come le gare di scherma. Era arrivata a cambiarsi in auto, tra una trasferta e l’altra. Però la divisa scout la tiene ancora nell’armadio. E lo spirito, quello non lo si perde mai. Bebe ama spendersi per gli altri».

Medaglia d’oro nel fioretto singolare e di bronzo a squadre alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro e fresca campionessa ai Mondiali di Roma in entrambe le specialità, Bebe ha vent’anni e la maturità dei trenta. Vista da qui la crisi della Nazionale di calcio e dello sport italiano è un altro pianeta. Non è strano che i nostri due atleti più vincenti siano Bebe Vio e Alex Zanardi? «Nel mondo paralimpico resistono valori che altrove non ci sono più», risponde Ruggero Vio. «Agli ultimi mondiali di Fiumicino si sono presentate squadre di Paesi minori con carrozzelle tenute su con il filo di ferro. Allora qualche atleta ha prestato le loro per permettere agli avversari di gareggiare meglio ed essere più competitivi. Se la immagina una cosa così nel calcio professionistico? Tutti gli atleti normodotati appartengono a qualche corpo dell’esercito che sostiene attività, gare, trasferte. Anche Bebe fa parte delle Fiamme oro, come Gregorio Paltrinieri. Ma alle premiazioni Paltrinieri indossa la divisa, lei la tuta perché da disabile non può diventare poliziotta. Nel 2013 la nazionale di calcio under 21 la chiamò per motivare i giocatori prima dell’Europeo. Alla fine del suo intervento disse pressappoco: “Voi dovete spaccare, perché la cosa più importante di una gara è vincere”. Arrigo Sacchi, allora coordinatore delle nazionali giovanili, obbiettò: “L’importante è partecipare, non vincere”. “Ma loro devono partecipare per vincere”, replicò lei».

E tu, in gara, cosa pensi? Hai una frase, un mantra segreto? «Niente mantra. Immagino sempre di essere in svantaggio. Se pensi che stai vincendo la prendi facile. Certo, vedo il punteggio ma non lo guardo veramente. Nella gara a squadre, che è quella che mi piace di più, penso a tirare fuori il meglio di me per non mettere in difficoltà le mie compagne, Loredana e Andrea».

L'ultimo libro di Bebe Vio, criticato da Antonio D'Orrico

L’ultimo libro di Bebe Vio, criticato da Antonio D’Orrico

In Se sembra impossibile allora si può fare, titolo del libro della Gazzetta dello sport che fotografa il suo temperamento, Bebe spiega che «le persone con disabilità si dividono fra rancorosi e solari. I rancorosi sono la maggior parte e sono arrabbiati con il mondo per quello che gli è successo. I solari, invece, hanno deciso di viverlo come un’opportunità». Una volta dimessa dall’ospedale ebbe la sua prima vera crisi, durante una medicazione: «Basta, mi voglio suicidare», sbottò. «Sì, e come pensi di fare?», aveva scherzato il papà. «Mi butto dal letto». «Rischi di peggiorare la situazione senza raggiungere lo scopo. Se vuoi ti accompagno alla finestra, se ti butti dal secondo piano magari… Ma smettila! E goditi quello che hai, ché la vita è una figata». Da quello scambio è nato il titolo della trasmissione trasmessa da Rai 1. «Venivamo da un momento difficile», ricorda Ruggero Vio. «Io e mia moglie ci chiedevamo se avremmo ritrovato il sorriso. E che cosa sarebbe stato di Bebe una volta che non ci saremmo più stati. Il futuro ci spaventava. Come si vive senza quattro arti? Abbiamo ricominciato a vivere giorno per giorno: “Adesso ti devo fare le medicazioni, lo so che sono dolorose, ma non c’è altra strada”».

Al Centro protesi Inail di Budrio previdero sei mesi di riabilitazione per imparare a usare le protesi. «Voi scherzate. A Ferragosto devo essere all’Elba»: mancavano due mesi e mezzo. Le vacanze nella casa di Bagnaia erano sacre fin dall’infanzia. «Bebe viveva nel centro di Budrio», racconta il papà. «Tutti i lunedì mattina entrava in palestra, si guardava intorno per individuare il ragazzo più bravo in un singolo esercizio e lo sfidava: “Venerdì ti batto”. E ogni venerdì c’era la garetta… “È un fenomeno, mai vista una così”, ci dissero i fisioterapisti quando la dimisero, il 12 agosto». Insomma, un prodigio di volontà: «Esatto», riprende mamma Teresa, occhi dolci e concetti scolpiti. «Ripiegarsi sulla propria sfortuna e commiserarsi o ripartire è un fatto d’intelligenza. Che altro puoi fare se non accettare ciò che ti è successo? È capitato e ormai non lo puoi cambiare. Quando sento frasi come “era destino che succedesse a lei” mi vengono i brividi. Non serve star lì a domandarsi perché proprio a me, che cosa ho fatto di male… Tempo perso. Il tempo lo puoi guadagnare guardando avanti, trasformando questo fatto in un’occasione. Certo, i momenti di sconforto ci sono e ci saranno. Tutto dipende dal peso che gli vuoi dare». Bebe: «I momenti difficili ci sono stati, ma penso che il peggio sia alle spalle. Quando arrivano cerco sempre il lato positivo e, impegnandomi a trovarlo, in un certo senso, già mi distraggo. Poi, l’ultima cosa che voglio è contagiare con la mia tristezza chi mi sta vicino». Anche sul futuro lo sguardo è positivo: «Il mio sogno è unificare i due comitati olimpici, per normodotati e portatori di disabilità. Se accadesse sarebbe un bel casino, cioè un casino bello. Sarebbe un futuro super impegnato, ma in realtà lo è anche il presente». Altri progetti in tempi più ravvicinati? «A gennaio m’iscriverò all’università John Cabot a Roma. È un anno che non studio e ci sarà da lavorare. Poi farò gli allenamenti con la squadra, non vedo l’ora». Signora, che cosa desidera per sua figlia? «Vorrei che non subisse troppo la pressione dei media. Vorrei che conducesse una vita normale. Per noi la sua condizione è diventata normalità. È nostra figlia e ci dà tanto, come Nico e Sole. Adesso andrà a vivere da sola, a vent’anni è giusto così».

 

Panorama, 30 novembre 2017

 

Rai 1, il referendum costituzionale di Fazio

Molte cose accomunano Fabio Fazio e Matteo Renzi, oltre allo share non entusiasmante, anche se in lievissimo rialzo, di ieri (15.4%). Innanzitutto l’area politico culturale di riferimento, per la parte di FF già magistralmente fotografata da Edmondo Berselli. Poi una certa sopravvalutazione, forse indotta da consigli(eri) sbagliati. Un percettibile distacco dalla prosaica realtà. La propensione, bisogna dare atto, a metterci la faccia: pure troppo. Infine, la tendenza alle scommesse azzardate, nelle quali si spicca il balzo da un posto sicuro, senza trovare dall’altra parte il ramo cui aggrapparsi, maggioranza referendaria o primato dell’audience che sia. Non sarà che l’ambizione di vincere su Rai 1  sta diventando il referendum costituzionale di Fabio Fazio?

Anche Rai 1 vuole farci morire camorrologi

Moriremo tutti camorrologi. Oppure mafiologi. Insomma, esperti di criminalità organizzata in tutte le sue sfaccettature. Su Canale 5 è in onda Squadra mobile. Operazione Mafia Capitale, su Netflix è visibile Suburra, mentre lunedì sera è iniziata su Rai 1 Sotto copertura. La cattura di Zagaria, seconda stagione dopo la prima, in due episodi, dedicata all’arresto del boss dei Casalesi Antonio Iovine. Stavolta, per prendere il capoclan latitante da vent’anni, interpretato da un Alessandro Preziosi che fa la faccia feroce, di episodi ce ne vorranno ben otto concentrati in quattro serate (Rai 1, lunedì, ore 21.25, share del 20.22%). I due boss camorristi furono incarcerati a poco più di un anno di distanza tra novembre 2010 e dicembre 2011 al termine delle operazioni guidate dal capo della Squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani e dunque ha una sua plausibilità la realizzazione di due serie con lo stesso titolo. Poco dopo l’arresto di Iovine, grazie alle soffiate dei collaboratori di giustizia, prende corpo la pista che porterà alla cattura di Michele Zagaria. Nella fiction, già nel primo episodio gli investigatori lo localizzano nel bunker di Casapesenna, suo paese natale. Ma la strada è ancora lunga perché, sulla base delle dichiarazioni di un pentito, il capo della polizia viene accusato di collusioni con le cosche. Accuse che innescheranno un procedimento giudiziario che si concluderà con la piena assoluzione nel giugno 2015, ma che hanno suggerito alla produzione un’identità di fantasia al personaggio di Claudio Gioè.

I clan camorristici non sono esattamente l’habitat di Lux Vide, incline a stemperare il noir criminale con le vite private dei poliziotti. Uno di loro vuole riconquistare la moglie, un altro ha in animo di lasciare la polizia per dedicarsi di più alla famiglia, il più giovane dei tre è fidanzato con la figlia del capo. Pure i camorristi hanno un cuore e il braccio destro di Zagaria cede al fascino di sua nipote. Ancor meno credibile appare l’intervento in cui Arturo deve piazzare «sotto copertura» una cimice per intercettare il boss nel bunker ma, nel momento di massima tensione, gli squilla il cellulare. Ingenuità a parte, Rai Fiction e Lux Vide sembrano averci preso gusto. Forse nell’intento di saturare il pubblico prima di Gomorra 3. Moriremo camorrologi.

La Verità, 18 ottobre 2017

Bertolino antifuga cervelli Fazio e Crozza sbagliano

Fondazione Tim sull’innovazione È sbarcato ieri su La7 MeravigliosaMente, programma sull’innovazione di Enrico Bertolino e realizzato da Zerostudio’s per Fondazione Tim. A metà tra l’educational e la divulgazione scientifica, il comico visita in altrettante puntate cinque università dell’eccellenza italiana (Pisa, Genova, Padova, Milano, Torino). La prima notizia è che esistono nonostante le classifiche internazionali. La seconda è la comunicazione smart con cui Bertolino incontra ricercatori di robotica che progettano pancreas per diabetici gestibili con wi-fi, o ingegneri che studiano il trasporto con levitazione magnetica che ridurrà di 2/3 i viaggi sulle linee Tav. Il tutto in agenda «tra due anni».

Errori di programmazione/1 Il primo è Che fuori tempo che fa, il talk show di Fabio Fazio nella seconda serata del lunedì su Rai 1. Con l’eccezione della copertina di Maurizio Crozza, la tavolata con gli ospiti sembra una sorta di «avanzi» del Tavolo con Nino Frassica della domenica. In passato c’è chi ha proposto qualcosa di dignitoso con il marchio Avanzi, ma stavolta c’è da confrontarsi con lo schiacciasassi Grande Fratello Vip. E non basta il traino della Nazionale, tanto più se dopo la fine del match c’è mezz’ora di bar sport, per far superare la sensazione di già visto.

Errori di programmazione/2 L’altro svarione riguarda Fratelli di Crozza in onda su Nove al venerdì (3.5%) come nelle annate su La7, dove quest’anno c’è Propaganda Live di Zoro che gli rosicchia il pubblico militante. Più male gli fa su Tv8 la prima tv in chiaro di X Factor che lo supera regolarmente (4.5% circa). Se non si vogliono cambiare abitudini tocca rassegnarsi.

Correzione per Skroll Dopo un mese di preserale nell’illusione che facesse da traino a Mentana, Andrea Salerno ha deciso di spostare la striscia di Marco D’Ambrosio alias Makkox prima di un altro tg, quello della notte. Gli ascolti delle 19.30 erano scesi sotto l’1%, mentre la replica dopo mezzanotte resisteva attorno al 2% (e il doppio di telespettatori). I frequentatori dei social sono nottambuli.

I capolavori di Taodue L’altro giorno a proposito di Squadra mobile. Operazione Mafia Capitale di Canale 5 Aldo Grasso ha scritto che «vengono in mente tante cose». A cominciare dal «cinema dell’impegno civile (i film dei fratelli Taviani, di Germi, di Petri, di Pontecorvo, di Rosi, di Scola…) così centrale negli anni ’70 del Novecento. Le non poche serie della Taodue da Distretto di polizia a R.I.S., da Squadra antimafia a Le mani dentro la città, solo per citare alcuni titoli, affondano le loro radici culturali proprio in quella stagione in cui il nostro cinema provava a raccontare misteri e storture del nostro Paese».

La Verità, 15 ottobre 2017

La lezione di resilienza e ironia di Bebe Vio

Quando la vita va in televisione, alla fine, combina sempre qualcosa di buono. La vita e le storie valgono la visione e l’ascolto, soprattutto se raccontate con spontaneità. Il nuovo programma di Bebe Vio, La vita è una figata! (Rai 1, domenica, ore 17.45, share del 10.63%), ha il pregio dell’immediatezza e della semplicità. Almeno, così risulta al telespettatore. La giovane fiorettista, oro alle ultime Paralimpiadi, incontra nella sua coloratissima casa studio laboratorio una serie di persone protagoniste di vicende particolari, «gente un po’ speciale» ma non troppo. Domenica si sono viste Paola Turci, che ha svelato il rapporto con il suo corpo e lo specchio, soprattutto con le cicatrici che le segnano il volto dopo l’incidente che l’ha lasciata miracolosamente in vita; Andrea Caschetto, un ragazzo siciliano che soffre di amnesie in seguito a un’operazione al cervello; Mayla Riccitelli, una bambina di 10 anni che pratica la danza anche se priva della parte inferiore di una gamba; Gianluca Maffeis, un millenial che sta facendo il giro del mondo senza prendere l’aereo. Il denominatore comune di questi incontri sono la spontaneità e l’energia trasmesse dalla padrona di casa, prontamente ricambiata dai suoi ospiti. Ognuno dei quali alla fine è chiamato a dire perché per lui «la vita è una figata» nonostante le disavventure e le circostanze in cui sono incorsi e che condizionano la loro vita. In sostanza, senza presunzione ma con la freschezza di Bebe, La vita è una figata!, convinzione trasmessa alla figlia dal padre Ruggero, è una lezione di resilienza, di capacità di ribaltare le situazioni avverse trasformandole in un pretesto positivo. Il tutto senza buonismi, come visto nel dialogo con Pif, intervistato con telecamerina: «Sai che mi sento più a mio agio se sto dall’altra parte?». «Ah sì? Ma questa è casa mia e le domande le faccio io». «È un piacere venire a casa tua…». «Come ti chiami?». «Piefrancesco, detto Pif… ma una che si chiama Bebe non può fare troppo la spiritosa…». Spontaneità e immediatezza, doti primarie della conduttrice. Ma anche merito degli autori di Stand by me di Simona Ercolani che produce il programma e che, grazie al montaggio, riescono a rendere lineare qualcosa che non lo è.

La Verità, 10 ottobre 2017

Manfredi, Bocelli e le carambole di Fazio

Non servivano le assicurazioni di Miriam Leone sulle capacità interpretative di Elio Germano, domenica sera entrambi ospiti di Che tempo che fa. Anche se un po’ se la tira, chi ha visto La nostra vita (miglior attore al Festival di Cannes) e Il giovane favoloso sa di cosa si parla. In arte Nino, il film tv su Nino Manfredi prima che diventasse il grande artista che è stato, si regge quasi interamente sull’istrionismo dell’attore romano (Rai 1, lunedì, ore 21.20, share del 23.40%). Essendo diretto e sceneggiato dal figlio di Manfredi, Luca, bisogna credere che le quote romantiche siano ridotte al minimo, e che le inclinazioni guittesche del padre fossero tanto pronunciate e non proposte solo per consentire a Germano di esprimere le sue, altrettanto notevoli, come nell’imitazione della gallina, o durante la discussione di laurea, sostituita da un assaggio di Arlecchino, servitor di due padroni. In questi casi andare sopra le righe è un attimo, ma gli autori, tra i quali c’è lo stesso Germano, sono riusciti a non eccedere in forza di un copione definito. Unico superstite di un quartetto di malati di tbc, Nino s’infila nella Seconda guerra, forte di un’ironia che sfiora l’incoscienza e che turba il padre maresciallo. Il quale, incapace di riconoscerne la vocazione, lo vuole a tutti i costi laureato in giurisprudenza. La vicenda si snoda tra promettenti provini, intemperanze giovanili e ultimatum paterni, fino all’incontro con la futura, bellissima moglie (Miriam Leone) e all’approdo alla ribalta di Canzonissima. Consacrazione alla quale, in verità si arriva con qualche salto narrativo di troppo.

Lunedì prossimo un altro biopic dedicato ad Andrea Bocelli proseguirà il discorso di Rai 1, inaugurato con la miniserie su Domenico Modugno e continuato con C’era una volta Studio Uno, volto a promuovere gli artisti che le appartengono o che hanno fatto la storia della televisione. Alle fiction dedicate a santi, sportivi e carabinieri, si aggiunge il filone su cantanti e attori.

P.s. Come tre giorni fa Elio Germano e Miriam Leone, anche Andrea Bocelli domenica prossima sarà ospite di Fabio Fazio. Il quale, invitando a vedere il film del giorno successivo, promuoverà il traino che precede il suo Che fuori tempo che fa del lunedì. Una mano lava l’altra e tutte due lavano Rai 1.

La Verità, 27 settembre 2017

La Rai scommette sulla pallavolo, anzi no

Non si può dire che la Rai non provi a inventarsi qualcosa in questo declino d’estate, antipasto della nuova stagione. L’idea di trasmettere l’EuroVolley su Rai 1 era appunto un’idea (lunedì Italia – Repubblica Ceca, ore 20.30, share del 12.81 %). Nonostante l’esclusione (per motivi di sponsor) dello zar Ivan Zaytsev che ci portò all’argento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, l’Italia è una squadra ambiziosa e, se il suo cammino proseguisse, potrebbe farsi amare e seguire non solo sui social, considerato che il volley è la seconda disciplina sportiva per numero d’iscritti, dopo il calcio. Senza diritti tv della Serie A e delle coppe europee, senza quelli per la diffusione della Formula 1, della Moto Gp e del tennis, e con un solo match di basket programmabile la domenica, alla tv pubblica non resta che tenersi stretta la pallavolo. Premiarla con la promozione su Rai 1 è rischio che oscilla tra l’ultima spiaggia e il tentativo di creare l’evento. Ecco perché, una volta azzardato, bisognava crederci fino in fondo. Invece, nello studio di Rai Sport, dove Simona Rolandi si sforza di rallegrare l’incupito Lorenzo Bernardi, aleggia un’aria da emittente ministeriale che spegne qualsiasi velleità di l’evento sportivo. Le cose migliorano in telecronaca grazie a Maurizio Colantoni e Andrea «Lucky» Lucchetta che prova a seminare un po’ d’euforia con il suo linguaggio immaginifico («La Germania di Andrea Giani è un 4×4 a trazione integrale») e aggettivi che viaggiano in trio («I nostri sono tornati belli, vincenti e sorridenti»; «il muro dev’essere fermo, duro, dolomitico»). Ci si accontenta della minestrina: Rai Sport sembra disabituata a pensare in grande. Allargare il parterre di commentatori con uno tra Julio Velasco, Giampaolo Montali, Francesca Piccinini? Immaginare una lavagna per illustrare qualche schema? Tirare dentro le reazioni sui social? Prevedere dei profili di giocatori e allenatore?

La Verità, 30 agosto 2017