«Sono impaziente, però dico sempre la verità»
È il Signornò della politica italiana. Mai che qualcosa gli vada bene, che gli si senta promuovere qualcuno o qualcosa. Nei talk sbuffa, manifesta insofferenza, tutti lo temono. In questa intervista con Panorama, Massimo Cacciari parla dei 100 giorni del governo Meloni, dello sprofondo del Pd, della Chiesa post-Ratzinger e dei giovani di Ultima generazione, bocciati anche loro come le sardine.
Professor Cacciari, è una mia impressione o è più critico con il Pd che con Giorgia Meloni?
È una sua impressione. Sul Pd ho critiche radicali, con la Meloni una distanza culturale complessiva, il che non significa che non sappia apprezzare il valore storico di una donna per la prima volta presidente del consiglio in Italia, e il valore della persona per avercela fatta.
Siamo arrivati a 100 giorni di governo, sta per finire la luna di miele con gli italiani?
Le lune di miele finiscono per legge di natura. La durata del governo dipenderà da come saprà affrontare i nodi della crisi, ben oltre la stessa finanziaria.
Le sembra che si pratichino troppe correzioni di rotta?
Rispetto alle promesse elettorali. Nella sostanza si procede sul «binario Draghi» – e si sapeva bene che non poteva essere diversamente. Su quei binari mi sembra si proceda con l’accelerato.
Sapersi correggere è anche una dimostrazione di forza?
Certamente sì. Ma, le ripeto, si è corretto ben poco. Sulle accise? Ma, appunto, ogni persona ragionevole sapeva già distinguere promesse da possibilità reali. Le vere questioni riguardano come «garantire« un debito che si aggrava di giorno in giorno, e come realizzare il Pnrr.
Perché c’è poca attenzione anche da parte delle opposizioni al Pnrr?
Perché neppure loro avrebbero saputo come portarlo avanti. Soprattutto per il Sud, dove andrebbero investite il 40% delle risorse messe a disposizione.
Pandemia, guerra in Ucraina, inquinamento e riscaldamento globale: si passa da un’emergenza all’altra?
È lo «stato dell’emergenza». Questa è la questione davvero epocale. Che mette in crisi i funzionamenti elementari dello Stato democratico. Tutto sembra avvenire, come per la pandemia, per cause «naturali» – e allora è necessario siano gli «scienziati» o i «competenti» a decidere, e che le decisioni siano rapidissime -così ogni confronto e discussione si trasformano in «perdita di tempo». La verità è che occorre reinventare la nostra democrazia. Meglio però far finta di nulla e sopravvivere, come fa la nostra politica.
Gli Stati nazionali decidono sempre meno?
Sopravvivono. Contano ancora, eccome, perché nessun organismo sovra-nazionale funziona davvero, a partire dall’Onu. Ma sulle questioni globali e di fronte allo strapotere delle multinazionali e degli scambi finanziari sono, singolarmente presi, del tutto impotenti. La nostra chance è sempre quella: l’unità politica europea. Unità che si allontana sempre più.
Perché ha stupito quando ha detto che questo governo ha meno bisogno di ingraziarsi la Chiesa perché su questioni come la famiglia e l’aborto c’è già una sintonia di fondo?
Perché è ovvio sia così; sulla carta, almeno. Poi, questo governo, se vuole mantenere buoni rapporti col Vaticano, dovrà radicalmente cambiare tono su altre questioni, a partire dalla tragedia degli immigrati.
Anche sull’inverno demografico c’è intesa?
Certo. La Chiesa non può che essere per una famiglia «che generi». E così penso dovremmo essere tutti consapevoli che una civiltà che non genera più è destinata a scomparire, a prescindere dalla nostra fede o dalle nostre filosofie.
Perché le sue affermazioni spiazzano i suoi interlocutori e anche lei si irrita di fronte a certe domande?
Perché ho questo grave difetto: l’impazienza. Me ne scuso con i miei interlocutori. Per quanto riguarda le mie idee, penso che spiazzino soltanto gli ipocriti: spesso non faccio che affermare come stanno le cose puramente e semplicemente.
In un’altra occasione ha detto che Giorgia Meloni è un’esponente di destra ma non è la Le Pen, sempre spiazzando i suoi interlocutori.
La destra francese ha caratteri propri che vengono da molto lontano. Non ha da «farsi perdonare» regimi fascisti perché non ce l’ha fatta a formarli – in compenso ha pienamente collaborato coi nazisti, come i repubblichini nostrani. Ma per certi versi – integralismo, nazionalismo, anti-semitismo – è stata anche peggio di quella italiana. Io credo che Giorgia Meloni mostri di aver pienamente superato tutta questa ideologia, a differenza della Le Pen.
C’è discrepanza tra i sondaggi su Giorgia Meloni, per ciò che valgono, e l’atteggiamento prevalente dei media?
Forse. Ma i sondaggi valgono ancora meno dei media che ormai, forse con l’eccezione della tv, non formano in alcun modo l’opinione pubblica. Gli italiani da vent’anni vanno cercando qua e là un’offerta politica decente. Assaggiano Renzi, poi i 5 Stelle, poi Salvini, ora la Meloni. I voti, fuorché residui zoccoli duri, come per il Pd il quadrilatero emiliano, sono mobili qual piuma al vento.
Ha avuto qualche contraccolpo a livello di visibilità e nei rapporti personali per le posizioni critiche assunte nel pieno della pandemia?
Di visibilità e popolarità, glielo assicuro, non me ne importa nulla. Ho criticato la gestione politica della pandemia, e non certo i vaccini. E credo che i fatti mi abbiano dato ampia ragione. Ora per fortuna abbiamo svoltato, e non ha più senso parlarne.
Studiosi e intellettuali come Giorgio Agamben e Carlo Rovelli ora sono visti con diffidenza, mal tollerati?
Agamben è il filosofo italiano più conosciuto al mondo. Non ha certo bisogno della tolleranza dei media italici.
La crisi della sinistra italiana è tutta figlia di quella europea o ci mette anche del suo?
Ci mette del suo, perché la sua è una storia del tutto particolare. Non si tratta della storia di una socialdemocrazia, come più o meno in tutti gli altri Paesi europei, ma di quella di forze diverse e per un lungo periodo anche divise; non solo Pci e Psi, ma anche sinistra Dc. Comporle non era difficile, era semplicemente impossibile. Il Pd poteva nascere soltanto da un nuovo progetto, e cioè dal riconoscimento da parte di tutti i soci della conclusione delle loro rispettive esperienze. È mancata ogni analisi storica e critica, e di conseguenza ci si è arrangiati a sopravvivere sull’eredità. Ciò ha condotto a una crescente subalternità, prima culturale e poi anche pratica, alle potenze economiche e politiche che guidano i processi di globalizzazione.
Dopo la sconfitta elettorale Enrico Letta ha detto: non siamo riusciti a connetterci con chi non ce la fa. Secondo lei come può avvenire questa riconnessione?
Come si può credere a un segretario che esce con simili battute dopo una generazione che se le sente dire da tutti coloro che hanno ragionato sull’involuzione del suo partito?
Guardando al cammino intrapreso per il congresso le sembra che il Pd sia sulla buona strada?
Faccia un congresso aperto, serio, con tutto il gruppo dirigente dimissionario, con un programma che preveda un partito a struttura federale, che punta a un nuovo rapporto col territorio. Faccia tutto quello che non si sta facendo.
Per chi voterà tra i quattro candidati?
Non andrò a votare. Avrei votato Gianni Cuperlo se si fosse impegnato in questi anni in una battaglia interna dura e esplicita, formando una sua corrente.
A che cosa si deve il fatto che quasi tutti gli ultimi segretari del Pd o hanno lasciato la politica o hanno lasciato il Pd: Veltroni, Renzi, Martina, Epifani, Bersani.
In alcuni casi ai raggiunti limiti di età. Renzi non ha lasciato nulla, anzi, credo che ne sentiremo parlare ancora a lungo. Veltroni ha sbagliato tutto lo sbagliabile, lasciamo perdere. Martina mi sembrava in gamba. Ha forse i limiti caratteriali di un Cuperlo, non ama battersi.
Aprire al ritorno di D’Alema e Bersani è una buona mossa?
Non torna nessuno, mi creda.
Che cosa perde la Chiesa con la morte di Joseph Ratzinger?
La grande speranza della nuova evangelizzazione d’Europa e quella ancora più grande di una pace tra cristianesimo d’Oriente, russo, e d’Occidente.
Che cosa pensa delle proteste dei ragazzi di Ultima generazione?
Ci sono sempre stati movimenti giovanili. Emergono e affondano come le sardine… primavere senza estate. Le forme stesse della comunicazione inducono tale precarietà. Non sta a me dare consigli – odiosissimo mestiere – ma direi loro: organizzate gruppi di discussione, di studio, date vita all’interno di scuole e università a iniziative autonome. Senza pensiero critico non ci si oppone al politichese regnante.
Conserva qualche elemento di speranza o è totalmente scettico sul futuro dell’Italia?
Disperare è impossibile. Anche il suicida, diceva Giacomo Leopardi, spera qualcosa; magari di distruggere la vita di chi gli sopravvive.
Approva il presidenzialismo?
Non sono mai stato contrario al presidenzialismo in sé. Sono contrario a riforme spot, ora le Regioni, domani il Parlamento, dopodomani il presidenzialismo. Una riforma istituzionale è di sistema o non è. Mi dicano che cosa col presidenzialismo deve mutare per Parlamento, Regioni e autonomie, e poi discutiamo.
Può essere un modo per irrobustire il processo decisionale e resistere alla globalizzazione degli stati di emergenza?
Potrebbe esserlo, sì. Ma alle condizioni che ho detto.
Ha mai pensato di tornare in politica?
Forse nell’aldilà, ormai.
Panorama, 25 gennaio 2023